Intervista a
Gegé Telesforo
direttore artistico dell'Eddie
Lang Jazz Festival di Monteroduni
2 agosto 2005, Hotel Dora, Pozzilli (IS)
di Antonio Terzo
foto di Alessia Scali
A.T.: Questa di direttore
artistico dell'Eddie
Lang non è per te un'esperienza nuova…
G.T.: Infatti, avevo già curato
per cinque anni la direzione artistica di un festival che si tiene vicino Benevento,
il "Banjo Festival": non si trattava di jazz ma forse era anche più complicato
da seguire, in quanto è un festival dedicato ai nuovi talenti della canzone italiana.
Più complicato perché si dovevano svolgere le selezioni, portare su un palcoscenico
attrezzato ragazzi che non vi erano mai saliti prima, accompagnati per la prima
volta da un'orchestra dal vivo; in più c'era anche un concorso, con tutte le complicazioni
del caso, perché è sempre spiacevole mandare a casa qualcuno. Io comunque avevo
la responsabilità della direzione artistica e non quella del concorso. Nel
2000 mi sono occupato della direzione artistica
del festival blues che si svolge ad Arbatax, in Sardegna, "Rocce Rosse Blues
Festival". E adesso qui a Monteroduni, dove credo che ieri la manifestazione
sia partita nel miglior modo possibile, con Marcus Miller Band, un
bel concerto, una band rodata, un musicista che è una star riconosciuta per le nuove
generazioni, affermato negli Stati Uniti soprattutto come producer discografico:
pensiamo che è stato proprio lui a riportare Miles Davis a produrre discografia,
con Tutu… È sempre in
attività, produce dai dieci ai venti dischi all'anno, tra i propri e quelli dei
musicisti che suonano con lui, compreso Michael "Patches" Stewart, di cui
è uscito il nuovo cd, o
Lalah Hathaway,
la figlia del grande Donny Hathaway…
A.T.: Tra l'altro questo
festival ha vissuto in passato dei momenti di stallo, quindi questa edizione mira
a recuperarne i lustri …
G.T.: Sì, me l'hanno raccontato… Io conoscevo l'Eddie
Lang Jazz Festival perché ne leggevo sulle riviste specializzate, sebbene
in quindici anni non avevo mai avuto l'occasione di venirci a suonare né di partecipare
come appassionato. Poi quest'anno a marzo-aprile, mentre ero impegnato come autore
del programma di
Arbore
["Meno siamo, meglio stiamo", n.d.r.] m'è arrivata la telefonata dei
ragazzi dell'Associazione "Eddie Lang" che mi proponevano di collaborare come direttore
artistico per questa edizione. Sono venuti a trovarmi a casa a Roma, abbiamo fatto
una riunione durante la quale mi sono fatto raccontare cosa era successo in questi
quindici anni, mi hanno detto del cambio di gestione politica nel comune – e quando
cambia la gestione politica cambiano pure gli organizzatori… Da quest'anno il festival
è tornato in mano all'Associazione, gestita da appassionati, il che è la cosa più
importante, perché nella provincia italiana ci sono i veri appassionati di musica,
i quali non sono neanche i musicisti: sono proprio i "maniaci" che quotidianamente
si tengono aggiornati, comprano i dischi, vanno a vedere i concerti, spendono i
soldi che guadagnano in musica, senza poi ricavarne nulla… Sono quelle le persone
che poi, all'interno delle varie realtà cittadine, piccoli comuni o anche nelle
grandi città, riescono a realizzare qualcosa, grazie al loro entusiasmo, alla passione.
