Südtirol Jazz Festival 2014 Trentino Alto Adige, 27 giugno 2014 - 6 luglio 2014
di Vincenzo Fugaldi
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L'edizione del 2014 del festival altoatesino è stata dedicata
principalmente alla Francia e alle sue proposte più giovani e innovative. Il direttore
artistico della manifestazione, Klaus Widmann, ha effettuato questa coraggiosa
scelta che ha consentito di ascoltare in Italia, per la prima volta, una grande
quantità di validissimi musicisti d'oltralpe, testimonianza di una scena vivace
e artisticamente rilevante.
La parte del festival seguita da chi scrive è iniziata con
Pipeline, un quartetto (Antoine Viard-sax tenore e composizioni, Fanny Lasfargues-chitarra
basso, Ronan Courtry-contrabbasso e Yann Joussein-batteria) insolito nella formazione
e nella proposta. Membri del collettivo Coax, i Pipeline utilizzano gli strumenti
a corda preparandoli, percuotendoli e sfregandoli con svariati oggetti, e propongono
un jazz avanzatissimo che ingloba elementi del punk, del rock e del noise,
non trascurando momenti più statici e melodici. La multiforme dialettica tra il
contrabbasso e la chitarra basso a cinque corde, sostenuti dalla batteria, costituisce
il fulcro intorno al quale si innestano gli assolo del sassofono, liberi ed espressivi.
Il palco del Kallmünz di Merano ha
ospitato il trio composto dal fisarmonicista Vincent Peirani, dal sax soprano
Emile Parisien e dalla cantante Serena Fisseau. Il set è iniziato
con alcuni brani in duo tra fisarmonica e sax nei quali l'interazione è andata crescendo
progressivamente, in equilibrio tra melodia e improvvisazione ardita, ma il concerto
ha subito una svolta con l'arrivo sul palco della cantante. La Fisseau, franco-indonesiana,
ha mostrato capacità interpretative eclettiche e non comuni e una presenza scenica
sobria e delicata, in un repertorio che accostava a due canzoni tradizionali indonesiane
gioielli come Throw It Away di Abbey Lincoln e delle splendide versioni di
Castle Made of Sand di Hendrix e di Luiza di Tom Jobim per sola voce
e fisarmonica.
Nell'ambito del Convegno internazionale "Culture meets economy",
ha offerto una breve performance per arpa elettrica la francese Rafaelle Rinaudo.
Un approccio anticonvenzionale, dall'uso dell'elettronica ad oggettini di ogni genere
(palline di plastica, pistole giocattolo, archetti, sfregamenti delle corde con
vari oggetti tra cui anche un piccolo ventilatore) creavano un bordone aperto a
ogni possibilità. Possibilità che però non venivano colte a pieno dalla giovane
musicista, che a un certo punto si è adagiata su sfumature tipicamente new age.
In tutt'altra direzione è invece andata l'esibizione in solo – nel Passage del Museion
- del chitarrista Julien Desprez, che ha maltrattato la sua Fender con rabbia
e violenza, senza nascondere una tecnica superlativa, alla ricerca di sonorità acide,
durissime, urbane, solo apparentemente disorganiche ma invece guidate da strutture
solide e da un lucido progetto musicale, con un uso sapente degli effetti, alternandovi
momenti contemplativi affidati a sonorità inusuali.
Una serata piovosa non è riuscita a far annullare il concerto
del quintetto "Voix Croisée" del contrabbassista francese Didier Levallet,
che schierava sul palco di Piazza Walther, insieme alla batteria di François
Laizeau, Céline Bonacina ai sax alto e baritono, Airelle Besson
alla tromba e Sylvaine Hélary ai flauti. Uno dei nomi storici del jazz
francese (ha tra l'altro diretto l'ONJF), insieme al fido e navigato batterista,
Levallet ha proposto musiche nelle quali la solida sezione ritmica sosteneva al
meglio gli impasti di sax, tromba e flauto, concedendo ampio spazio alle notevolissime
qualità solistiche di tutte e tre le musiciste. La presenza dei flauti imprime al
gruppo una sonorità particolare, che risalta nelle composizioni originali del leader,
che a tratti richiamano atmosfere vicine ad alcune proposte di
Dave Holland.
