Matura e cresce la nona edizione del
Ciampino Jazz Festival, apertasi il 10 marzo. Anche quest'anno patrocinata dal Comune di Ciampino, in provincia di Roma, diretta dal sempre ottimo Flavio Severini. Valenza del tutto particolare assume questa edizione completamente dedicata a
Biagio Pagano, fondatore dell'etichetta Via Veneto Jazz, scomparso nel
settembre del 2004 a soli 41 anni.
Le sei serate hanno visto un'affluenza di pubblico straordinaria, nonostante la nuova location all'Auditorium "Vito Volterra", decisamente più capiente della precedente - 300 posti circa – risultati comunque insufficienti a contenere tutti gli appassionati. Particolare attenzione è stata prestata anche nei confronti dei giovani, organizzando per le scuole due concerti di mattina.
10 marzo 2005 – Gianmaria Testa e Gabriele Mirabassi/Roberto Gatto Quintet
Il compito di aprire il Festival spetta ad un duo particolare, quello composto da
Gianmaria Testa alla chitarra e Gabriele Mirabassi al clarino. Il concerto si articola tra chiacchiere, musica e poesie, in perfetto stile "serata in casa di amici".
La musica di
Testa e Mirabassi è un mix di jazz, tango, valzer, ed altri stimoli provenienti dalla nostra tradizione popolare, raccontati da Gianmaria come un moderno menestrello. Preciso e toccante il modo con cui Gabriele suona il suo clarinetto, un vero talento nostrano.
La serata prosegue con l'esibizione del quintetto del batterista Roberto Gatto - di ritorno dal Festival del jazz Italiano in quel di New York -. Formazione composta dal ventiduenne Claudio Filippini al pianoforte – da tenere d'occhio -, Daniele Tittarelli al sax alto e soprano, Roberto Rossi al trombone e conchiglia marina(!)
ed Ares Tavolazzi al contrabbasso, l'altro "vecchietto" del gruppo insieme a
Gatto.
Il set proposto è composto da brani tutti originali, alcuni presentati per la prima volta. Il quintetto è decisamente di qualità, in particolare evidenza
Tittarelli, ed un Tavolazzi da premio Oscar del contrabbasso. Due ricordi nel corso della serata per Shorter ed Urbani. Menzione d'onore all'affidabilissima ritmica evergreen
Gatto/Tavolazzi.
La prima serata si conclude senza particolari sussulti, entrambi i concerti hanno riservato una prestazione musicalmente e stilisticamente ineccepibile, misurata e perfetta, ma senza particolari emozioni.
11 marzo 2005 – Petra Magoni e
Ferruccio Spinetti/Rita Marcotulli.
Serata dedicata prevalentemente all'universo femminile. Inizia Petra Magoni
voce, con Ferruccio Spinetti al contrabbasso. Presentano un happening con brani estratti dal loro lavoro discografico "Musica Nuda". Spesso si rischia, proponendo cover di famosi brani, di cadere nella banalità, questo aggettivo al duo Magoni/Spinetti proprio non calza! Il progetto è particolare, data la struttura del duo.
Potente la voce della Magoni, principalmente nei registri alti – si percepisce l'estrazione lirica - degnissimo l'accompagnamento dell' "Avion Travel" Spinetti. Il repertorio in cui si districano è quanto mai variopinto con brani dei Beatles, Sting, G. Gaynor. In un viaggio a ritroso si salta a,
"Cuore Matto", "Tuca Tuca", poi ancora più indietro con "Non ho l'età" e "Mamma mia dammi 100 lire". La Magoni usa tutto quello che la sua splendida voce le consente, usando gola, testa, petto,
"frantumando" ogni brano come un rullo compressore. Sicuramente una rappresentazione scherzosamente dissacrante, utile a sdrammatizzare la scelta di un duo minimalista e coraggioso. Viene spontaneo chiedersi come sarebbe stato ascoltare la Magoni interpretare un repertorio marcatamente jazz? Nel complesso un appuntamento, divertente, ma con dignità, di questi tempi di "Grande Fratello" non è cosa da poco!
A seguire Rita Marcotulli in piano solo, con un progetto che amalgama musica ed immagini. Originali molti dei temi proposti, alcuni mai offerti in precedenza. Prendendo spunto dalla rappresentazione cinematografica, la pianista sviluppa idee, come ad esempio traslando in alfabeto morse i nomi dei protagonisti di un film di Truffaut, restituendoli in musica. Suggestioni visive che solo un artista attento riesce a cogliere. La Marcotulli incanta, sotto quella sua aria fragile dimostra invece un carattere deciso, unito ad una particolare carica musicale. Pizzica le corde del suo strumento quasi fosse un'arpa, utilizza delle collane all'interno del pianoforte, restituendo così alla musica sonorità riverberanti, ricordi d'altri tempi. Nel suo modo di suonare moderno, ma ricco di riferimenti, trasudano stilemi che ricordano in parte i grandi pianisti del passato, dimostrando pur senza sentirne il bisogno, un pianismo spontaneo ed autentico. Una padronanza dello strumento notevole, un utilizzo della mano destra velocissimo, quasi a recitare uno scioglilingua. Di una eleganza "insopportabile!". Più che meritata la richiesta di bis.
