The art of drums... Intervista ad Adam Nussbaum
di Ernesto D'Angelo photo by Gianmichele
Taormina
Adam Nussbaum è un tipo davvero "a posto". Serafico, con una faccia allo stesso tempo rilassata, curiosa e involontariamente irridente. Il suo eloquio è ponderato, pacato, incessantemente accompagnato dal perenne masticare chewing gum. Sembra perdersi, salvo poi riprendere il filo con "illuminazioni" inaspettate. Abbiamo incontrato il grandissimo batterista americano dopo il concerto tenutosi lo scorso 6 Aprile ad Alcamo, organizzato dal
Brass Group locale, nel quale ha sbalordito per doti espressive e tecniche in veste di sideman nel trio della bravissima Rita Marcotulli, insieme all'altrettanto "siderale"
Palle Danielsson al contrabbasso.
E.D.: Per iniziare parlaci del ruolo del batterista. Non sempre è considerato un musicista come gli altri. Tempo fa circolava una battuta: "il batterista è il migliore amico dei musicisti!". Cosa ne pensi?
A.N.: Il batterista è un musicista. È colui che crea le "condizioni ambientali".
Trae stimolo da ogni membro della band e decide con chi interagire. Ogni genere
musicale ci dice che è proprio lui il musicista, per antonomasia, che dà la
chiave di lettura su ciò che si sta suonando. Inoltre è il musicista del gruppo
che è quasi obbligato ad essere il maggiore ascoltatore; quello che deve sapere,
capire, intuire in quale direzione va la musica che si sta suonando.
E.D.: Sbaglio o tra i tuoi concetti preferiti vi è quello per
cui asserisci che: "tecnica non è mani svelte, bensì orecchie svelte"...?
A.N.: Già! Penso che un buon batterista debba innanzitutto essere capace di "sentire" come si sviluppa il "feel" e rispondere, con perizia e rapidità, cercando di comprendere cosa sta succedendo sul palco e suonare quello che può rendere migliore una determinata situazione musicale.
E.D.: Tempo fa in una rivista americana ho letto che ti sei
presentato ad un contest di batteristi con un "armamentario" abbastanza
inusuale: un paio di spazzole e un giornale come superficie da percuotere. Dato
che uno dei tuoi motti è "non essere mai un clone; nessuno suona come te meglio
di te", cos'è per te l'originalità e dicci se esiste un lessico dell'unicità in
musica ?
A.N.: Ogni essere umano è unico e per sua natura impara da ogni persona che lo può ispirare. Io per esempio, sono stato e sono influenzato da ogni musicista che ascolto. Da sempre apro le mie orecchie alla musica africana, afro-cubana, brasiliana (adoro
Elis Regina e Joao Gilberto), a Frank Sinatra, al rock, al
Motown sound, a James Brown, Marvin Gaye, Jimi Hendrix, a tanta musica classica (Stravinskij,
Mahler, Chopin)... musica di ogni parte del mondo. E cerco di incorporare tutti questi miei ascolti in ciò che faccio. È un po' come quando sei ancora un bambino di pochi mesi: guardi tua madre, tuo padre e cercando di copiarli impari a camminare. Ma il tuo modo di camminare, anche se deriva da loro, non è il loro.
E.D.: Tuttavia il tuo modo di incorporare tutti questi stili
rimane assai diverso da quello sintetizzato da alcuni odierni superman dei
tamburi...
A.N.: Sì, in effetti loro hanno un approccio differente dal mio. La cosa buffa è che io ho iniziato suonando rock. Ed i miei modelli erano i batteristi di quell'epoca:
Mitch Mitchell su tutti! Poi adoravo la selvaggia ed eccentrica creatività di
Keith Moon, oltre agl'indimenticabili Ginger Baker e John Bonham. Gente che ha sempre colto l'occasione per mettersi in discussione e che non vedeva l'ora di "correre dei rischi".
E.D.: Stasera tu hai suonato, splendidamente, con Rita Marcotulli. Una grande musicista italiana ma europea in particolare... Cosa pensi della scena jazzistica nel vecchio continente?
A.N.: Penso che i grandi musicisti possano venire da ogni parte del globo. Ed in Europa c'è una notevole cultura musicale. Ovviamente anche l'italia ha i suoi grandi. In più penso che i musicisti europei influenzino i musicisti americani… e viceversa...
E.D.: ...Sì, ma nel jazz ammetterai che esiste una "positiva" differenza tra lo swing americano e quello europeo. Non credi sia difficile mettere nella medesima categoria un
Jeff ‘Tain' Watts ed un Jon Christensen?
A.N.: No, credo piuttosto che ci siano solo musicisti che hanno il giusto "sentire" e il giusto "sound" per fare jazz. La musica, adesso, ispira chiunque da dovunque esso provenga. In Europa ci sono meravigliosi musicisti. Per quanto riguarda il mio strumento
Jon Christensen è fantastico. Han Bennink ha un'incredibile fantasia ed immaginazione e poi apprezzo molto
Daniel Humair, Tony Oxley, Aldo Romano, Roberto Gatto...