Il quartetto Big Four, costituito dal sax alto Julien
Soro (con Stephan Caracci al vibrafono, Fabien Debellefontaine al sousafono
e Rafael Koerner alla batteria) ha mostrato una notevole coesione, e una lucida
progettualità che girava intorno a metriche complesse e a concezioni threadgilliane,
con impasti timbrici giocati sulle sonorità brillanti del vibrafono e sui soffi
bruniti dell'ottone, mentre la batteria sosteneva la complessità ritmica e il leader
si produceva in assolo energici e complessi a un tempo. Composizioni originali (tra
cui la pregevole Land and Freedom, dedicata all'omonimo film di Ken Loach),
uno splendido brano di John Hollenbeck, e notevoli doti tecniche di tutti i componenti
del quartetto, per un set davvero riuscito.
Tra le iniziative che il festival ha condotto in collaborazione
col Museion, la visita guidata dal direttore Letizia Ragaglia alla esposizione
dell'artista Tatiana Trouvé, nell'occasione della quale ha suonato Fanny
Lasfargues, che si è prodotta intorno all'opera dell'artista con la sua chitarra
basso e l'uso di numerosi effetti delle improvvisazioni informali, elaborando suoni
adeguati all'ambientazione.
Il gruppo di punta del collettivo Coax, denominato Radiation 10 (Fidel Fourneyron-trombone,
Aymeric Avice-tromba, Hugues Mayot-sax tenore, Benjamin Flament-vibrafono, Bruno
Ruder-piano elettrico, Clement Janinet-violino, Joachim Florent-contrabbasso, Emmanuel
Scarpa-batteria, Julien Desprez-chitarra) è una compagine senza direttore, di notevoli
potenzialità, che a Bolzano ha forse risentito di uno spazio all'aperto non particolarmente
adatto alla concentrazione che la loro musica richiede, avanguardistica e rigorosamente
austera, con poche concessioni all'ascoltatore. Musica corale, nella quale nessun
solista tende ad emergere, dove le parti scritte si amalgamavano a quelle collettivamente
improvvisate, e che ha preso una piega più comunicativa solo nel bis, ritmico e
dinamico.
Nella cornice suggestiva dell'altopiano del Renon, all'interno del verdissimo giardino
fiorito dell'Hotel Holzner, il trio dei MeTal-O-PHoNe (i già citati Flament
al vibrafono e Florent al contrabbasso insieme al batterista Elie Duris) ha convinto
per una progettualità sopraffina, che coniugava una verve contrabbassistica di eccezionale
livello le con sonorità inusuali del vibrafono elettrico con l'applicazione di effetti
elettronici, dai suoni distorti che lo avvicinavano a un Fender Rhodes. Composizioni
originali cacissime, giusto equilibrio tra parti scritte e improvvisazione, metriche
complesse e arrangiamenti calibrati per una delle migliori proposte tra quelle ascoltate
da chi scrive.
Ping Machine è una big band di ben quindici elementi (giusto citarli tutti:
Frédéric Maurin-chitarra, composizioni e direzione; Bastien Ballaz-trombone, Didier
Havet-tuba e trombone; Stephan Caracci-vibrafono e percussioni; Guillaume Christophel-sax
baritono e clarinetto; Andrew Crocker, Quentin Ghomari, Fabien Norbert-tromba; Jean
Michel Couchet-sax soprano e alto; Fabien Debellefontaine-sax alto, clarinetto e
flauto; Florent Dupuit-sax tenore e flauti; Paul Lay-pianoforte, piano elettrico;
Rafael Koerner-batteria; Raphael Schwab-contrabbasso; Julien Soro-sax tenore e clarinetto).
Formazione esistente da un decennio, con un cd live del
2013 («Encore») l'orchestra ha suonato a Bolzano tre lunghe
composizioni (Encore, Grrr e Trona), un jazz avanzatissimo
e allo stesso tempo collegato ai binari del jazz d'oggi per big band, convincendo
per qualità delle composizioni, arrangiamenti, ricchezza esecutiva, colore. Una
musica costruita nei minimi particolari ma comunque spontanea e fresca, con un bel
senso del collettivo, e spazio per numerosi assolo di grande valore.
