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Intervista ai Bad Plus
27 novembre 2002 - Teatro Metropolitan (Palermo)
di Antonio Terzo

Un jazz set molto particolare quello presentato da questo singolare gruppo costituito in co-leadership da Ethan Iverson al piano, Reid Anderson al contrabbasso e Dave King alla batteria.

I tre The Bad Plus, attingendo alle diverse esperienze musicali dei singoli componenti, le combinano insieme per porle al servizio di una singolare cifra jazz al confine con pop e rock. E questo è anche il contenuto del loro concerto, dove a fianco di intriganti spunti originali propri, eseguono famosissimi hits sottratti alla storia della musica dell'ultimo trentennio.

Ethan IversonCosì, in Silence is the question (Anderson), al pathos creato dal contrabbasso, si sovrappongono gli accordi arpeggiati di Iverson che infondono al brano un malinconico respiro. Armato di spazzole, King poco a poco fa emergere la sottile linea ritmica, e sul suo drumming molto serrato monta il basso, mentre la percussività del pianismo di Iverson ricorda un sound alla Nyman. Caratterizzato da un affiatato interplay è Keep The Bugs Off Your Glass And The Bears Off Your Ass, uno swing un po' languido dove King con velocità impressionante riesce a seguire e trascinare ogni frangente, ogni frazione di tempo. Come se tutti i ruoli fossero stati invertiti, è il piano a segnare il tempo, la batteria ad eseguire la melodia ed il contrabbasso a rendere l'armonia con accordi.

Segue la prima di una serie di covers, I will survive, celeberrimo brano portato al successo da Gloria Gaynor egregiamente re-interpretato in modo particolare non solo per la rilettura jazzistica, ma anche per lo spirito singolare impresso dall'arrangiamento: con un disegno molto preciso che ripete ciascuna nota due volte, Anderson tesse adesso la struttura armonica, il piano si limita a scandire la melodia e la batteria sostiene la ritmica. Iverson riproduce quasi alla lettera anche il famoso solo orchestrale originale. Inaspettato, sorprendente: il pubblico capisce ed apprezza.

Un'altra composizione di Anderson, Love is the answer, con ancora una lirica partenza di Iverson stravolta dal ritmo latin di King, una sorta di bossanova molto accelerata. Molto ispirato l'assolo del contrabbasso, durante il quale Anderson non cessa tuttavia di rendere anche l'armonia, rinforzata da sporadici accordi del piano, mentre King fruga nella sua dotazione di percussioni, tirandone fuori delle campanelle con cui, alternandosi con il rim-shot, sottolinea l'atmosfera del pezzo.

Pure Boo-wah, nonostante sia di Iverson, sembra un brano al servizio della batteria di King e della sua strabiliante rapidità, i cui accenti terminano esattamente dove si arrestano di colpo le scale di Iverson, per una particolare intesa fra i due. Fulmineo il giovane batterista nel fermare i suoi piatti afferrandoli al volo e stoppandone le armoniche vibrazioni, per un repertorio incredibile di patterns ritmici che si succedono dai suoi tamburi; ed anche le frasi più veloci di Iverson vengono ripetute all'unisono dal rullante di King.

Dave KingEd alla fine le chicche: Smells like teen spirit dei Nirvana, a scoprire ancora il lato rock della band con una batteria ricca di colori e sfumature, e Heart of Gold di Neil Young, retta strutturalmente dal contrabbasso, mentre piano e batteria disarticolano il pezzo smontandolo e rimontandolo a proprio uso e consumo. Iverson arriva a percuotere dall'interno le corde del proprio strumento, mentre King con due walkie-talkie capta strane e fischianti radiofrequenze, facendo innescare gli altoparlanti ed Anderson stride con l'archetto le corde del suo basso. Nell'enfasi dell'esecuzione King prende a suonare sui tamburi con le antenne delle radioline, e sul finale pure un coro a cappella "Keep me searching for a heart of gold and I am getting old".

Richiestissimo il bis, per un altro coro vocal ad introdurre un ulteriore brano sui generis, Big Eater, durante il quale King si esibisce con uno strano strumento, il waterphone, che suona con un archetto da contrabbasso. Sul martellante contrappunto di Anderson al proprio archetto esplode poi la musica, un pezzo pop, leggero. Ancora King sgancia il piatto dal suo supporto per adagiarlo sul timpano e suonarlo percuotendo entrambi.

Forse questo gruppo potrà far arricciare un po' il naso ai puristi, trattandosi di un jazz rock che solo dei ragazzi con la loro voglia di esplorare, di ricercare, potevano esprimere: ma se dovesse capitare di imbattersi in una loro esibizione, suggeriamo di andarli ad ascoltare, giusto per saperne parlare!

