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Gianni Cazzola 5et
The Weekend Session With The Young Giants
Of Jazz
1. Blues
in the Closet
2. Strollin
3. Green Dolphin Street
4. I Mean You
5. Central Park
6. Summertime
7. Perdido
8. Lament
9. Cedar's Blues
10. Off minor
11. Estate
12. Why don't I.
13. Along came Betty
14. Pent up Blues
Gianni Cazzola - batteria
Simone Daclon - piano
Mattia Magatelli - basso
Emiliano Vernizzi - sax tenore
Humberto Amesuquita - trombone
È uscito nel corso del
2008, prodotto dal Cento Jazz Club, "The Weekend
Session With The Young Giants Of Jazz", album in cui
Gianni Cazzola, batterista jazz tra i più importanti
in Italia, sulla scena musicale dal 1957, omaggia il Be Bop degli
anni '50 e in particolar modo il grande padre delle percussioni,
l'americano Art Blakey.
La ricca e variegata tracklist di questo CD contiene
il rifacimento di quattordici standard jazz opera di altrettanti
famosi musicisti tra i quali spiccano i pianisti
Bruno Martino, Thelonius Monk,
Cedar Walton, George Gershwin, Duke Ellington, Horace Silver,
i sassofonisti
Sonny Rollins, Benny Golson,
John Coltrane, il trombettista J.J. Johnson e il contrabbassista
Oscar Pettiford.
Questi pezzi, composti da artisti che hanno fatto
la storia del Be Bop ed eseguiti da Cazzola con giovani con i quali
sin dai primi anni 2000 costituisce
un quintetto, dal nome evocativo di "The Young Giants Of Jazz",
che si concentra sulla matrice dell' Hard Bop, sono arrangiati dai
musicisti che li reinterpretano in modo fresco e moderno.
Al sax di Emiliano Vernizzi ed al trombone
di Humberto Amesquita, che dettano melodie lineari ma di
grande intensità fanno da sfondo la batteria di
Gianni Cazzola e il basso di Mattia Mangatelli,
sopra cui emerge il suono rassicurante del pianoforte di Simone
Delacon, che comunicano una grande carica di swing ed una spinta
ritmica notevole.
Tutto questo rende l'album molto orecchiabile
e di piacevole ascolto e testimonia, se ancora ce ne fosse bisogno,
come
Gianni Cazzola, ormai sulla scena jazzistica da
più di 50 anni, sia uno dei migliori musicisti italiani nonché uno
dei più grandi scopritori di giovani talenti del bel paese.
Alla luce di quanto scritto fin qui non possiamo
che lodare Cazzola per il lavoro svolto, come da par suo con maestria
assoluta, e affermare, senza paura di essere smentiti, che questo
disco costituisca un must sia per gli appassionati della musica
jazz degli anni '50 che per tutti coloro che sono alla ricerca di
novità.
Elio Marracci per Jazzitalia
Intervista a Gianni Cazzola
Ho cominciato, più di cinquant'anni fa, debuttando
con
Franco Cerri. Ho attraversato tutti gli stili
ed i periodi del jazz italiano. Ho suonato con
Giorgio Gaslini, cui devo moltissimo. Con
Paolo Fresu. Per dieci anni ho lavorato con
Franco D'andrea. Ho suonato nel grande trio di
Gianluigi Trovesi, con Gianni Rusca, con
cui ho vinto la Coppa del Jazz nel 1984
(C'era anche
Boltro), con il maestro di swing Guido Manusardi;
accompagnando nel frattempo moltissimi americani, a cominciare da
Chet Baker, che passavano da Milano. Poi ho fatto
parte di un gruppo mitico, quello di
Luca Flores che era un grande uomo ed un meraviglioso
musicista. Si sono tutti accorti di lui in ritardo, dopo la sua
fine tanto atroce. Eppure aveva un feeling jazz unico. Ho sempre
amato lavorare con i giovani:
Massimo Urbani, Larry Nocella, Sandro
Gibellini hanno fatto parte dei miei gruppi all'inizio della
loro carriera. Qualcuno, Arrigo Polillo, ha parlato di me
come dell'Art Blakey bianco, proprio per la passione che
metto nello scoprire talenti, nel dare ai giovani la possibilità
di esprimersi. Gli ultimi sono quelli che suonano in questa session
che abbiamo registrato a Cento, lo scorso marzo. Li ho voluti chiamare
gli Young Giants of Jazz. Ma intendo farne emergere altri.
Primo fra tutti un altista diciannovenne che si chiama Mattia
Cigalini. Ne sentirete parlare presto. E tanti altri ce ne sono,
che premono per avere spazio…
Gianni
Cazzola è un pezzo di storia del jazz italiano. Dopo
una carriera tanto lunga è ancora affamato di musica, di novità,
di scoperte. E' un uomo entusiasta, ma non contento. Il suo sguardo
sul panorama del jazz italiano contemporaneo è anzi molto critico.
In Italia ci sono tantissimi musicisti bravi.
Anche fortunati, perché hanno tante possibilità di lavoro ed anche
gli appoggi politici adatti. Sono riusciti ad imporre un po' a tutto
il nostro mondo una visione secondo la quale è il nuovo jazz, quello
cosiddetto creativo, che ha diritto esclusivo di cittadinanza. Pensano
che il bop e l'hard bop siano musica superata, d'altri tempi, morta.
Io non sono affatto d'accordo con loro. Senza i grandi maestri non
si va da nessuna parte. Lester Young, Count Basie,
e tutti gli altri, sono ancora oggi creativi; sono i più creativi.
Perché hanno lo swing. Ma non è solo una disputa culturale. Questa
moda fa sì che molti musicisti restino fuori dal circuito dei festival.
