JZAZ – TJF Torino Jazz Festival 11-19 giugno 2022 di Aldo Gianolio foto by Carlo Mogavero
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È sotto titolato "Musica in ordine sparso", il festival jazz di Torino, acronimo
"TJF", giunto alla decima edizione. Non ci sono quindi possibilità di malintesi:
nel fitto programma è presente non solo jazz, ma musica nella sua accezione più
ampia e omnicomprensiva, compresi reading e conversazioni fra addetti ai lavori,
al punto da rendere legittima la trasformazione, nel logo della manifestazione,
della parola "JAZZ" in "JZAZ", invertendo il posto delle lettere A e Z.
La rassegna diretta da Diego Borotti e Giorgio Li Calzi (qui
il programma completo) s'è svolta dall'11 al 19 giugno, ma noi abbiamo potuto
seguire solo tre giorni (13, 14 e 15) e non nella loro interezza, impossibilitati
per ragioni logistiche (una media di cinque eventi al dì, in differenti spazi lontani
l'uno dall'altro - Officine Grandi Riparazioni, Conservatorio Giuseppe Verdi, Auditorium
del grattacielo Intesa Sanpaolo, Teatro Vittoria, Tempio Valdese, vari jazz club
- e spesso cronologicamente concomitanti).
La sera del 13 il concerto del norvegese Ståle Storløkken all'organo nel
Tempio Valdese è stato oltremodo suggestivo. Il tastierista ha cambiato totalmente
genere rispetto alla sua esibizione del giorno prima con il trio Elephant 9 (ci
hanno riferito essere stata una miscela esplosiva di prog, jazz e avant-rock): qui
ha fatto regnare la pacatezza e la rilassatezza giocando con le due tastiere, la
pedaliera e i vari registri dell'organo a canne Pinchi, opus 412, costruito nel
1996 rifacendosi agli organi barocchi tedeschi. È stata una improvvisazione totale
di una cinquantina di minuti, disegnata con un alto senso della simmetria e della
composizione e curando all'estremo, oltre che registri e sonorità, le dinamiche
dei suoni (raggiungendo spesso il ppp).
Mercoledì 14, subito dopo la bella chiacchierata pomeridiana al Circolo dei lettori
fra lo scrittore e giornalista inviato della Stampa Domenico Quirico e il
conduttore radiofonico e critico musicale John Vignola, che hanno toccato
a random vari temi riguardanti il rapporto fra musica e realtà sociale contemporanea,
è stata la volta, all'Auditorium grattacielo Intesa Sanpaolo, della cantante Chanda
Rule, accompagnata dalla Sweet Emma Band, un quintetto coeso e pimpante che
ha preso il nome in onore della rinomata pianista di New Orleans "Sweet Emma" Barrett.
La Rule ha interpretato work song, gospel e blues con voce potente, forte carica
espressiva e groove tipicamente rhythm and blues.
La sera, alle OGR (Officine Grandi Riparazioni), c'è stata
la prima data europea del tour "One Final Music Session" di Milton Nascimento,
uno dei massimi esponenti della musica pop brasiliana che, in attività da cinquanta
anni, ora che ne compie ottanta dà l'addio alle scene. Non è stato brioso come ai
verdi anni, e anche la voce, quella profonda e melodiosa che può salire sino al
falsetto morbido e corposo come il registro acuto di un bel violoncello, ne ha un
po' risentito. Ma il suo personalissimo stile, raggiunto col tempo e da tempo, s'è
mantenuto nella sua commovente forza espressiva attraverso sue canzoni diventate
dei classici, riccamente strutturate e delineanti sfumature emotive eccezionalmente
sottili.
Alle OGR nel tardo pomeriggio del giorno seguente s'è esibita la Torino Jazz Orchestra
con special guest
Dino Piana
al trombone e il figlio Franco alla tromba in un tributo ad Armando Trovajoli
attraverso felici arrangiamenti di sue composizioni più o meno celebri. Fulvio
Albano, che ne è direttore istituzionale, per l'occasione s'è limitato a suonare
i sassofoni, mentre a dirigere è andato Franco Piana (lui e il padre amici
e collaboratori storici di Trovajoli), autore anche degli arrangiamenti. La big
band, formata da strumentisti e solisti di vaglia (Andrea
Tofanelli, Mirco Rubegni, Fulvio Chiara e Felice Reggio
alle trombe; Luca Begonia, Stefano Calcagno, Danilo Moccia
e Gianfranco Marchesi ai tromboni; Claudio Chiara, Valerio Signetto,
Gianni Virone
e Marco Tardito ai sassofoni e clarinetti; Fabio Gorlier al pianoforte,
Aldo Zunino al contrabbasso e Adam Pache alla batteria) ha espletato un sound
compatto, swingante, articolato su diversi piani, call and response fra le sezioni,
linee contrappuntate, il tutto in modo eccitante ed esuberante che può diventare
più riflessivo e introverso, sempre mantenendo grande ricchezza di colori. Su questo
policromo impiantito s'è inserito diverse volte con eleganza e swingante souplesse
il trombone a pistoni del "vecchietto"
Dino Piana,
fra poco novantaduenne.
Ultimo concerto da noi seguito, quello della sera, sempre alle OGR, del quartetto
di uno dei maestri del contrabbasso moderno,
Buster Williams, con
Steve Wilson al sassofono alto e tenore, George Colligan al pianoforte
e, un'altra star del jazz, Lenny White alla batteria. La musica, con la sua
sonorità corposa e vibrante e la sua duttile animosità che si traduce in forme cangianti
e precise, è stilisticamente e pienamente del leader, anche se sia Wilson che Colligan
si prendono ampi spazi solistici. È una musica che rispecchia il suo modo di suonare
il contrabbasso, generoso e al contempo umile, esatto senza sbavature ma spericolato
in certi arditi passaggi, scuro e terroso ma al contempo brillante e risonante:
una delle migliori odierne espressioni di post bop, o mainstream jazz che dir si
voglia.