12 marzo 2005 –
Javier Girotto e
Luciano Biondini/Doctor 3
Ancora un doppio appuntamento. Il concerto d'apertura nuovamente con un duo, si tratta di Javier Girotto al sax soprano e baritono e Luciano Biondini alla fisarmonica. Un duo nato verso la fine del 1999, culminato con l'incisione nel 2001 di un disco dal titolo "El Cacerolazo" – la forma di protesta pacifica del popolo argentino nel corso della gravissima crisi sociale del 2001. A questo proposito simpatico l'aneddoto raccontato circa la loro difficoltà di incidere un nuovo disco, decidendo di ripubblicare il vecchio – oramai esaurito – cambiandone la copertina! La serata del 12 marzo è stata un'occasione unica per vederli suonare insieme, in precedenza era accaduto una sola volta a Roma. Si tratta di un duo assai affiatato, il migliore da questo punto di vista e non solo. La loro simbiosi è perfetta, il trovarsi senza cercarsi è immediato. Il modo in cui eseguono la loro musica ipnotizza ed affascina, Girotto con quel suo modo appassionato di suonare ti cattura,
Biondini con la sua verve dirompente è una vera forza della natura. Battono il tempo con i piedi, gemono, lasciando lo spettatore in una costante trance da apnea uditiva: torrenziali! Un moto musicale che strozza il respiro, anche in qualche brano eccessivamente "allungato". Un gradito omaggio a quelle radici popolari e folkloristiche che trovano nella musica argentina, colore, jazz e ritmo.
Il clou della serata - forse dello stesso Festival vista la foto della locandina - è riservato ai
Doctor 3. I tre "Dottori" sono: Danilo Rea al piano, Enzo Pietropaoli al contrabbasso e Fabrizio Sferra alla batteria. Si erano lasciati esattamente un anno fa con la loro ultima esibizione dal vivo. L'occasione del ricordo di
Biagio Pagano ha fatto si che il trio tornasse ad esibirsi. L'emozione, la lunga assenza, alcuni problemi con l'acustica, hanno inizialmente creato uno scarso impatto emotivo. Il repertorio è stato prevalentemente rappresentato da ballad melanconiche, riprendendo in chiave jazz - come è loro costante -
melodie apparentemente estranee.
La musica e la loro grande professionalità hanno comunque fatto il resto, facendo crescere notevolmente nel finale il ritmo ed il pathos dell'esibizione. Da segnalare una gradevole rivisitazione di "La canzone di Marinella" di F. De Andrè. Nel complesso una buona esibizione, segnata da una toccante commozione che ha pervaso l'intera sala. La speranza è quella di tornare ad ascoltarli nuovamente insieme.
17 marzo 2005
–
Stefano Di Battista Jazz Quartet
Doveva essere la serata di Enrico Rava ed il progetto
Under 21, ma a causa di una indisposizione (colpo della strega) del trombettista triestino è stato chiamato a salvare la serata - fresco reduce da San Remo -
il sassofonista Stefano Di Battista ed il suo
Jazz Quartet, composto da: Julian Oliver Mazzariello – appena sceso dal treno! - Dario Rosciglione al contrabbasso e Amedeo Ariano alla batteria. Il sound check effettuato alle 20.00, l'arrivo degli artisti sul filo di lana, c'erano tutti gli ingredienti per una serata nata storta. La scelta del tema cardine della serata non poteva che essere un viaggio collaudato attraverso alcuni classici del passato. L'inizio è subito alla grande con lo standard di D.Gillespie Night in Tunisia, interpretata da
Di Battista con la consueta eleganza, senza eccessi, trascinato dalle suggestioni che lo legano indissolubilmente - lui è la stragrande maggioranza dei sassofonisti - a C. Parker. Segue una intensa esecuzione di Laura, senza dare respiro ad una platea che ha compreso immediatamente che quella sarà una serata da ricordare. Esecuzione ancora impeccabile senza sbavature, il gruppo segue il leader assolutamente all'unisono, ottimo esempio di quello che le parole interplay ed improvvisazione rappresentino. E' la volta di Coltrane e la sua Resolution, con Stefano al soprano, c'è spazio per tutti i musicisti, da segnalare un ottimo intro di Rosciglione ed un solo di Ariano. Presenti in sala, come spettatori, il giovanissimo Francesco Cafiso e Fabrizio Bosso. Quest'ultimo aveva con se l'appendice del suo labbro – la tromba! –
una ghiotta occasione per "trascinarlo" sul palco. Un rapido "briefing" su cosa suonare: accettata l'idea di
