|
Franco Bergoglio
Magazzino jazz-articoli musicali d'occasione
Zelig Moby Dick 2011
Si può scrivere in molti modi di jazz, scegliendo una prospettiva storica o socio-politica,
analizzando stili e personaggi, o concentrandosi anche su una sola incisione di
particolare importanza. Il torinese Franco Bergoglio con questo libro tratta molti
temi e propende per un tipo di approccio sicuramente personale, venendo a comporre
un quadro complessivo di carattere meta-jazzistico. Prevale, cioè, in questa raccolta
di articoli di diversa provenienza e data di pubblicazione, la riflessione distanziata
sull'argomento, lo scavo bene indirizzato a scoprire il segno e a trovare il senso
all'interno della materia in oggetto, con un metodo di lavoro da semiologo scafato.
Malgrado queste premesse "impegnative", il testo, di sole novanta pagine, scorre
veloce perché il saggista piemontese (la definizione è di Daniele Lucca) sa scrivere
con competenza, ma con un linguaggio accessibile, malgrado il florilegio di citazioni,
che vanno da Althusser a Benny Wallace (sì, il sassofonista...). E' efficacissimo
"L'attacco" iniziale in cui l'autore si interroga sul ruolo dello scrittore di jazz
nel panorama culturale, con una serie di considerazioni e di spunti di discussione
su cui pochi hanno speso argomentazioni così sintetiche e stimolanti. Successivamente
si storicizza l'origine e lo sviluppo dei vari referendum, attribuendo la responsabilità
ad un atteggiamento molto "made in USA" di classificare tutto, privilegiando in
ogni ambito il lato commerciale e competitivo rispetto a quello artistico.
Nel capitolo "Umanesimo hot jazz" si scopre un ritratto affettuoso e partecipato
di un grande appassionato e musicista di scarsa notorietà oltre i confini regionali,
Venerio Molari. A casa sua (quasi un tempio) si celebra il rito dell'ascolto di
culto, con il grammofono che prima si inceppa, ma poi si espandono per la stanza
"suoni puri e celestiali" provenienti dalla tromba di Bix Beiderbeke, quasi un messia
per i tradizionalisti.
In "Sancta sincopatorum" si parla per estensione di collezionisti e di fans, rimarcando
le somiglianze o l'identificazione fra le due figure. Esiste un passaparola, una
critica sotterranea, un consiglio disinteressato, che accanto ai canali "ufficiali"
sancisce il disco da conservare e venerare come una reliquia, da quello da catalogare
come acquisto sbagliato. Non si può che concordare su questa analisi così accurata.
"C'è anche lo swing fatto con i guantoni" è, forse, il capitolo meno intrigante
fra gli altri, perché compilativo. Bergoglio, infatti, si limita a citare un consistente
numero di jazzisti che hanno avuto a che fare con la boxe, con dovizia di documentazione,
ma non piazza la zampata vincente, il job da Ko per "stendere" il lettore con qualche
intuizione o idea delle sue.
Il riscatto è dietro o davanti all'angolo (sempre con riferimento al ring). "Ultimo
valzer ad Harlem" è la parte più convincente in assoluto fra tutti i saggi ripresi.
"My favorite things" viene sezionato, voltato e rivoltato in maniera strutturalista
con una tale abilità "investigativa" da lasciare meravigliati. E' importante osservare
come "Trane" abbia ridotto in brandelli, frantumandolo, estremizzandolo, a fine
carriera, un brano che, anni prima, costituiva un autentico momento di relax nella
scaletta di ogni esibizione.
"Alla corte di re Art" ci presenta "l'epopea" di Valery Ponomarev, trombettista
russo che da un regime in cui il jazz veniva osteggiato è riuscito ad arrivare in
America e a suonare con il suo idolo, Art Blakey. Il Jazz è come un'infezione
che colpisce e si propaga anche dove la popolazione viene vaccinata ripetutamente....
"Jazz on Jackson" mette in luce una contraddizione. Un pittore d'avanguardia dell'espressionismo
astratto predilige il jazz tradizionale, mentre un suo quadro viene scelto per la
copertina di "Free jazz" di
Ornette
Coleman. Manca, in questo modo, una sincronia fra gusti individuali
e arte collaterale...
E' ricca di pathos "Contrappasso", una narrazione poetica molto emotiva e dura del
calvario di Charkie Parker fra la disperazione e la creatività dell'artista.
Apre ampi margini di dibattito "L'autocritica di John Gennari", dove la posizione
della critica ufficiale viene "smontata", "svelando come il nostro apprezzamento
per la musica sia irreversibilmente condizionato da una manciata di scrittori influenti
che non hanno mai registrato un assolo...". Varrebbe la pena che qualcuno si occupasse
della traduzione del tomo di Gennari per la pubblicazione in Italia di un testo
che apre problematiche di tale livello.
"Magazzino jazz", per finire, è l'opera di una persona colta che si occupa di jazz,
o viceversa il testo di un jazzofilo che si occupa della cultura (sua e nostra).
In tutte e due le variabili funziona, eccome!
Gianni Montano per Jazzitalia
Inserisci un commento
Questa pagina è stata visitata 2.884 volte
Data pubblicazione: 08/04/2012
|
|