Avendo così verificato di persona che questi ragazzi erano veramente appassionati,
avevano voglia di fare e di crescere, alla fine ho accettato l'incarico cercando
di mettere a disposizione dell'Associazione di Monteroduni venticinque anni di esperienza
attiva fatta sui palcoscenici, come musicista, il che porta a conoscere i pro ed
i contro delle organizzazioni e delle manifestazioni. Quindi il gusto del musicista,
ma anche del radiofonico – perché faccio radio quotidianamente a Radio Capital,
e quindi tengo un po' il polso della situazione discografica, cosa può funzionare
e cosa meno – mi ha aiutato a creare il cartellone, verificando le proposte che
arrivavano dai vari roasters internazionali; ed alla fine abbiamo composto
un programma che rispetta sì la tradizione del festival, da sempre dedicato alla
chitarra – dato che Eddie Lang fu un grande chitarrista dei primordi, un
rivoluzionario con Django Reinhardt – ma dove, come ho subito fatto presente
ai ragazzi, mi piaceva pure presentare l'evoluzione della musica: un festival in
cui ci sia il talento dei musicisti ma dove ci fossero anche dei progetti. Quindi
tutti i concerti selezionati sono dei progetti, perché molte volte anche nei festival
jazz si vedono dei bei nomi, grandi musicisti, i quali però si riuniscono per la
prima volta giusto per suonare al festival, ed alla fine il repertorio è sempre
costituito da standards, eseguiti con chorus interminabili di assoli,
ed allora tutto diventa piuttosto noioso. In questa edizione abbiamo perciò selezionato
dei progetti: Marcus Miller Band ha il suo progetto, John Abercrombie
con Marc Johnson, Joey Barron e Mark Feldman forma un quartetto
che propone una musica che solo loro possono suonare, Birèlli Lagrène lo
conosciamo, Richard Bona porta la sua band per fare la propria musica,
impressa nel DNA, con grande ritmo, sonorità africane, commistione fra jazz, funk,
groove etnici e via dicendo, così come Dario Deidda, uno dei migliori
talenti italiani, spero per lui che possa presto superare le barriere ed i confini
italiani per far capire che c'è un musicista di portata internazionale, un altro
come Enrico
Rava, Di Battista, ed altri. E poi Niels Petter Molvaer
con il chitarrista Eivind Aarset che è una novità come sonorità, commistione
tra il jazz e l'elettronica, un concerto di suggestive atmosfere. Dunque un festival
che abbraccia vari stili, trasversale, che propone musica a trecentosessanta gradi…
A.T.: … con quella punta
funky che piace a te e ti caratterizza…
G.T.: …assolutamente, è fondamentale… Facendo la radio, seguendo molti concerti
e tantissima musica, mi accorgo che il jazz, sinceramente, a parte la crescita di
alcuni musicisti americani, inglesi, italiani all'estero, viva però un momento di
stallo creativo, sembra giri un po' su sé stesso, su certi schemi. Invece sento
dalla discografia un momento di grande rinascita da parte del soul, dell'R&B rivisitato,
che poi si fonde al jazz… e lo noto perché per esempio anche Joshua Redman,
nel nuovo disco Momentum,
ha utilizzato ritmiche che suonano più R&B e funk, e dove a parte
Brian Blade ci sono tutti musicisti della nuova generazione: è un disco
favoloso. Anche
John Scofield
adesso ha fatto un tributo a Ray Charles prodotto da Steve Jordan,
grande batterista funk, e si tratta di un disco molto funk, molto R&B, Scofield
è un appassionato del genere ormai da tanti anni. Avverto insomma una spinta
molto forte in questa direzione e credo che nei prossimi festival si sentirà moltissimo
questa musica.
A.T.: Immancabile una
domanda sui tuoi trascorsi e presenti "arboriani".
G.T.: Ho una grande amicizia con Renzo, lavoro con lui ormai da più vent'anni,
sono uno dei suoi collaboratori storici, per i concerti, le produzioni televisive,
adesso nell'ultimo programma, dove sono stato coinvolto non tanto come artista,
pur avendo partecipato a 3-4 puntate, quanto come autore. Questo perché ci sono
delle grandissime affinità, conosco ormai il suo metodo, so cosa vuole ottenere,
come imposta il lavoro, e quindi anche in quest'occasione ci siamo divertiti lavorando
tanto, perché con lui si lavora moltissimo, e siamo riusciti a portare a casa un
altro bellissimo successo. Il programma girava attorno alla figura di Renzo, i suoi
trascorsi, con vario materiale d'archivio, presentando la musica che a lui piace
in questo momento, una commistione di swing e musica popolare, e quindi abbiamo
scelto delle band giovanissime, pur sapendo che a Renzo piacerebbe molto riproporre
in televisione, magari in RAI, un programma di musica importante, così come è stato
con " D.O.C.".
Ma questo è molto difficile.
A.T.: A proposito di
musica importante, in autorevoli rassegne stampa s'è scritto di
Stefano
Bollani come scoperta del programma di Arbore, e Bollani
suona da tanti anni…!