Bosso di un blues lento in F. Il risultato, un bellissimo dialogo tra tromba e sax, seguito da una "sfida" tra piano e batteria. Quando Fabrizio soffia in quel suo "pezzo di ottone" è in grado di costruire assoli come pochi al mondo, le suo note ti entrano nelle viscere taglienti come un bisturi. La tromba di
Bosso e il sax di
Di Battista si intrecciano in modo vorticoso creando un effetto scatenante che colpisce senza esclusione di colpi, senza risparmiarsi, un piacere per chi ascolta. Gran finale con Donna Lee, brano complicato. Velocissimo, come lo suonava Parker, il virtuosismo e il tecnicismo dei due fiati produce una musica fresca e giovane, un jazz che richiama la migliore tradizione mainstream e be bop afroamericana, con l'orgoglio di poter dire, senza voler essere banali: i nostri musicisti sono tra i migliori al mondo. Per essere stata una serata
"rimediata" un plauso sincero lo merita Flavio Severini, per essere riuscito con difficoltà a non deludere gli appassionati organizzando a tempo di record il concerto, un bravo a tutti i musicisti per essere riusciti a dare una propria anima ad un repertorio, di certo consolidato, ma non privo di difficoltà non solo esecutive. Meglio
Di Battista non avrebbe potuto fare per offrire un omaggio per i 50 anni dalla morte di Charlie Parker, dimostrandosi musicista serio e preparato, in grado di mettere in condizione chiunque suoni con lui di esprimersi al meglio.
18 marzo 2005 – Mini Disgweedy/Francesco Cafiso Quartet
L'apertura del doppio appuntamento serale spetta alla coppia Giovanni Guidi
al piano e Giampiero Stramaccia computers e turntables. Scelta elettronica quella con cui inizia la serata del 18/3, sul palco due giovani e "spregiudicati" musicisti.
Dosano con giustezza l'utilizzo di elettronica, loops ed effetti, in maniera presente ma non invadente. Una sperimentazione accettabile e ben eseguita
con alcuni cali fisiologici di tensione. Si è trattato comunque di un buon tentativo, utile per cercare di scardinare un'apertura nei confronti di un pubblico
appartenente ad un target più giovane, rispetto alla media dell'appassionato jazz. Di certo fondamentale è proporre qualcosa che sia di qualità, i due ragazzi sono sulla giusta strada, necessitano di ulteriore tirocinio nonostante buono sia l'affiatamento. Va comunque segnalato l'impegno ed una buona dose di professionalità, oltre ad essere talmente emozionati da fare tenerezza! Cromatico sicuramente il contrasto, non solo musicale, tra i due:
Guidi buon pianista di provenienza classica,
Stramaccia
tutto tecnologia e computer. Due anime, apparentemente così diverse che finiscono poi per incrociarsi, come dei poligoni tridimensionali. Argomentazioni particolari da assimilare, tutto sommato sufficientemente apprezzabili, anche per la spontaneità del duo.
Una delle serate più attese, il concerto del quasi sedicenne Francesco Cafiso da Vittoria – Sicilia – Italia. Parlare di lui e della sua esibizione è compito improbo, il rischio è quello di cumulare una serie di banalità e luoghi comuni: fenomeno, marziano, incredibile, stellare ecc.ecc. Nell'immediatezza il primo pensiero, poi rientrato, è stato quello di consigliare poco professionalmente: andatevelo a sentire! Vedendolo sul palco ci si pone ragionevolmente qualche dubbio; un ragazzo come tanti, timido, sempre accompagnato – ci mancherebbe – dal padre. Ma non appena inizia a suonare i dubbi vengono frantumati in un nano secondo, quel "blow" da musicista navigato fa sembrare il sax uno strumento semplicissimo da suonare. Poi quando dismette i panni da adolescente imberbe per trasformarsi in un "super eroe" – mi viene in mente il sillogismo con Clark Kent, l'impacciato giornalista, che nasconde la sua vera natura di Superman! – è l'apoteosi. L'esordio con Happy Time, una sua composizione, c'è tutto nel brano: tempi up, lenti, stop, accenni di vibrato - con quel suo particolare utilizzo dell'ancia - insomma parte dello scibile saxofonico. Possiede un controllo ed una tecnica davvero stupefacente, se pensiamo poi ai margini di miglioramento i limiti diventano inimmaginabili. Ancora un brano dello stesso Cafiso Goodby Ellin e a seguire Sir Charles – dedicata a
Carlo Pagnotta direttore artistico di Umbria Jazz - in evidenza l'intro di Aldo Zunino al contrabbasso, ed un rimarchevole solo di batteria di Stefano Bagnoli.