E.D.: ...Stasera mi hai tanto ricordato Han Bennink, per il tuo approccio molto fresco, sebbene legato alle radici...
A.N.: ...Questo perché ho una profonda conoscenza delle radici, molta fantasia e mi piace azzardare ogni volta che suono. Mi piace Bennink proprio perché conosce la tradizione ma non si culla sugli allori. Cerca sempre nuove sfide!
Discografia Selezionata
(in ordine cronologico decrescente)Con John Abercrombie
- Open Land (1999, ECM);
- Tactics (1996, ECM);
- Farewell (1993, Musidisc);
- Speak of the Devil (1993, ECM);
- While We're Young (1992, ECM)
Con John Scofield
- Rough House (1978, Enja);
- Out Like a Light (1978, Enja);
- Who's who? (1979, One Way Records);
- Shinola (1981, Enja)
Con Paul Bley
- If We May (1993, Steeplechase)
Con Michael Brecker
- Now you see it...Now you don't (1990, GRP)
- Don't try this at Home (1988, MCA)
Con George Gruntz
- Sins'n'Wins'n'Fans (1996, TCB);
- Monk-Lo-Motion (1995, TCB);
- Blues'n'Duets Et Cetera (1991, Enja);
- First Prize (1989, Enja)
Con Hal Galper
- Ivory Forest (1988, Enja)
Con Jerry Bergonzi
- On Again (1998, RAM);
- Lost Within' the Shuffle (1998, Double Time);
- Just Within' (1996, Double Time);
- Lineage (1989, Red Records)
Con Dave Liebman
- Monk's World (1999, Double Time);
- Homage to John Coltrane (1987, OWL);
- If They Only Knew (1980, Timeless);
- Don't It Again (1979, Timeless)
Con Lee Konitz
- Round and Round (1989, Music Master);
- New York Album (1987, Soul Note)
Con Gil Evans
- Live at The Sweet Basil (1984-85, Evidence o Gramavision)
Con Tom Harrell
- Visions (1990, Contemporary);
- Sail Away (1989, Contemporary)
Con Jaco Pastorius
- Live in New York City – Vol. 5 (1985, Big World)
Con Bobby Watson
- Advance (1984, Enja)
Con Steve Swallow
- Always Right On Pack (2000, Watt);
- Deconstructed (1996, Watt)
Con Dan Wall
- Off the Wall (1997, Enja)
Con Salvatore Bonafede
- Actor-Actress (1990, Ken/Bellaphon)
Con Jim McNeely
- East Coast Blow Out (1989, Lipstick)
Con Nuccio Intrieri
- Jazz My Dear (1994, Splasch)
Con Marc Ducret
- Le Kodo (1988, Label Bleu)
Con Mike Richmond
- On The Edge (1988, Steeplechase)
Con Ron McClure
- Me Jolt (1989, Steeplechase)
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E.D.: A proposito di tradizione: so che hai studiato con Freddie Gruber, mitico maestro di arte percussionistica che annovera tra i suoi "vecchi" allievi gente come Peter Erskine e Bill Goodwin. Cosa ti ha insegnato, dato che tu stesso lo hai "consultato" malgrado già fossi ad un più che notevole livello tecnico-espressivo?
A.N.: Ho preso due lezioni da Freddy. E mi hanno aperto gli occhi. Ha un senso molto acuto per quello di cui un batterista ha bisogno per esprimersi pienamente. Ascolta dapprima con molta attenzione ciò che fai e dopo cerca di ottimizzare le tue abilità. Ogni sua lezione non è standard, ma individuale. E lui è uno che ti fa capire se certi tuoi movimenti impediscono una maggiore naturalezza del "tuo" modo di suonare. Io l'ho contattato perché non sapevo come sviluppare certe mie cose (si fa misterioso il tipo; non specifica! – n.d.r.). Non intendo "non essere all'altezza di...", ma aprire gli occhi
dando corpo a certe idee. E Freddy me li ha aperti!
E.D.: In un seminario tenutosi a Palermo due anni fa, il grande Peter Erskine ha detto che "i più grandi specialisti delle spazzole dei nostri giorni sono
Steve Berrios ed Adam Nussbaum". Dicci qualcosa su questo "lato oscuro" dell'espressività batteristica.