Ed un po' di curiosità e spiegazioni le hanno concesse nella breve chiacchierata fatta in camerino.

Antonio Terzo: Iniziamo dal progetto The Bad Plus: come nasce?
Reid Anderson: Siamo cresciuti tutti e tre insieme, Dave ed io siamo entrambi di Minneapolis, e ci conoscevamo allora da 17 anni, da quando eravamo ragazzini e suonavamo insieme nelle rock band. Ethan l'ho incontrato circa 12-13 anni fa, quando eravamo ancora alle superiori, era il mio primo anno al college, così siamo amici di lunga data e suoniamo insieme da tanto. Ma in effetti abbiamo deciso di metterci insieme e formare una band in tre intorno al 2000, perché Ethan ed io vivevamo a New York, a capo di gruppi e suonando con altre band, e Dave viveva a Minneapolis e guidava un gruppo jazz chiamato "Happy Apple", tra le altre cose… A Minneapolis Dave stava dando vita ad una scena jazzistica davvero fantastica… Ci eravamo sempre tenuti in contatto e parlavamo di fare un progetto insieme, e allora noi tre ci siamo accorti di ciò che era logico, che volevamo suonare e metter su una band. Però, creare una band in cui noi tutti potessimo scrivere musica ed apportare le nostre idee… Così abbiamo formato questo gruppo, per essere una band con quello scopo.

Dave KingA.T.: Veniamo a te: che tipo di effetti applichi al tuo basso?
R.A.: Qualcosa che sto provando, è una distorsione, in effetti, la uso davvero poco, non è un vero effetto, è più una equalizzazione del suono. L'ho registrato di recente su un Cd, un disco francese dal titolo These are the Vistas, che in Italia uscirà in marzo, per la Columbia… Abbiamo lavorato con la produzione di Tchad Blake, produttore di musica rock da tanto tempo che lavora, tra gli altri, prevalentemente con Peter Gabriel, Cheryl Crow, Tom Waits, e lui in studio usava questa distorsione sul basso, e dava in effetti un suono più naturale. Così lo sto sperimentando…
Ethan Iverson: Tchad Blake ha vinto un Grammy per una produzione come coreografo di scena… E questo con noi è stato il suo primo progetto jazz.

A.T.: E come avete conosciuto Tchad Blake?
Dave King: Lo conosceva il tizio che ha firmato per Bad Plus alla Columbia, aveva lavorato con lui prima ed io sapevo questa cosa, così ho chiesto a questo tizio di contattare Tchad per vedere se fosse interessato a lavorare con noi… E così lui ha inviato a Tchad la nostra musica e gli è piaciuta, e da lì siamo andati nello studio di Peter Gabriel in Inghilterra e abbiamo registrato una settimana con Tchad, nel periodo settembre e ottobre.

A.T.: Ethan, le recensioni indicano come tue influenze musicali Stravinsky ed Ornette Coleman, il che rivela un background classico: come hai avvicinato la musica jazz allora?
E. I.: Sono cresciuto suonando jazz, la musica classica è stata la mia seconda lingua. In effetti mi considero un musicista classico maturo, ho suonato musica classica, professionalmente, per il Mark Morris Dance Group. Ascolto tanta musica classica, ma quasi mai è mia intenzione fare qualcosa di diverso dall'essere un pianista d'improvvisazione.

A.T.: E riguardo la tecnica, come concili l'essere allo stesso tempo musicista classico e jazz?
E.I.: E' vero che se pratichi il repertorio pianistico classico, ciò può ampliare la tua tecnica in maniera da esprimerti in modo molto coinvolgente… Dal punto di vista dell'armonia, mi sento come una gazza, penso!

A.T.: I tuoi punti di riferimento jazzistici, i tuoi modelli?
E.I.: Amo tutti i pianisti jazz, specialmente Thelonious Monk, Keith Jarrett, McCoy Tyner, Art Tatum

Reid AndersonA.T.: Ma se dovessi dirne uno solo?
E.I.: Uno solo? Uhm, Thelonious Monk!

A.T.: E tu, Reid, per il basso?
R.A.: Jimmy Garrison, se devo dirne solo uno.

A.T.: E batteristi, Dave?
D.K.: Direi Elvin Jones.
E.I.: Sìììì!
R.A.: Mi preme spiegare una cosa a questo riguardo. Credo infatti che le influenze classiche di Ethan si ritrovino nel modo in cui lui suona e compone, e ritengo che tutti noi risentiamo delle stesse influenze… So qualcosa di musica classica anch'io quando assimilo quell'influenza anche sulla mia musica, a vantaggio di noi tutti, sia che si tratti di scrivere canzoni pop o musica elettronica… Vedi, suoniamo con varie influenze, che sono molto importanti per ciascuno di noi.