Il pianoforte di
Riccardo Arrighini è un faro ritmico per Cafiso, è lui che indica la direzione; una mano destra fulminante. Nel corso della serata sono stati proposti alcuni standard, uno su tutti If I Should Loose You. L'adolescente Cafiso sembra trovarsi maggiormente a suo agio misurandosi nei tempi veloci, dove risulta evidente il livello di preparazione. Una menzione decisamente particolare meritano i musicisti che l'accompagnano, più correttamente, che lo appoggiano. Il loro apporto è determinante, anche se relativamente poco evidente – la star è Cafiso – che comunque, da consumato ed equo leader lascia ampio spazio a tutti. Quando non suona si ritrae in un cantuccio a braccia conserte ad ascoltare. Evidente nel suo stile una provenienza classic-jazz, le influenze soprattutto bop, si notano anche nelle sue composizioni. E' ineluttabile che i sassofonisti, ascoltando il passato, ne subiscono il fascino, Francesco riesce ad unire a questo una coinvolgente ventata di freschezza. Il bis è giocoforza! La richiesta di una platea da tutto esaurito è scontata! Bella serata, ma ancora più piacevole è vedere questo giovane musicista innamorato del suo sax alto e della musica jazz: una perla rara. Non appena si sentirà pronto lo troveremo sicuramente ad esplorare nuove e traccianti sonorità.
Una standing ovation meritano Aldo Zunino, Stefano Bagnoli
e Riccardo Arrighini.
19 marzo 2005 –
Javier Girotto e Aires Tango
Serata conclusiva con uno dei gruppi più amati nel panorama jazz italiano, si tratta di Javier Girotto e i suoi Aires Tango. Formazione granitica ed affiatata "on the road" da quasi undici anni.
La configurazione è "pseudo elettrica" con basso a cinque corde affidato a Marco Siniscalco, piano e keyboard
Alessandro Gwis, alla batteria un "tarantolato" Michele Rabbia, il tutto guidato dall'ottimo Javier Girotto naturalizzato "romano dè Roma". I suoni preponderanti sono quelli cari alla tradizione popolare argentina, il tango amalgamato al jazz d'improvvisazione. Molto si è detto e si è scritto su Javier Girotto, il suo modo a volte "urlante", a volte "sguaiato" di suonare il soprano, questo è il suo stile il suo modo di esprimersi, verace e sanguigno come il suo essere Latino. In questa serata è stato presentato un progetto che lega musica e fotografie della sua terra, dando vita ad un album dal titolo Escenas Argentinas. Ad ogni immagine viene associata una esecuzione, il brano che ha dato lo spunto per questa idea è stato il malinconico Immigration, a cui è legato un progetto di sostegno delle mense popolari argentine. Particolarmente toccante l'esecuzione del brano Le nonne di Piazza di Maggio, con l'utilizzo
da parte di Girotto di un particolare flauto traverso, chiamato
moseno, costruito in Argentina da alcune tribù indigene, dal suono delicato che tocca il cuore. A seguire il brano Patagonia, scritto da Javier come da lui descritto, nel terrore che l'ex Presidente Argentino la vendesse per ripianare parte dei debiti contratti nella crisi del 2001!! Tra i numerosi omaggi da lui dedicati a personaggi come: A. Piazzola, Evita, Maradona, non poteva mancare quello a Ernesto Che
Guevara con il brano Che querido Che con il pianofore di
Gwis ad eseguire il tema principale. La serata si conclude con un doppio bis, da segnalare "Miniño" e il modo in cui il brano è nato, una serata trascorsa con i parenti venuti dall'Argentina a mangiare ma soprattutto a bere, non poteva che terminare cantando…..ninne
nanne. L'istrionico Girotto coinvolge il pubblico tutto in un coro del ritornello, mandando definitivamente in visibilio i numerosissimi presenti. Serata conclusiva degna della manifestazione, un gruppo dall'affidabilità totale, un leader che oltre ad essere bravo
è anche simpatico, risulta comunicativo ed accattivante. Indipendentemente dalla sua musica può essere piacevole anche solo guardare il suo modo passionale di suonare.
Si conclude una manifestazione oramai entrata di diritto come tra le più attese del panorama romano. Una sei giorni di tutto rispetto con la presenza di musicisti di razza. Un particolare riconoscimento va all'organizzazione tutta, ed in particolare ad uno stremato Flavio Severini che tra notevoli difficoltà, non solo di carattere organizzativo, è riuscito a portare a termine una pregevolissima rassegna musicale.