Jazzitalia - Gianni Cazzola 5et: The Weekend Session With The Young Giants Of Jazz
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Giuseppe Paradiso Meridian 71 - "NOMVULA" (Live in studio)


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Enrico Intra
Enrico Intra (Korh Olga)

Mauro Grossi - Matteo Scarpettini
Mauro Grossi - Matteo Scarpettini (Barni Francesco)

Dust Trio
Dust Trio (Barni Francesco)

Simone Graziano - Frontal
Simone Graziano - Frontal (Barni Francesco)

Stefano Bollani - Napoli Trip
Stefano Bollani - Napoli Trip (Barni Francesco)

 

Gianni Cazzola 5et
The Weekend Session With The Young Giants Of Jazz



1. Blues in the Closet
2. Strollin
3. Green Dolphin Street
4. I Mean You
5. Central Park
6. Summertime
7. Perdido
8. Lament
9. Cedar's Blues
10. Off minor
11. Estate
12. Why don't I.
13. Along came Betty
14. Pent up Blues

Gianni Cazzola - batteria
Simone Daclon - piano
Mattia Magatelli - basso
Emiliano Vernizzi - sax tenore
Humberto Amesuquita - trombone

 

È uscito nel corso del 2008, prodotto dal Cento Jazz Club, "The Weekend Session With The Young Giants Of Jazz", album in cui Gianni Cazzola, batterista jazz tra i più importanti in Italia, sulla scena musicale dal 1957, omaggia il Be Bop degli anni '50 e in particolar modo il grande padre delle percussioni, l'americano Art Blakey.

La ricca e variegata tracklist di questo CD contiene il rifacimento di quattordici standard jazz opera di altrettanti famosi musicisti tra i quali spiccano i pianisti Bruno Martino, Thelonius Monk, Cedar Walton, George Gershwin, Duke Ellington, Horace Silver, i sassofonisti Sonny Rollins, Benny Golson, John Coltrane, il trombettista J.J. Johnson e il contrabbassista Oscar Pettiford.

Questi pezzi, composti da artisti che hanno fatto la storia del Be Bop ed eseguiti da Cazzola con giovani con i quali sin dai primi anni 2000 costituisce un quintetto, dal nome evocativo di "The Young Giants Of Jazz", che si concentra sulla matrice dell' Hard Bop, sono arrangiati dai musicisti che li reinterpretano in modo fresco e moderno.

Al sax di Emiliano Vernizzi ed al trombone di Humberto Amesquita, che dettano melodie lineari ma di grande intensità fanno da sfondo la batteria di Gianni Cazzola e il basso di Mattia Mangatelli, sopra cui emerge il suono rassicurante del pianoforte di Simone Delacon, che comunicano una grande carica di swing ed una spinta ritmica notevole.

Tutto questo rende l'album molto orecchiabile e di piacevole ascolto e testimonia, se ancora ce ne fosse bisogno, come Gianni Cazzola, ormai sulla scena jazzistica da più di 50 anni, sia uno dei migliori musicisti italiani nonché uno dei più grandi scopritori di giovani talenti del bel paese.

Alla luce di quanto scritto fin qui non possiamo che lodare Cazzola per il lavoro svolto, come da par suo con maestria assoluta, e affermare, senza paura di essere smentiti, che questo disco costituisca un must sia per gli appassionati della musica jazz degli anni '50 che per tutti coloro che sono alla ricerca di novità.