A.N.: Innanzitutto ringrazio Peter, sempre molto buono nei miei confronti! A proposito delle spazzole dico che sono una parte importante della tradizione di questo strumento e permettono di creare molti suoni e tessiture ritmiche policrome. Offrono al batterista la possibilità di stendere un tappeto su cui si possono adagiare tutti i musicisti del gruppo con cui si suona. Puoi suonarle a dinamiche diverse con risultati ogni volta nuovi e ti danno modo di far fluire la musica con cose che le normali bacchette non consentono. Oltretutto faccio molta pratica con loro, ascoltando per esempio, musica brasiliana e cubana, piuttosto che ripetere pattern legati ad uno swing più consueto. Inoltre cerco di mischiare allo swing, stimoli diversi che "mi arrivano" da gente come
Milford Graves e Rashied Ali (batteristi-percussionisti del ‘free' storico, rispettivamente con Ayler e Coltrane – n.d.r.), oppure dallo stesso fantastico
Vernell Fournier (grande maestro delle spazzole, recentemente scomparso, famoso per essere stato il drummer del "mitico" trio di Ahmad Jamal, con Israel Crosby al contrabbasso – n.d.r.). Insomma ho imparato e continuo ad imparare da musicisti tra loro dissimili.
E.D.: Provieni da una famiglia di origine ebraica. C'è un legame,
secondo te, tra il jazz e la cultura semitica?
A.N.: C'è una parte della cultura ebraica legata all'oppressione che è similare ad una parte della storia degli afro-americani. Ma per la mia personale esperienza, cultura ebraica significa soprattutto le mie proprie origini umane ed artistiche, insomma… la mia famiglia! Mia madre era ed è molto coinvolta nella recitazione e nell'arte; mio padre è un meraviglioso artista nel campo delle arti grafiche e della scultura. Una persona molto prolifica ed apprezzata. Sono stato, come dire, "esposto" all'arte, ad ogni tipo di studio, mezzo e mentalità espressiva sin da subito e devo ad una stupenda insegnante di piano, quando ero giovanissimo, l'avere imparato il piacere e la gioia di comprendere la musica. Cosa che tuttora mi appartiene. Sei quello che sei e suoni quello che sei. Il background personale è sempre importante nell'arte!
E.D.: Tu sei un grande sideman. Quando pensi di mettere su un gruppo tutto tuo?
A.N.: Forse lo farò abbastanza presto. Entro i prossimi due anni. Ma lasciami dire che mi sento molto fortunato ad aver collaborato ed aver preso parte a esperienze e band differenti che mi hanno molto arricchito.
E.D.: Quali ad esempio?
A.N.: È difficile rispondere. Innanzitutto per le differenti qualità dei musicisti con i quali ho lavorato e poi perché ogni contesto musicale nel quale mi sono trovato ha comportato l'essere coinvolto in diversi aspetti, sviluppati, ogni volta, in altrettanti modi. Penso proprio che ogni band con cui ho suonato sia stata una buona band. E tutti i musicisti con cui ho collaborato suonavano al loro meglio. Per esempio ho vissuto una fantastica avventura musicale con John Scofield e
Steve Swallow. Shinola è un gran bel disco! Con Swallow continuo a collaborare col suo quartetto e come membro del trio del "vostro" Giovanni Mazzarino. Torneremo in Sicilia, probabilmente il prossimo agosto. Poi ho fatto dei dischi ottimi con musica altrettanto bella con
Dan Wall e John Abercrombie. Così come nell'esperienza avuta con
Jerry Bergonzi e lo stesso Wall. Inoltre penso proprio di essere fortunato ad aver collaborato con gente del calibro di
Stan Getz, Dave Liebman e soprattutto con quel gigante di
Gil Evans. Anche se quella "versione" della Big Band di Gil non credo sia stata giustamente documentata discograficamente. Abbiamo avuto delle serate nelle quali la qualità musicale è stata assai migliore di quanto testimoniano dischi come quello! (Si riferisce al "Live at The Sweet Basil" edito da Gramavision, che proprio in quel momento penzola dalle mie mani. – n.d.r.).
E.D.: Vorremmo sapere di più sulla tua esperienza con Gil...
A.N.: ...Per certi versi unica! Era un uomo molto saggio. Ti spingeva sempre a fare fluire la tua creatività. Ed è curioso che la sua visione assai aperta nell'affrontare ogni tipo di musica ed ogni aspetto di essa si sia ampliata e migliorata con l'andare degli anni. È strano ma molte persone pensano che "giovane" significa "aperto al nuovo" e "vecchio" invece no. A me è accaduto di constatare il contrario: ho incontrato giovani che si sono rivelati meno aperti e creativi di quel grande musicista che risponde al nome di
Kenny Wheeler, che non è più un giovanotto, oppure di quel sorprendente settantaseienne che è
James Moody. Collaborazioni, queste ultime, che mi sono piaciute tantissimo.
E.D.: Un pensiero, per concludere?
A.N.: Ogni situazione musicale in cui mi sono trovato mi ha migliorato e ha fatto venire fuori tutti quegli aspetti che compongono la mia personalità. Perché il cercare di fare la cosa giusta per musicisti ogni volta differenti, contribuisce ad allargare il tuo vocabolario e a non ripeterti.
Ernesto D'Angelo
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Data pubblicazione: 31/03/2003
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