Susie Ibarra: batteria, percussioni
Jennifer Choi: violino
Craig Taborn: piano, tastiere, electronics
All'interno della rassegna Jazz&Art del RomaJazzFestival, alla cui realizzazione collaborano
La Palma Club e l'Auditorium di Roma, stasera è di scena il
Susie Ibarra Trio. La forma d'arte con cui il jazz si
contamina in questo concerto è la poesia. Il Trio che prende il nome dalla batterista americana di origine filippina
Susie Ibarra e composto dal pianista emergente dell'avanguardia newyorchese marcata
Thirsty Ear, Craig Taborn, e dalla violinista Jennifer Choi presenta il recente lavoro della Ibarra
Folkloriko (Tzadik, 2004).
L'accostamento della poesia al jazz d'avanguardia del Trio non è affatto casuale: infatti, Folkloriko è composto in gran parte dalla lunga suite Lakbay, dedicata alla giornata di lavoro di un filippino immigrato e il poeta, i cui versi sono inseriti nei brani del concerto attraverso la campionatura di
Taborn, è il filippino americano Carlos Bulosan, autore di intense pagine sulla condizione dei lavoratori immigrati negli Stati Uniti.
La proposta musicale del trio è senza dubbio originale; ulteriore prova, semmai ce ne fosse ancora bisogno, di come l'improvvisazione jazzistica sia capace di accogliere le suggestioni provenienti dalle più diverse tradizioni musicali. I brani eseguiti in trio raccolgono e interpretano, all'interno di un progetto che ha proprio nell'improvvisazione la sua traccia peculiare, elementi di flamenco, musica gitana, africana, dell'estremo oriente e ovviamente filippina. Comun denominatore di questa rilettura della "musica popolare" dalla provenienza geografica così variegata è, comunque, la volontà di portare a espressione quelle tradizioni che rischiano con l'emigrazione di perdersi a contatto con la cultura occidentale dominante.
I momenti migliori del concerto sono quelli in cui è il trio a essere protagonista: a dispetto di ogni schema tradizionale, è spesso il piano di
Taborn a fungere da ritmica per lasciare più spazio possibile al violino volentieri "pizzicato" della
Choi e alle "talking drums" della Ibarra. Meno convincenti sono, invece, anche perché a volte eccessivamente stiracchiati, gli assoli e i duetti che frammezzano il concerto, la cui lunghezza e lentezza a volte ha annoiato. Forse, il motivo di qualche lungaggine di troppo e della stessa brevità del concerto (un'ora circa, senza bis) è dovuta a un repertorio comune che consiste in un unico album.