La splendida collocazione della Cantina Merano di Marlengo, struttura di moderna
concezione ospitata da locali di elevata qualità architettonica, ha ospitato la
musica di quattro quinti del quintetto Papanosh (Raphael Quenehen-sax alto
e sopranino; Quentin Ghomari-tromba; Thibault Cellier-contrabbasso e Lérémie Piazza-batteria)
che, privi per l'occasione del pianista, hanno suonato un repertorio gradevole e
adatto all'occasione (tra cui So Long Eric e Jelly Roll di Mingus,
La Pasionaria di Haden) con buon affiatamento, mentre in precedenza, nel
corso di una visita guidata alla cantina, ne avevano sonorizzato i meandri con brevi
performance in solo, in duo o in gruppo.
Now vs Now (Jason Lindner-pianoforte e tastiere, Andreou Panagiotis-basso,
Justin Tyson-batteria) è il progetto elettronico del pianista statunitense, che
lo definisce "a progressive-electro-jazz-rock trio". La formazione iniziale vedeva
Mark Guiliana alla batteria, in questo tour europeo rimpiazzato da un giovanissimo
batterista neroamericano. La formula del gruppo (oggi al secondo cd, «Earth Analog»,
dopo l'esordio nel 2009), rimane tuttavia invariata, mescolando con la capace regia
del leader innumerevoli influenze, tutte all'insegna di una concezione ritmica complessa
ma contagiosa e coinvolgente, che ha la grande ed encomiabile capacità di avvicinare
nuovo pubblico, specialmente giovanile, al jazz. La perizia di Lindner nel controllare
con naturalezza il piano elettrico e i synth che affianca al pianoforte trovano
in Panagiotis un partner ideale, che al basso elettrico è dotato di una tecnica
personale e creativa, e interviene anche vocalmente con sapide incursioni di carattere
etnico e con tala ritmici. Dopo l'esecuzione di alcuni brani del nuovo cd,
il trio ha ospitato il rapper Baba Israel, che ha impresso alla musica una
impronta più marcatamente hip hop, proseguita fino al termine del lungo (e
applaudito, e danzato) concerto.
Per la prima volta il festival altoatesino, quest'anno, è uscito dai propri confini.
L'occasione è stata data dalla ricorrenza del centenario della Prima guerra mondiale,
che è stato commemorato a Luserna, minuscolo comune del Trentino, ultima isola linguistica
cimbra, primo paese (allora apparteneva all'Impero Austroungarico) bombardato dall'Italia.
Per ricordare quei tristi giorni, e rimarcare l'assurdità di ogni guerra, sono state
commissionate a tre musicisti (il pianista Christian Wegscheider, il contrabbassista
Klaus Telfser e il vibrafonista Mirko Pedrotti) altrettante composizioni,
che si intrecciavano con letture sceniche di testi legati al tema. I tre, affiancati
da Martin Ohrwalder alla tromba, Helga Plankensteiner al sax baritono
e Matteo Giordani alla batteria, hanno eseguito le complesse partiture con
professionalità e convinzione, esprimendosi in un jazz contemporaneo che lasciava
spazio all'improvvisazione e dava spazio alle letture dei testi inglobandole nel
disegno compositivo.
La chiusura del festival (che ha presentato una quantità di ulteriori eventi in
contemporanea in altre piazze del territorio) è stata affidata, presso lo Stabilimento
battipista di Vipiteno, al duo tra
Chick Corea
e Stanley Clarke. Accolti da un interminabile applauso dal foltissimo pubblico
intervenuto, i due storici partner, sorridenti, loquaci, divertiti e rilassati,
hanno riproposto senza risparmiarsi, oltre ad alcuni standard come il billevansiano
Waltz For Debby, una lunga serie di loro noti notissimi successi (Sometime
Ago/La Fiesta, Light As A Feather, Romantic Warrior, Armando's
Rhumba, La cancion de Sofia, No Mistery), in versioni acustiche
che ne hanno restituito tutte le qualità, grazie al suono preciso e cristallino
di Corea e al sempre sorprendente virtuosismo di Clarke, oltre all'ovvio totale
affiatamento tra loro. Ciascuno, verso la fine del concerto, si è ritagliato uno
spazio in solitudine, più riuscito quello del pianista che ha eseguito un brano
di Scriabin, mentre il contrabbassista è apparso in alcuni momenti del solo meno
convincente.