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Lezione 9: ...Ricordando Michael Brecker
di Leopoldo Sebastiani
sebastileo@libero.it

Questa volta vorrei proporvi qualcosa di davvero speciale, data l'importanza del personaggio di cui mi accingo a parlarvi. Non molto tempo fa il mondo del jazz ha perduto per sempre una delle sue figure più carismatiche, assistendo ammutolito alla prematura scomparsa del grande sassofonista americano Michael Brecker. Un musicista che ha potuto influenzare più di una generazione di sassofonisti e non solo, uno dei veri grandi protagonisti della fusion, convinto assertore di una possibile sintesi tra i due (apparentemente inconciliabili) linguaggi del rock e del jazz.



Non vi nascondo un certo imbarazzo nel parlarne in questa sede, perché è molto facile cadere nella retorica spicciola, dato che il sottoscritto è tra quei musicisti emotivamente coinvolti, essendone un fan agguerrito…

Memore della grande lezione di John Coltrane, Michael ha ben presto maturato una personale cifra stilistica, con un fraseggio che tenesse in conto della modernità, inglobando insieme Be-bop e jazz modale con le nuove pulsazioni ritmiche del funky, aiutato in questo dall'eccezionale padronanza dello strumento ed in seguito espandendone ulteriormente le possibilità con l'elettronica, grazie all'uso dell'EWI, un sax-synth molto sofisticato in grado di pilotare degli expander e perciò di riprodurre come una tastiera una gamma impressionante di sonorità. Tuttavia Michael era non solo un superdotato sul piano tecnico, ma altresì un musicista di grande gusto e versatilità, talmente duttile da divenire uno dei più quotati turnisti d'America, come testimoniano le innumerevoli incisioni in album pop di prestigio (a riguardo segnalerei le collaborazioni con artisti del calibro di Paul Simon, Joni Mitchell e James Taylor).

Prima di passare all'analisi delle trascrizioni, premesso che si tratta di una scelta di gusto personale, dal momento che è impossibile poter scegliere con obbiettività, vi segnalo due album assolutamente imperdibili: "Three Quartets" del pianista Chick Corea (1981) con una ritmica d'eccezione: Eddie Gomez (contrabbasso) e Steve Gadd (batteria) ed il doppio album live "Smokin' in The Pit" degli Steps (1981, con Don Grolnick al piano, Mike Mainieri al vibrafono, Gomez e Gadd alla ritmica).

Per quanto riguarda il materiale di studio in oggetto, le trascrizioni da me effettuate sono, per i primi quattro esercizi, riff contenuti nei brani a firma di Michael, dunque composti e arrangiati dallo stesso, per cui mi azzardo a dedurre anche la paternità del disegno di basso al sassofonista. Gli ultimi tre esercizi, di una certa difficoltà esecutiva, sono invece frammenti di un magistrale solo contenuto in un bell'album del chitarrista Mike Stern.

1) Peep - il riff sostiene efficacemente il tema, su di un piatto swing. Al basso fretless il grande Victor Bailey. Si faccia attenzione alle note puntate.



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Tra le formazioni più importanti nelle quali Michael ha militato vanno senz'altro ricordate i Brecker Brothers e gli Steps Ahead, i primi con un orientamento più funky, i secondi con un'impronta più jazzistica.

2) African Skies - la splendida pulsazione afro del bassista Armand Sabal-Lecco (collaboratore di Paul Simon nell'album "The rhythm of the saints", 1989) non desta preoccupazione, sul piano tecnico.



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3) Tee'd Off - la prima battuta ed il primo quarto della seconda sono eseguiti col pollice in slap. Interessante momento funky con i fiati in 'staccato' ad incastro.



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4) Sumo - Lo struggente cromatismo della melodia sintetica impone attenzione, anche perché è di non facile memorizzazione. Al basso Victor Bailey, alla batteria il grande Peter Erskine.



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5) Il primo dei tre frammenti tratti dal solo di Michael sul brano Chromazone di Mike Stern ci svela un Brecker in stato di grazia. Ho ritenuto di fare cosa buona trascrivendoli in chiave di basso e diteggiandoli. Naturalmente si eseguono tutti e tre un'ottava sopra. Dei tre questo è il più semplice, laddove si deve tenere conto delle numerose legature.

6) Questa frase impone uno strumento con 24 tasti. Alla fine della prima battuta abbiamo un bending, necessario all'esecuzione del Lab (prima corda), nota fuori registro. Ancora un bending alla seconda misura (nota Sol#), laddove si 'tira' la seconda corda al diciassettesimo tasto, col terzo dito. Numerosi i cambi di capotasto.

7) Consiglio di eseguire questa frase molto lentamente, per impadronirsi della complessa e stupenda architettura ritmica. La frase è tutta al dodicesimo tasto. La seconda battuta suggerisce un bending (nota Sol#), da farsi col primo dito, questa volta non indispensabile e sostituibile da un semplice glissato del primo dito al tredicesimo tasto, per poi ritornare subito dopo al dodicesimo.



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Non mi resta che augurarvi buon lavoro!






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Data pubblicazione: 22/06/2007

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