Facciamo un passo indietro… Sì, perché questo
Eyes and Stripes
viene pubblicato dal Luigi Martinale Quartet un paio d'anni prima del già recensito
Urka, dove il pianista torinese pure si sarebbe avvalso di Nicola Muresu al contrabbasso, Alessandro Minetto alla batteria e Fabrizio Bosso ai fiati, qui ancora fresco di riconoscimento come "Miglior Nuovo Talento" per il referendum di Musica Jazz (1999). E già
Eyes and Stripes presenta, nella complessa semplicità della verve compositiva di
Martinale e nella sua smagliante formazione, tutti i presupposti caratteriali del suo concept
musicale.
Fin da subito il cd colpisce per la limpidezza della registrazione, declinando via via all'ascoltatore, nel corso della stessa, i tratti salienti del lavoro, tutti riconducibili alla fantasia dell'autore ed alla sua personale cifra musicale. Così in
Disappointment, Martinale raccolto nel suo pianismo ben rifinito, e Bosso alla tromba, suono profondo e spedito fraseggio, o più ancora nella take in presa diretta della lead-track
Eyes and Stripes, tanto swing ed un beat cadenzato, Bosso alla mute-trumpet, determinato e coerente il tocco di
Martinale, un soliloquio di Muresu con lessico degno di uno strumento a fiato, e si intravede pure un po' dell'ironia musicale che caratterizzerà ancor di più lo spirito del successivo disco. O ancora in
A gleam of hope, suggestivamente romantica, con un canonico cenno introduttivo che sfocia in una struggente ballad di cui il flicorno si appropria con buona compenetrazione interpretativa. Di ampio respiro il solo del pianista sull'accompagnamento sabbiato delle spazzole di Minetto, ed anche Muresu si ritaglia un proprio spazio, per un'efficace narrazione improvvisativa dai tempi molto riflessivi. Brano che forse soffre della "sindrome del finale". Quindi un medium-fast aperto da un giro di basso e a ruota parte
Alagitz, con progressioni blues che viaggiano su modulazioni pluritonali, arricchite nell'inciso da un andamento armonico più variegato ed un variopinto drumming di
Minetto. Melodicamente meno incisivo, qui
Bosso sembra prestare più attenzione alle sfumature dinamico-espressive del proprio intervento che non alla stesura dello stesso. Pregnato da una beffarda incertezza
Maybe, un distensivo brano melodico in tempo dispari ben inquadrato dalla ritmica, con un intimo racconto del contrabbasso, ma che un arioso motivo del flicorno sembra invece far viaggiare inizialmente sui quarti, creando una continua falsa alternanza ritmica senza soluzione di continuità, che confluisce in un incalzante finale in crescendo. L'unisono di contrabbasso, piano e tromba dà il via a
Sardastic, subito svolta in un'improvvisazione sciolta del piano, e a seguire il vicendevole dialogo fra il volteggio "calabronesco" di
Bosso, il contrabbasso andante e le quattro misure affidate alle colorite pulsioni ritmiche di Minetto rende il pezzo uno dei più freschi, vari e leggeri di tutto il set. Quindi
Billow, dove si rileva il ben riuscito connubio fra l'anima romantica del compositore torinese ed il delicato timbro del flicorno del fiatista, elegante l'assolo del primo, carezzevole quello del compagno, come pure sentito è il solo di contrabbasso, per un frangente particolarmente rilassante. Di diverso piglio
Rhyno, allegro tema boppeggiante scandito dalle precise sticks di
Minetto e sviluppato da un fluido fluire di tasti pianistici, cui si sovrappone il ricco monologo di Bosso, adesso alla tromba. Atmosfera più melanconica quella di
Waiting for leaving, tipica dei ricordi che indugiano prima di una partenza, dove la voce calda del contrabbasso contribuisce con il suo break a delineare il mood del brano… Pacata intro di piano per
Alternando, slow bossa sbarazzina il cui ritmo dondolante è soltanto pretesto per le evoluzioni solistiche dei singoli musicisti, quindi, in finale, omaggio al magistrale
Cole Porter con Hot love, song che infatti liberamente si muove sulla stessa griglia armonica di What is this thing called love?:
è Bosso a svelarne il gioco, con una chiara citazione alla fine del suo sviso,
ma diventerà una sorta di marchio del quartetto, ancora più evidente nel
successivo disco, quello di rimettere la chiusura delle sequenze discografiche a
brani dalla struttura divertente.
Ancora non tanto smaliziato quanto nel lavoro successivo, già comunque
Martinale mostra qui il suo carattere di musicista
completo, compositore sensibile ed autoironico, con una propria linea stilistica
tradotta esecutivamente in atto dal terzetto di validi e brillanti
musicisti-solisti che compongono il suo gruppo. Antonio Terzo
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Data pubblicazione: 22/12/2003
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