G.T.: Perché purtroppo questa è la televisione: quando passi in televisione
esisti, sei qualcuno e stai lavorando. Io ho fatto televisione per tanti anni, in
un certo periodo c'ero tutti i giorni, poi ho un po' abbandonato perché non c'è
stata più la possibilità di poter fare cose adeguate alla mia personalità, preferendo
continuare a lavorare nella musica come musicista, o da direttore artistico, o producendo
i dischi; ma in televisione era diventato molto difficile lavorare. Così quando
la gente mi incontrava per strada mi chiedeva: "Ma adesso che fai?" Che ne
sa il pubblico che stai in giro per il mondo e vivi tre mesi all'anno negli Stati
Uniti! Se non ti vedono in Tv sei quasi inesistente. Così per
Bollani:
è un musicista affermato in tutto il mondo nel circuito jazzistico, ma quando si
presenta in televisione ad un programma di successo, allora diventa uno che "conta",
anche per la gente "normale". Il suo manager mi diceva che la televisione li ha
aiutati nella vendita dei concerti: se prima
Bollani
faceva dieci concerti al mese, adesso ne fa venticinque. Avevo provato a chiamarlo
per venire qui in quintetto, da solo, in trio, ma in questo periodo era impegnatissimo.
Credo che al momento sia in Germania a registrare per la ECM un nuovo disco. Un
musicista jazz con un sano senso dell'ironia e dell'umorismo!
A.T.: E cosa bisogna
fare per tornare a vedere in orari decenti programmi televisivi come "D.O.C."?
G.T.: Ma anche in orari non decenti…! Credo che sia molto difficile, perché
"D.O.C."
è esistito in quanto c'erano allora dei dirigenti che credevano in una televisione
che proponesse cultura, nel nostro caso fatta di musica, con degli autori che credevano
nella musica, come Arbore, Porcelli, Peppe Videtti, il sottoscritto,
un team tecnico eccezionale e musicisti che alimentavano un programma dove
c'erano tre palcoscenici, e che venivano pagati. Oggi la musica in Tv non viene
pagata, perché lì va chi deve promuovere qualcosa, quindi le spese vengono sostenute
dalle case discografiche che hanno il budget a disposizione per poter spesare
i grandi artisti. Certo, in televisione quando vedremo più
Roberto
Gatto, se non viene chiamato da Piero Angela che è un appassionato
di jazz e lo invita a SuperQuark presentandolo come un dinosauro?! Possiamo
vedere Enrico
Rava da Fiorello? Impossibile! Perché
Rava
non garantisce quella quantità di pubblico tale da soddisfare le esigenze di uno
sponsor. Ci deve essere Nek, Giorgia, Lucio Dalla, non
so… chi sia comunque spinto dalla casa discografica che supporta i costi. Personalmente
pensavo che potesse succedere qualcosa sui canali satellitari, un'area di nicchia
televisiva, ma questo non è avvenuto perché i canali satellitari non hanno un
budget per poter creare e proporre musica dal vivo, prendono solo i videoclip
o comprano i concerti in DVD e li ripropongono.
A.T.: Quanto pensi di
dovere ad Arbore?
G.T.: Devo moltissimo a due persone, due grandi maestri, due personaggi che
mi hanno insegnato molto. Una di queste è Renzo, che mi ha fatto capire come muovermi
nell'ambito televisivo, che bisogna pensare sempre prima di tutto alle scelte artistiche,
seguire l'istinto e le intuizioni. E poi è un grande maestro, un rivoluzionario
della radio e della Tv, un grande appassionato di musica, uno che fa tutto cercando
di divertirsi il più possibile: per lui c'è una regola fondamentale, che se ti diverti
tu sul palco, quando sei in scena, allora si divertono anche gli altri. E noi che
facciamo spettacolo abbiamo un obiettivo, quello di divertire il pubblico: e sinceramente
credo che il pubblico non si voglia annoiare.
A.T.: E la seconda persona
alla quale devi molto?
G.T.: La seconda persona è Ben
Sidran, un musicologo, un grandissimo musicista, uno storico del jazz,
professore ed accademico dell'Università di Madison, Wisconsin, per quanto riguarda
il jazz, uno dei migliori produttori discografici degli ultimi anni. Lavoro con
lui da più di quindici anni, ho girato il mondo con la "GoJazz All Stars",
mi ha dato la possibilità di poter suonare con Jon Hendricks,
Clark Terry,
con Bob Berg,
Mike Mainieri,
Phil Woods, Richard Davis, sono stato per un mese al
Paisley Park di Prince, questo meraviglioso studio di Minneapolis, suonando
con i migliori musicisti della nuova generazione funk e R&B, ho suonato con lui
in tour in Germania, in Francia, in Giappone, negli Stati Uniti. Ho davvero imparato
moltissime cose, ho veramente conosciuto tantissima gente, ho ricambiato questa
sua fiducia e questa sua stima cercando di fare quello che potevo in Italia, promuovendo
la sua etichetta, la GoJazz, che
ha un catalogo di 60 dischi bellissimi, e negli ultimi anni producendo anche per
la GoJazz molta musica, investendo i miei soldi. Questi soldi non sono mai tornati,
naturalmente, perché così succede con la discografia… Ma Ben ed io sappiamo benissimo
che un giorno i nostri sforzi verranno ripagati, perché noi facciamo un tipo di
musica che porta economicamente dei risultati soltanto dopo molti anni.