Certo, fra costoro ci sono anch' io. Ma insieme a me anche molti
giovani cui vengono tarpate le ali
Sembra però che lei dica
che il jazz si ferma all'hard bop…
Nella maniera più assoluta no. Io ho vissuto
tutte le tendenze del jazz, ho suonato anche il free jazz. Sono
stato il batterista di
Trovesi, di
Gaslini e di
Damiani. Ho praticato l' avanguardia, ho suonato
musica etnica e medievale con Gianluigi. Ma c'era più libertà allora.
Io dentro quella musica ci mettevo dentro la mia anima swing e la
cosa funzionava. La loro era musica molto scritta, ma anche molto
libera. Il problema è che mi sembra che oggi tutte queste tendenze
(contaminazione,fusione di generi etc) diventino dominanti e troppo
esclusive e che non ci siano più gli spazi per quel jazz che pure
è alla base di tutte le sperimentazioni. Io non voglio fare polemiche
con nessuno in particolare. Anche perchè, ripeto, in Italia ci sono
oggi tanti grandissimi musicisti. E' il clima che è pesante. Non
ditemi che il bop non piace al pubblico. Ho suonato l'altra sera
a Piacenza con i miei ragazzi. Abbiamo dovuto fare tre lunghi bis
ed il pubblico si divertiva, era felice. Cosa che non succede sempre
in tanti concerti più "profondi". Io credo che il bop e l'hard piacciano.
E molto. Ma non hanno mercato presso gli organizzatori dei festival,
gli assessorati, le istituzioni
A questo punto è inevitabile
la domanda sul jazz americano, che molti (Gaslini, tanto per fare
un nome) vedono un po' esaurito, stanco, dopo l' esperienza free
Io da Giorgio ho imparato cosa è la libertà
espressiva. Mi ha dato un apertura mentale che con pochi altri avrei
avuto. Gli devo molto, in tutti i sensi. Dopodichè io resto, pur
arricchito dall'esperienza che ho fatto con lui e con altri, un
jazzman ed un hard bopper. E Blakey resta il mio idolo ed il mio
faro. Per Giorgio il jazz è uno dei tanti linguaggi. Lo dico senza
astio, ci mancherebbe altro. Siamo diversi e non c'è niente di male
in questo. Io lo rispetto molto e lo considero un amico vero. Anche
dagli amici si può, serenamente dissentire. Nomi come Joshua
Redman e Chris Potter (un genio!) testimoniano che negli
USA il jazz è tutt'altro che morto. Fra l'altro mi è capitato di
suonare, in un festival, prima di Chris e di essere stato oggetto
dei suoi complimenti. Il che per me ha un grande significato. Ma
anche in Italia ci sono grandi boppers, come
Carlo Atti. Sono gli organizzatori, non il pubblico,
ad averli esclusi. E con
Atti ricorderei Roberto Rossi, un genio
del trombone, Gibellini e tanti altri. Ma io credo che alla
fine nonostante tutto il jazz vero tornerà di moda. Ci sono giovani
straordinari. Mattia Cigalini, che io chiamo "Baby
Phil Woods", o Francesco Lento, trombettista che
ha il suono di un Lee Morgan. E quello "Smell quintet" con
cui ho inciso un disco (Too
close for comfort) nel
2006: Michele Vignali, Marco Bovi,
Nico Menci,
Paolo Benedettini …Sono tutti giovani che amano
suonare bop, anche se oggi va di moda il duo. E me ne dimentico
altri, d'altronde sono tantissimi quelli con cui ho suonato. Chi
li aiuterà ad emergere? Chi valorizza questo patrimonio enorme di
capacità e cultura musicale? Il problema però non è far prevalere
un genere su un altro. Sarebbe l'ora di finirla di coltivare orticelli
chiusi dai quali tenere lontano gli altri musicisti. Di dare un
taglio alle piccole invidie. Io vorrei spazio per tutti, per me
come per gli sperimentatori, per i giovani come per i grandi nomi.
Con il talento come unico discrimen. Oggi non è così.
A proposito di giovani
musicisti. Molti di loro frequentano il conservatorio. Pensa che
questo possa "danneggiare" un jazzman?
Lo studio non fa mai male, sia chiaro, ma
il jazz non si impara solo lì. Anche perchè sulle cattedre siedono
ottimi musicisti che hanno forse la cultura del jazz, ma non l'
anima. Per me si impara ad improvvisare ed a swingare sulla strada,
ascoltando altri musicisti, suonando con tutti. I grandi maestri
non hanno frequentato conservatori
Parliamo infine di questo
disco, di questo quintetto.
Adoro questi ragazzi, li chiamo le mie anime
bop. Emiliano Vernizzi ha un suono strumentale bellissimo
e feeling da vendere. Di Humberto Amesquita, peruviano che
si sta perfezionando al conservatorio di Milano, sentiremo parlare
molto. Roberto Rossi lo definisce già un grande talento,
più una promessa. Simone Daclon è, senza dubbio il miglior
talento pianistico emergente. Mattia Magatelli è il sostegno
ritmico armonico ideale per questo mix di perizia tecnica e di carica
emotiva. Sono orgoglioso di questo gruppo. Presto incideremo in
formazione allargata e ci chiameremo, guarda caso Italian Jazz
Messangers. Certo, progetti del genere vivono anche grazie alla
forza d' animo di tanti appassionati. Mi permetta di ringraziare
Enrico Malucelli, presidente del jazz club di Cento di Ferrara.
Questo disco è uscito grazie a lui. Il jazz vero vive grazie al
lavoro oscuro di persone come lui.
Marco Buttafuoco per Jazzitalia
Centojazz Club Production
www.centojazzclub.com
centojazzclub@libero.it
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Data ultima modifica: 20/08/2010
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