John Zorn – 'Acoustic Masada'
Auditorium Parco della Musica, Roma -
14/07/2005
di Daniele Mastrangelo
'Masada' è fra i tanti progetti di John Zorn quello più coerente ed artisticamente compiuto. Sfruttando le possibilità espressive offerte da un pianoless quartet, il sassofonista newyorkese ha dato libero corso alla sua fantasia compositiva e, a più di dieci anni dalla nascita, sebbene in maniera un po' civettuola, egli poteva giustamente andar fiero al concerto di Roma degli oltre trecento brani scritti per il suo gruppo.
Di tanta felicità compositiva la ragione non sarà certo soltanto la sistematica tendenza del nostro a svolgere la professione di musicista in termini di grandezze algebriche (soltanto Masada dal 1994 conta con un margine per difetto 10 dischi in quartetto, più 8 in formazione allargata, più altri 7 dischi dal vivo) e nemmeno, crediamo, il riflesso di una certa facilità con cui il mercato degli appassionati di jazz sembra comunque gradire le sue opere.
Siamo sicuri invece che due fattori presenti nel progetto 'Masada' permettono a
Zorn ed al suo modo iconoclasta di intendere la musica, di non perdersi nel patchwork postmoderno della giustapposizione di generi musicali.
'Luogo' questo per altro anfibio: che vorrebbe essere reazione alla mercificazione e rischia invece di confermarla non operando tanto dentro i
'generi' (tipi, correnti musicali) quanto piuttosto attraverso la loro stilizzazione.
Questi due fattori sono entrambi forze che provengono dalla tradizione. Da un lato c'è quella del jazz sperimentato per la prima volta dal quartetto di Ornette Coleman nelle incisioni fra il '59 ed il '60. Allora l'assenza del pianoforte lasciava all'espressione della melodia maggior libertà dai vincoli dell'armonia da sembrar quasi di esser tornati dopo il be-bop alla semplicità del canto e a quella sua peculiare capacità di evocare il lamento proprio di un popolo sofferente e schiavo.
Dall'altro c'è la grande tradizione della musica ebraica che, come il jazz, è intimamente legata alle tribolazioni storiche di una comunità e che ha trovato nell'ultimo ventennio, soprattutto a New York dove
John Zorn lavora, la possibilità di sopravvivere e diffondersi nell'alveo della cultura yiddish.
Secondo la formazione presentata al concerto di Roma, 'Masada' prevedeva accanto al suo band leader, Joey Baron alla batteria,
Greg Cohen al contrabbasso e Dave Douglas alla tromba. Tutti musicisti che, ancor prima delle qualità individuali, hanno saputo far prevalere la loro capacità di ascolto reciproco, offrendoci momenti molto emozionanti di improvvisazione collettiva.
Meritano una segnalazione l'incisivo senso del tempo e, insieme, l'eleganza dello stile percussivo di
Baron: mai eccessivo e sempre pieno di musicalità anche quando si limitava a sfruttare pochissimi elementi della sua batteria.
Sicuramente questo concerto è stato una delle più interessanti proposte musicali di jazz delle tante, forse troppe, che hanno riempito i cartelloni dell'estate a Roma. Spesso infatti non ci è stato dato ascoltare nient'altro che qualcosa come degli esercizi ginnici su strumenti musicali o revival di musicisti che sembravano aver superato la prova del tempo soltanto attraverso l'imbalsamazione.