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Abdullah Ibrahim
Piano Solo

Auditorium Parco della Musica – Roma, 23 Aprile 2009
di Roberto Biasco

Un distillato purissimo di musica. Un concentrato di idee ed emozioni sonore dispensato nel corso di novanta minuti. Questa è la sintesi del magnifico concerto tenuto dal grande pianista sudafricano all'Auditorium di Roma. L'occasione nasce dalla presentazione del suo nuovo album "Senzo" nel significato di "antecedente" - "antenato" in giapponese – una lunga suite per piano solo, summa definitiva del percorso artista, che nell'arco di cinquanta minuti ripercorre le orme della sua ricerca, musicale e soprattutto spirituale. Partendo da lontano, da Ellington e Monk innanzitutto, passando per John Coltrane, Ibrahim ha sempre mantenuto l'ispirazione costante all'universo della Grande Madre Africa, sin dall'inizio della carriera, nei lontani anni sessanta, quando ancora girava il mondo con lo pseudonimo di Dollar Brand.



I
l maestro, settantaquattro anni portati benissimo, elegante nel suo completo indiano grigio scuro, sale sul palco con pochi fogli di spartito in mano, saluta il pubblico a mani giunte, si siede al pianoforte.

Silenzio assoluto. Poggia le mani sulla tastiera e la magia inizia. Poche note, essenziali, nulla, assolutamente nulla che possa apparire minimamente superfluo o ridondante, una musica che pretende dagli ascoltatori una attenzione, una concentrazione, una devozione assoluta, una ricerca continua di quelle "note non suonate" – ma certamente "udite" se non dalle orecchie, dalla mente - che diventano parte essenziale del concerto.

Un approccio che definire "minimalista" appare sbrigativo e grossolano. Si ascolta il suono rarefatto e sospeso di un pianoforte a gran coda, ma "le note non udite" ci fanno sognare, quasi "sentire" il respiro profondo di una grande orchestra.

L'incantesimo si diffonde, i brani, frammenti ora grezzi ora purissimi di melodia, si susseguono senza soluzione di continuità, legati dal filo sottile dell'ispirazione, e l'artista procede con l'eleganza incerta dell'equilibrista che ondeggia sulla corda, tesa al limite di un abisso di silenzio.

"Hello, darkness, my old friend………"

Di nuovo una lunga, definitiva pausa, ci conduce all'epilogo. Finalmente, liberatorio, scatta l'applauso del pubblico, lungo e forte: l'incantesimo è finito, siamo finalmente "liberi" dal potere incantatorio di questa musica.

Razionalmente l'orologio ci dice che è passata circa un'ora di tempo "reale". Non ne saremmo così sicuri. Quanto "tempo" e quanto "spazio" c'è in un'ora di "questa" musica?

Ma non è finita. Il bis è ancora una splendida suite di mezz'ora circa. Un regalo che il pubblico ha certamente meritato, mai come questa volta protagonista essenziale dell'ineffabile rapporto tra platea ed artista.







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Data pubblicazione: 26/05/2009

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