A.T.: Che tipo di musica ascoltate a casa?
D.K.: Tutti i generi di musica… Non soltanto jazz, ma rock, musica elettronica, classica, hip-hop…

A.T.: E di solito ascoltate assieme i CD?
D.K.: Certo! Specie in viaggio…

A.T.: Ethan, alcune domande sulla tua discografia. Emerge una sottile ironia dal fatto che hai pubblicato contemporaneamente Construction Zone e Deconstruction Zone
E.I.: E' stato un errore, poiché adesso sento che era troppo difficile capire quella coppia di dischi...

A.T.: In che senso un errore: ritieni che avresti dovuto farli in tempi diversi o è stato un errore comunque farli?
E.I.: Credo proprio che il titolo fosse difficile da comprendere. Ma provare a vendere due dischi quasi con lo stesso titolo penso sia davvero dura!

A.T.: Ad ogni modo, con essi sei stato capace di focalizzare su di te l'attenzione dei critici, a causa di quella rilettura degli standards: e la critica ha ritenuto tu fossi "irriverente"!
E.I.: Penso che l'idea di Deconstruction adesso stia continuando per incorporare the Bad Plus… Sai, noi suoniamo musica dei Nirvana, degli Blondie ed altri, anche più "decostruita" che la musica in Deconstruction Zone.

A.T.: Dave, cosa pensi della scena jazzistica italiana, soprattutto riguardo i musicisti italiani?
D.K.: Conosco parecchi musicisti, Aldo Romano e altri, ma devo dire che questa è la prima volta per me in Italia, così adesso sto praticando di più la scena jazz italiana, ma non ne so molto per ora.

Reid Anderson , Dave King, Antonio terzo e Ethan IversonA.T.: Pensate che ciò sia dovuto al fatto che i nostri musicisti jazz trovano qualche difficoltà a farsi conoscere negli Stati Uniti?
E.I.: Vedi, molti di noi hanno ascoltato l'Enrico Rava Quartet, con Roswell Rudd, Jenny-Clark e Aldo Romano, perché lavora con l'ECM. Si tratta di un disco italiano di jazz che noi potremmo conoscere, come altri musicisti di New York potrebbero conoscere artisti della CAM Records. Ma invece non lo conosciamo… Io sono uno che ascolta ogni pianista si possa trovare in giro… Così conosco Franco D'Andrea e Salvatore Bonafede, ma solo un po'… Sono grandissimi musicisti…

A.T.: E tu, Dave?
D.B.: Il pianista che suona con Enrico Rava, appunto...(ndr. Stefano Bollani)
E.I.: Il fatto è che adesso da noi si vedono musicisti che suonano un jazz di alto livello. La domanda è: suonano ad alto livello da sé o suonano riprendendo musicisti di alto livello? E questa domanda penso non abbia risposta… E questo vale anche per l'America, è vero ovunque nel mondo.

The Bad Plus con Gianmichele Taormina (photo by Antonino Siragusa)A.T.: Ma forse in America ci sono più opportunità?
E.I.: Ovviamente, tuttavia, dico, in America il livello del jazz è alto, il punto è che ascolto la radio e non so dire chi stia suonando: quando Thelonious Monk o Keith Jarret suonano, non c'è dubbio su chi stia suonando!

A.T.: Che tipo di musica intendete portare avanti con il vostro progetto?
R.A.: Penso che, se possiamo dire così, tutti noi sentiamo di star sviluppando quasi un nostro personale linguaggio. Il modo in cui comunichiamo tra di noi, il modo in cui qualunque motivo proponiamo, si tratti di un pezzo rock, o un pezzo dei Nirvana o di Neil Young o un brano originale, esso viene trasformato dal nostro gruppo. Ed anche il fatto che tutti ne comprendono la "forma", come il fatto che c'è intesa fra noi sul presentare la musica in maniera molto chiara… Ma siamo anche tutti improvvisatori, stiamo tutti sviluppando il nostro sound. Penso sempre di più alla comprensione del nostro personale linguaggio ed al suo sviluppo e a dare a noi stessi libertà di suonare qualunque cosa desideriamo suonare e nel modo in cui vogliamo suonare.

A.T.: Dave, due parole su quello strano strumento sul palco…
D.K.: Beh, è uno strumento ad arco chiamato "water-phone", è anche uno strumento raro, fatto negli anni '70 da un tizio californiano, quello mio è stato costruito credo nel '78, ed i pochi esistenti possono essere stati fatti da quest'uomo che si chiama Richard Water. Il suo archetto produce diverse scale e toni, e suona grosso modo come uno strumento indiano, dell'India Orientale.







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Video:
THE BAD PLUS
incrivel!!...
inserito il 30/11/2006  da muktidub - visualizzazioni: 3055


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Data pubblicazione: 22/03/2003

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