Bad Plus
la Palma, Roma - 11 luglio 2005
di Marco De Masi
I Bad Plus, esaurito l'effetto sorpresa delle loro prime apparizioni in Italia, coincidenti con il debutto per la Columbia "These are the vistas" del 2002, continuano a stupire ed entusiasmare coloro che, nello spazio di un concerto, tendono a privilegiare ad un'esecuzione magari impeccabile, un ricco gioco di interplay, contagioso e trascinante.
Giunto per la prima volta a Roma per presentare il suo lavoro "Give", il trio, composto dal pianista
Ethan Iverson, dal contrabbassista Reid Anderson e dal brillante maestro dei tamburi
David King, mette in piedi un concerto energico e pulsante che cattura l'attenzione dell'ascoltatore attraverso un percorso di brani originali – tratti soprattutto da quest'ultimo disco – e rifacimenti di brani pop: da Human Behaviour di Bjork a Film di Aphex Twin.
Il dato più interessante che emerge dall'ascolto di questi due pezzi, è la capacità da parte dei tre di non restringere il loro campo d'azione ad una semplice rilettura jazz, accennando la melodia del tema, e viaggiando poi a turno sul terreno più o meno accidentato degli accordi che la sostengono.
No, il loro metodo sfugge a tutto questo: la cellula melodica e quella ritmica – nel caso del brano di Bjork – vengono scomposte e rielaborate con una sorprendente immaginazione, lontana dalle consumate ossessioni jazzistiche, e rivolta invece ad un'espressione incondizionatamente libera.
Se nelle vertiginose evoluzioni melodiche del piano si può in qualche modo riconoscere una certa influenza del free o, addirittura, echi della musica colta contemporanea, il motore del trio,
David King, sembra invece vivere nel suo drumming, di linguaggi così vasti ed eterogenei, da sfuggire ad ogni genere di paragone. Devastante è nel brano di Aphex Twin: la precisione e la fantasia con cui elabora al di fuori di ogni retorica, le linee ritmiche e i timbri, sono sorprendenti; la capacità di interplay con gli altri musicisti è brillante, e in alcuni momenti, la potenza sfogata sui tamburi è tale, da confondere le idee dello spettatore sulla natura stessa della musica suonata: "Ma questo non è jazz!?!" L'effetto è comunque di grande impatto, tantoché le teste del pubblico, solitamente sonnacchiose, iniziano come per miracolo a scuotersi, incapaci di non reagire ad una dose di energia così fresca e coinvolgente.
La forza di questi musicisti dunque, oltre a sostanziarsi ovviamente in una tecnica strumentale solida e raffinata, trova un'adeguata colorazione nell'entusiasmo da cui sembrano in ogni momento di essere pervasi: col
viso mai rivolto verso il proprio strumento, i tre si osservano; cercano di trovare nell'altro lo stimolo per alimentare una creatività che, rifuggendo da ogni eccentricità solistica, si fa voce di un linguaggio del collettivo, ricco ed imprevedibile, fatto di spunti ed intuizioni che, nella loro naturalezza, strizzano l'occhio ad una vitalità musicale, preziosa, oggi quantomai rara.