Jason Moran e Robert Glasper
Roma Jazz Festival 17 novembre 2014
di Nina Molica Franco
Una grande isola nera e alle estremità due pianisti di grande
talento: Jason Moran e Robert Glasper. Infinite possibilità si schiudono
davanti agli occhi del pubblico, in attesa che uno dei due offra qualche indizio
in merito alla direzione del concerto. È Moran a fare il primo passo che inizia
con qualche timido accordo, a tratti un po' cupo, e immediatamente anche Glasper
poggia le dita sul pianoforte. L'equilibrio tra i due rasenta la perfezione; sembra
che con grande razionalità abbiano stabilito i ruoli che ognuno di loro andrà a
ricoprire: Moran crea la fitta trama sonora, l'architettura che sarà poi impreziosita
da Glasper.
Due stili totalmente diversi generano
sul palco qualcosa di inedito che, nella totale diversità degli elementi che lo
compongono, si presenta come un unicum perfettamente coeso. Da un inizio su toni
un po' cupi, a tratti un pò incerto forse, si snoda un'incredibile travolgente ritmica.
Moran assolutamente perfetto nel costruire la tessitura ritmica, attrezzando di
volta in volta il piano con piccoli strumenti percussivi: l'esito è una ritmica
sempre ben presente, razionale e perfettamente studiata. E su questa trama si innesta
la brillantezza sonora di Glasper che sciorina note in una maniera travolgente.
Ma i ruoli non sono affatto fissi, anzi sono per lo più intercambiabili e offrono
così un diverso modo di vedere e di percepire sostanzialmente la stessa idea di
jazz. Due tocchi diversi: più dinamico con dei pianissimi eccellenti quello di Glasper,
ma capace anche di una grande irruenza, dimostrando di gradire poco le mezze misure
passando dal piano al forte in una frazione di secondo. Deciso, percussivo ma dotato
di grande razionalità quello di Moran, l'architetto di questo spettacolo musicale.
Straordinario vedere i due artisti che, quasi non riuscendo a
controllare la velocità delle proprie dita, intavolano una battaglia di note, ma
altrettanto straordinario vedere Moran e Glasper che si divertono, godono pienamente
di ogni singolo suono e esprimono quella leggerezza di cui il jazz ha sicuramente
bisogno. Leggerezza che non si traduce in suoni sciatti o poco curati, ma in un
concerto gestito in ogni sua parte con grande sapienza, a testimonianza della preparazione
tecnica che caratterizza gli artisti e della presenza di un imponente background
musicale alle loro spalle. Emblematici delle differenze che dividono, ma anche uniscono
– proprio perchè esistono – gli artisti, i due soli. Il primo, quello di Glasper
che con grande espressività descrive una melodia viscerale, urgente, una materia
viva che nella semplicità ricerca il suo esito. E subito dopo Moran che con grande
energia non tralascia nessuno degli ottantotto tasti del pianoforte e, con sapienza
magistrale, saltella dall'uno all'altro mostrando straordinarie doti compositive.
Un doppio binario sul quale si procede però in modo parallelo: i due tornano insieme
e Moran riprende il suo ruolo donando ricercatezza ad ogni costruzione musicale,
Glasper dal canto suo fa leva su espressività e emozione. Insomma, alla fine del
concerto il dilemma riecheggia nella mente del pubblico: Moran o Glasper? Diremmo
sicuramente entrambi, nel senso che, se singolarmente sono degli ottimi pianisti,
insieme sono una vera e propria forza della natura, capaci di creare infinite varianti
e infiniti colori musicali.
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Data pubblicazione: 07/12/2014
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