Elio Marracci per Jazzitalia

Intervista a Gianni Cazzola

Ho cominciato, più di cinquant'anni fa, debuttando con Franco Cerri. Ho attraversato tutti gli stili ed i periodi del jazz italiano. Ho suonato con Giorgio Gaslini, cui devo moltissimo. Con Paolo Fresu. Per dieci anni ho lavorato con Franco D'andrea. Ho suonato nel grande trio di Gianluigi Trovesi, con Gianni Rusca, con cui ho vinto la Coppa del Jazz nel 1984 (C'era anche Boltro), con il maestro di swing Guido Manusardi; accompagnando nel frattempo moltissimi americani, a cominciare da Chet Baker, che passavano da Milano. Poi ho fatto parte di un gruppo mitico, quello di Luca Flores che era un grande uomo ed un meraviglioso musicista. Si sono tutti accorti di lui in ritardo, dopo la sua fine tanto atroce. Eppure aveva un feeling jazz unico. Ho sempre amato lavorare con i giovani: Massimo Urbani, Larry Nocella, Sandro Gibellini hanno fatto parte dei miei gruppi all'inizio della loro carriera. Qualcuno, Arrigo Polillo, ha parlato di me come dell'Art Blakey bianco, proprio per la passione che metto nello scoprire talenti, nel dare ai giovani la possibilità di esprimersi. Gli ultimi sono quelli che suonano in questa session che abbiamo registrato a Cento, lo scorso marzo. Li ho voluti chiamare gli Young Giants of Jazz. Ma intendo farne emergere altri. Primo fra tutti un altista diciannovenne che si chiama Mattia Cigalini. Ne sentirete parlare presto. E tanti altri ce ne sono, che premono per avere spazio…



Gianni Cazzola è un pezzo di storia del jazz italiano. Dopo una carriera tanto lunga è ancora affamato di musica, di novità, di scoperte. E' un uomo entusiasta, ma non contento. Il suo sguardo sul panorama del jazz italiano contemporaneo è anzi molto critico.

In Italia ci sono tantissimi musicisti bravi. Anche fortunati, perché hanno tante possibilità di lavoro ed anche gli appoggi politici adatti. Sono riusciti ad imporre un po' a tutto il nostro mondo una visione secondo la quale è il nuovo jazz, quello cosiddetto creativo, che ha diritto esclusivo di cittadinanza. Pensano che il bop e l'hard bop siano musica superata, d'altri tempi, morta. Io non sono affatto d'accordo con loro. Senza i grandi maestri non si va da nessuna parte. Lester Young, Count Basie, e tutti gli altri, sono ancora oggi creativi; sono i più creativi. Perché hanno lo swing. Ma non è solo una disputa culturale. Questa moda fa sì che molti musicisti restino fuori dal circuito dei festival. Certo, fra costoro ci sono anch' io. Ma insieme a me anche molti giovani cui vengono tarpate le ali

Sembra però che lei dica che il jazz si ferma all'hard bop…

Nella maniera più assoluta no. Io ho vissuto tutte le tendenze del jazz, ho suonato anche il free jazz. Sono stato il batterista di Trovesi, di Gaslini e di Damiani. Ho praticato l' avanguardia, ho suonato musica etnica e medievale con Gianluigi. Ma c'era più libertà allora. Io dentro quella musica ci mettevo dentro la mia anima swing e la cosa funzionava. La loro era musica molto scritta, ma anche molto libera. Il problema è che mi sembra che oggi tutte queste tendenze (contaminazione,fusione di generi etc) diventino dominanti e troppo esclusive e che non ci siano più gli spazi per quel jazz che pure è alla base di tutte le sperimentazioni. Io non voglio fare polemiche con nessuno in particolare. Anche perchè, ripeto, in Italia ci sono oggi tanti grandissimi musicisti. E' il clima che è pesante. Non ditemi che il bop non piace al pubblico. Ho suonato l'altra sera a Piacenza con i miei ragazzi. Abbiamo dovuto fare tre lunghi bis ed il pubblico si divertiva, era felice. Cosa che non succede sempre in tanti concerti più "profondi". Io credo che il bop e l'hard piacciano. E molto. Ma non hanno mercato presso gli organizzatori dei festival, gli assessorati, le istituzioni

A questo punto è inevitabile la domanda sul jazz americano, che molti (Gaslini, tanto per fare un nome) vedono un po' esaurito, stanco, dopo l' esperienza free

