PROLOGO:
Salute a voi, bassisti e non! Oggi vorrei soffermarmi su una questione che ho particolarmente a cuore, ossia l'incredibile contributo che la black-music ha dato allo sviluppo del linguaggio del basso elettrico con l'avvento del soul (negli anni'60) e del funk (dagli anni'70 in poi); un'eredità
musicale che dovrebbe essere ben conosciuta da tutti gli amanti del nostro strumento e da cui trarre proficui insegnamenti. Lo staccato, il riff, l'uso delle ottave, la tecnica slap sono tutti aspetti del fraseggio contemporaneo alla cui evoluzione la cultura musicale dei neri ha contribuito in modo decisivo.
Musicisti come James Jamerson (il grande turnista dell'etichetta "Motown" di Detroit), Larry Graham, bassista di "Sly & the Family Stone", Ronal LaPread dei "Commodores", Verdine White degli "Earth Wind & Fire", Robert Bell della "Kool & The Gang", Bernard Edwards degli "Chic", Nathan Watts, bassista di Stevie Wonder,
Louis Johnson (turnista con Quincy Jones) sono stati alcuni tra i protagonisti della stagione del funky, il nuovo stile per mezzo del quale la musica soul ha voluto liberarsi da qualsiasi tipo di equivoco nel rapporto con il pop, la musica dei bianchi. Non a caso l'aggettivo "funky" serve a segnalare qualcosa che scuote, che fa tremare, che mette paura. La sezione ritmica impone il groove senza scendere a patti colla voce; il basso elettrico predilige lo staccato con riff essenziali ed energici; fondamentale la sezione fiati, ora usata in maniera contrappuntistica, ora pronta a rinforzare il riff e nel complesso una contagiosa ballabilità tipica del genere e capace di indurre al movimento perfino il sottoscritto, che con il ballo ha una dimestichezza pari a quella di un bue tibetano…
Se poi si considera che in quegli stessi anni alcuni jazzisti come Miles Davis, Joe Zawinul con i
Weather Report, Chick Corea, i
Brecker Brothers, John Mc Laughlin ed altri iniziarono a prestare attenzione a quanto la cultura nera di nuovo stava producendo, ponendosi allora il problema di una sintesi del jazz con il rock e il funky, e che iniziarono a muovere i primi passi grandi virtuosi come Abe Laboriel, Stanley Clarke, Marcus Miller, Anthony Jackson, Victor Bailey, Darryl Jones (tutti rigorosamente con pigmentazione scura) ancor più si comprende quanto la cultura afro-americana abbia influito sul percorso evolutivo dello strumento a quattro corde…
Fatta questa doverosa premessa, occupiamoci ora di
Verdine White, bassista dei leggendari EARTH WIND & FIRE, la più grande funky-band degli anni '70. Il gruppo, un largo ensemble costituito sul finire degli anni '60 dal cantante/batterista di Memphis
Maurice White, fin dai primi album (con "Head to the sky" del 1973 consegue un disco d'oro) si mette in luce con un sound personalissimo e raffinato ed un repertorio duttile che passa con disinvoltura da dance-hits a episodi strumentali non disdegnando romantiche ballads. Su di una ritmica compatta (costituita da piano, due chitarre, basso, batteria, percussioni) si innesta il lavoro prezioso della sezione fiati; le due voci soliste si alternano e spesso e volentieri a
Maurice White, dal timbro energico e svettante sono affidati i brani più
'tirati' mentre il falsetto limpido di Philip Bailey si cimenta con i 'lenti'.
Gli EARTH WIND & FIRE nel periodo che va dal 1975 al 1980 hanno prodotto i loro lavori più pregevoli, album come "That's the way of the world", "Spirit", "All'n All", "I'Am", "Faces" sono autentiche pietre miliari della black-music. I tre brani che ho trascritto fanno riferimento per l'appunto al loro periodo migliore.
1) THAT'S THE WAY OF THE WORLD (1975, tratto dall'album omonimo)
Su di un disteso groove a sedicesimi il basso espone un riff semplice che funge anche da pedale armonico (il termine ‘pedale' in teoria musicale suole intendere un suono prolungato per più battute, realizzato da uno o più strumenti, che si ripropone invariato mentre gli altri strumenti svolgono il loro discorso musicale) su di un turnaround di quattro misure. Rarissimo caso di riff contenente un'intervallo discendente di sesta minore (do-mi).
2) SEPTEMBER (1975, tratto da: "The best of Earth wind & Fire I")
Un ever-green della disco. Sapiente uso (e non abuso) dello staccato (indicato con un puntino posto al di sopra della nota, a differenza del trattino che indica al contrario valore pieno) che trova la complicità di una delle due chitarre elettriche; sempre ricorrente al termine di ogni sezione del brano il passaggio all'ottava alta, mentre l'armonia esplicita il suono aperto del La 13/sus11.
3) LOVE'S HOLIDAY (1977, tratto da: "All'n All")
Anche in questo caso il groove è a sedicesimi, anche se nel corso del tema vi sono delle sospensioni in levare. Interessanti alcune divagazioni armoniche, come ad esempio l'intervallo di settima maggiore (mi-re#) eseguito alla sesta e decima misura e l'intervallo di nona maggiore alla nona (si-do#) e alla dodicesima battuta (fa#-sol#). Attenzione alle articolazioni presenti nella penultima battuta (le note re e do# vanno eseguite accentate e staccate; la nota si è accentata ma non va staccata perché è presente il trattino).
Una riflessione sul suono staccato, due sono le tecniche per eseguirlo: la prima consiste nel sollevare dal tasto (ma non dalla corda) il dito della mano sinistra, naturalmente quando la nota in questione non è a vuoto; la seconda consiste nell'appoggiare in anticipo sulla corda il dito della mano destra che dovrà poi suonare la nota successiva. Ad esempio, dovendo suonare sulla prima corda la nota do (con il puntino sopra e perciò staccata) e poi la nota re, prima pizzico il do con l'indice, poi blocco il suono appoggiando sulla corda il medio che successivamente userò per pizzicare la nota re. La differenza timbrica non è di poco conto, la seconda tecnica da un risultato più soddisfacente. Mi riservo in futuro di ritornare sull'argomento.
Buon divertimento!
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Data pubblicazione: 06/02/2005
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