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Marco Tardito Kangaroux Sextet
Jumping With Adriano
Silta Records (2012)
1. 24mila baci
2. Chi non lavora non fa l´amore
3. Una carezza in un pugno
4. Un bimbo sul leone
5. Il problema più importante
6. Si è spento il sole
7. Il ragazzo della Via Gluck
Marco Tardito -
clarinet & arrangments
Giorgio Giovannini
- trombone
Pier Giorgio Miotto - trumpet
Guido Canavese - piano
Stefano Risso - double bass
Enzo Zirilli - drums
Silta Records
email: info@siltarecords.it
web: http://www.siltarecords.it
Non risulta che Celentano abbia mai flirtato con il jazz. Non si possono annoverare
nella sua discografia, infatti, esempi di derivazione né di apparentamento con la
musica afroamericana. Marco Tardito si è dedicato, perciò, ad un progetto
coraggioso e controcorrente provando a rimodellare, a riplasmare brani storici degli
anni sessanta e settanta di impronta rock o beat (come si diceva allora) con un
gruppo di impostazione e cultura jazzistica.
Ogni traccia ha fisionomia dissimile. Il tema o meglio
il "refrain" è illustrato in apertura, a volte e poi abbandonato per un lungo tratto,
fino a riaffacciarsi in conclusione con la potenza del mito, della "hit" che ha
fatto epoca. In altri casi il motivo è nascosto, reso invisibile per tutta l'introduzione.
Improvvisamente sbuca fuori da qualche anfratto e si espande, si dilata per connotare
e ridefinire anche quanto è successo prima. Si colgono citazioni fulminanti di altre
canzoni o brani noti in alcuni pezzi. In "24 mila baci" si può scoprire, ad un certo
punto, una sequenza classica tratta da "Il volo del calabrone". In "Chi non lavora
non fa l'amore" si inserisce, in corso d'opera, una cellula de "La notte è piccola"
delle gemelle Kessler e si intravvedono il Brasile di Chico Buarque e la bossa nova.
In tutto il disco trapela un'ammirazione, una passione non dichiarata per il sound
delle vecchie orchestre Rai degli spettacoli del sabato sera dirette da Gianni Ferrio,
Enrico Intra o Bruno Canfora, riproposte in scala ridotta con un ensemble di soli
sei elementi.
E', invece, ammessa una devozione per Mingus e per il suo gruppo
più famoso, quello con Eric Dolphy, dalle stesse note di copertina. Dall'estetica
del grande contrabbassista discende, forse, l'idea di strutturare i brani come una
successione di scatole cinesi che all'apertura riservano sorprese, in questo caso
con il cambio di atmosfera, di tempi, di dinamiche anche all'interno della stessa
canzone. Tardito dimostra, però, un sincero rispetto per il repertorio scelto e,
pur rivoltandolo, ribaltandone le coordinate sovente, non si permette di stravolgerlo,
né di spingersi verso l'atonalità o il rumoristico. Il suo "trattamento" è ben circoscritto
nei margini: non esce dalle righe, ma contiene lo stesso diversi livelli di elaborazione
o rielaborazione.
Canzoni che, quando sono state pubblicate hanno causato un terremoto
nelle acque stagnanti della musica leggera italiana, qui vengono rilette, in un
certo senso intellettualizzate e private, giocoforza, dell'alone di novità e di
rottura che detenevano all'epoca. Non per questo si deve pensare ad un tentativo
di mettere le briglie a Celentano e al suo mondo artistico, semplicemente Tardito
ha voluto rivisitare i motivi secondo la sua sensibilità e competenza, ma rispettandone
la "sacralità", rendendoli individuabili anche quando "indossano la maschera". Non
ha voluto scalfirne, cioè, l'aspetto di icone inossidabili, di veri evergreen, patrimonio
comune ad una o più generazioni di ascoltatori e fans della penisola.
Accanto al leader, che si riserva interventi opportunamente strutturati
e "saltellanti" con il clarinetto, si impone il trombone dirty, con la sua
voce forte, ben caratterizzata, intinta nel blues di
Giorgio
Giovannini. Il trombettista Pier Giorgio Miotto, da parte sua,
svolge un rimarchevole lavoro di sezione: quando esce fuori in assolo dispiega un
timbro di tipo orchestrale unito ad un sapiente controllo dello strumento.
A Guido Canavese spettano momenti più quieti, autentiche oasi di calma, allorché
i fiati tacciono. Il tastierista torinese ne approfitta per mettere in evidenza
un pianismo meditativo, ricco di sfumature e sottintesi.
A Stefano Risso tocca la funzione di riprendere e di ricordare Charlie Mingus,
o perlomeno di seguirne il mood espressivo con le dovute cautele. Il bassista si
disimpegna nelle parti solistiche con personalità, rivelandosi un puntello ritmico
solido per il resto, su cui possono poggiare gli altri strumenti melodici.
Il batterista Enzo Zirilli è continuamente sollecitato nei cambi di tempo
e di scenario. Risponde con prontezza alle trasformazioni del clima del brano, quando
è chiamato in causa, fornendo colore e sfondo adeguati.
"Jumpin'with Adriano" conferma, in sintesi, le capacità
di arrangiatore e band leader di Marco Tardito, un musicista che ha delle
idee e sa come tradurle in pratica. E' innegabile, fra l'altro, la sua abilità nel
gestire i partner selezionati, poiché riesce a coinvolgerli nella sua maniera di
intendere il jazz e la musica in generale.
Gianni Montano per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 18/08/2012
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