Io da Giorgio ho imparato cosa è la libertà espressiva. Mi ha dato un apertura mentale che con pochi altri avrei avuto. Gli devo molto, in tutti i sensi. Dopodichè io resto, pur arricchito dall'esperienza che ho fatto con lui e con altri, un jazzman ed un hard bopper. E Blakey resta il mio idolo ed il mio faro. Per Giorgio il jazz è uno dei tanti linguaggi. Lo dico senza astio, ci mancherebbe altro. Siamo diversi e non c'è niente di male in questo. Io lo rispetto molto e lo considero un amico vero. Anche dagli amici si può, serenamente dissentire. Nomi come Joshua Redman e Chris Potter (un genio!) testimoniano che negli USA il jazz è tutt'altro che morto. Fra l'altro mi è capitato di suonare, in un festival, prima di Chris e di essere stato oggetto dei suoi complimenti. Il che per me ha un grande significato. Ma anche in Italia ci sono grandi boppers, come Carlo Atti. Sono gli organizzatori, non il pubblico, ad averli esclusi. E con Atti ricorderei Roberto Rossi, un genio del trombone, Gibellini e tanti altri. Ma io credo che alla fine nonostante tutto il jazz vero tornerà di moda. Ci sono giovani straordinari. Mattia Cigalini, che io chiamo "Baby Phil Woods", o Francesco Lento, trombettista che ha il suono di un Lee Morgan. E quello "Smell quintet" con cui ho inciso un disco (Too close for comfort) nel 2006: Michele Vignali, Marco Bovi, Nico Menci, Paolo Benedettini …Sono tutti giovani che amano suonare bop, anche se oggi va di moda il duo. E me ne dimentico altri, d'altronde sono tantissimi quelli con cui ho suonato. Chi li aiuterà ad emergere? Chi valorizza questo patrimonio enorme di capacità e cultura musicale? Il problema però non è far prevalere un genere su un altro. Sarebbe l'ora di finirla di coltivare orticelli chiusi dai quali tenere lontano gli altri musicisti. Di dare un taglio alle piccole invidie. Io vorrei spazio per tutti, per me come per gli sperimentatori, per i giovani come per i grandi nomi. Con il talento come unico discrimen. Oggi non è così.

A proposito di giovani musicisti. Molti di loro frequentano il conservatorio. Pensa che questo possa "danneggiare" un jazzman?

Lo studio non fa mai male, sia chiaro, ma il jazz non si impara solo lì. Anche perchè sulle cattedre siedono ottimi musicisti che hanno forse la cultura del jazz, ma non l' anima. Per me si impara ad improvvisare ed a swingare sulla strada, ascoltando altri musicisti, suonando con tutti. I grandi maestri non hanno frequentato conservatori

Parliamo infine di questo disco, di questo quintetto.

Adoro questi ragazzi, li chiamo le mie anime bop. Emiliano Vernizzi ha un suono strumentale bellissimo e feeling da vendere. Di Humberto Amesquita, peruviano che si sta perfezionando al conservatorio di Milano, sentiremo parlare molto. Roberto Rossi lo definisce già un grande talento, più una promessa. Simone Daclon è, senza dubbio il miglior talento pianistico emergente. Mattia Magatelli è il sostegno ritmico armonico ideale per questo mix di perizia tecnica e di carica emotiva. Sono orgoglioso di questo gruppo. Presto incideremo in formazione allargata e ci chiameremo, guarda caso Italian Jazz Messangers. Certo, progetti del genere vivono anche grazie alla forza d' animo di tanti appassionati. Mi permetta di ringraziare Enrico Malucelli, presidente del jazz club di Cento di Ferrara. Questo disco è uscito grazie a lui. Il jazz vero vive grazie al lavoro oscuro di persone come lui.

Marco Buttafuoco per Jazzitalia

Centojazz Club Production
www.centojazzclub.com
centojazzclub@libero.it







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Data ultima modifica: 20/08/2010

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