A.T.: Da "D.O.C." ad
una tua etichetta discografica…
G.T.: È da un anno e mezzo che l'etichetta esiste, avendo prima soltanto
prodotto i dischi per la GoJazz.
Poi è successo che la distribuzione della
Gojazz americana in Europa non funzionava, perché dipendeva per
la distribuzione da una società tedesca che poi però a sua volta l'affidava ad altre
case nei vari paesi: per cui il giro era vizioso, perché io producevo il disco in
Italia, lo mixavo e masterizzavo negli Stati Uniti, lì venivano realizzate le copertine,
poi il disco veniva assemblato in Germania e la Germania affidava il prodotto finito
in distribuzione ad altre case… Con un costo eccessivo nella vendita finale e praticamente
senza avere un reale responsabile che seguisse la cosa. Allora, avendo ancora per
un anno il contratto con questa società tedesca, s'è deciso con
Sidran di bypassare il problema
per le nuove produzioni creando due etichette: la
Nardis, americana, guidata
da Ben e dal figlio
Leo, e la
GrooveMasterEdition,
due etichette associate. Per cui io in Italia, avendo un contratto di esclusiva
con la Edel distribuisco anche le
produzioni della Nardis
americana e stessa cosa fa lui negli Stati Uniti e in Giappone, distribuendo attraverso
la sua etichetta le mie produzioni. In attesa, il prossimo anno, di vedere concluso
il contratto con questa casa tedesca, tornare in possesso di tutto il materiale
della Gojazz e darlo in distribuzione
a società più affidabili.
A.T.: Guadagnando in
autonomia…
G.T.: Guadagnando non è esatto… "lavorando", perché la gente pensa "Gegé
Telesforo, ha un'etichetta discografica, gli mandiamo i dischi, magari ci produce,
come direttore artistico di un'etichetta chissà che guadagni….!" Occorre precisare:
avere una etichetta discografica è una bega infinita, perché hai una responsabilità
nei confronti degli artisti che vengono messi sotto contratto, ai quali si deve
produrre il disco, sostenendone le spese, e ai quali si deve garantire un'esposizione
nella promozione. Ora, il costo per la produzione di un disco può anche essere limitato
perché con le nuove tecnologie anche in casa si può registrare bene un disco ed
avere un prodotto finito dignitoso ed accettabile. Certo non a livello dei grandi
studi, ma comunque con un budget discreto si può realizzare un bel disco,
naturalmente in presenza di buone composizioni, bravi musicisti ed idee nuove e
convincenti. Ma ciò che oggi costa nella discografia è tutto il resto: la distribuzione
e la promozione. Perché per far sapere che il disco è uscito si deve comunicare,
e la comunicazione, che avvenga attraverso la stampa o la radio o la televisione,
ha un costo, dato che nulla viene fatto gratuitamente in questo paese. Si deve poi
subire la concorrenza delle multinazionali, di etichette e distribuzioni più forti:
ma come si fa a lasciare per strada il talento della famiglia Deidda o di
Julian Oliver Mazzariello o di
Stefano
Di Battista… Stefano ha iniziato a suonare con me quando aveva 18 anni
e ancora tutti i capelli! E già suonava benissimo. Oggi è uno dei migliori musicisti
del mondo, e fortunatamente in Francia è riuscito a chiudere un contratto con la
Blue Note e adesso con la
Blue Note WorldWide, internazionale.
Ma se fosse rimasto in Italia sarebbe stato costretto a firmare il contratto con
un'etichetta indipendente come la mia, che avrebbe potuto supportarlo solo fino
ad un certo punto. Credo che non appena giungerò a mettere su un catalogo di una
ventina di album, sarò costretto a cederlo ad una multinazionale o ad una società
discografica più importante, perché personalmente non posso investire nella discografia
tutto quello che guadagno facendo il mio lavoro di musicista, direttore artistico,
radio, eccetera,. È una perdita economica, e certamente mia moglie e mia figlia
non me lo perdonerebbero ancora per molto…!
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Data pubblicazione: 06/09/2005
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