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Festival Jazz di Stoccolma
18-22 luglio 2006 - Stoccolma
di Alessandro Armando
foto di Alessandro Armando / digital enhancing di Leonardo Schiavone

Delle «cose», quando sono difficilmente definibili, spesso si elencano le caratteristiche, si descrivono gli usi, si offrono elementi per tentare una spiegazione-descrizione il più esauriente possibile.

Avete mai provato a farlo con il «jazz»? Lasciate al jazz la libertà di essere una semplice «cosa» e incuneatevi nel lungo percorso delle sue caratteristiche.



Al Festival Jazz di Stoccolma dell'estate 2006 è possibile analizzare la galleggiabilità del jazz, cioè una delle caratteristiche di una «cosa».

Non è fondamentale ritrovarsi sui risultati della propria interrogazione, ma è impossibile non chiedersi se il jazz galleggia oppure no, mentre si atterra nella Venezia del Nord. Stoccolma è un arcipelago di microscopiche isole, ordinate, fresche, dipinte di verde e turismo, con i palazzi bassi, larghi e caldi. A luglio un piccolo raggio di sole la tocca per tutto il giorno, non è mai buio se ci si rivolge verso nord. In tutta questa acqua che da mare diventa grande lago e poi canale per poi ritornare ad essere mare, in tutto questo ordine (lo stereotipismo del cervello italiano subito pensa di essere atterrato in Svizzera), in tutto questo luglio senza ombrelloni e di regali palazzi ancora utilizzati e rispettati, dove la si sistema una settimana di jazz? come la si chiama? e chi ci si fa suonare? E soprattutto, galleggia?

Habitat naturale è l'isola di Skeppsholm che si affaccia sul porto della città. Qui dal pomeriggio sino a notte per cinque giorni, sul medesimo palcoscenico, si alternano musicisti dai 16 ai quasi 80 anni (per quanto riguarda il pubblico si scende sino ad anni 1 con in dotazione cuffie gratuite per non essere disturbati dal jazz mentre si "partecipa" all'evento); musicisti sconosciuti e pop star tutti inseriti e galleggianti all'interno del cartellone del Sthlm Jazz. E così anche il nome è cosa fatta, è sufficiente togliere le vocali e si ha anche una prima immagine del jazz che si suona sull'isola: cioè tutto ciò che al jazz può assomigliare e che non si potrebbe definire in altro modo, come quando si legge "jzz" senza la "a" e si sa perfettamente di cosa si sta parlando.

Il parco del festival è ben legato-raggiungibile al centro della città (forse questo è un strumento per un buon galleggiamento e per offrire la possibilità di galleggiare) dove in un cubo blu chiamato Konserthuset (conservatorio/casa della musica) ogni giorno la musica ha inizio.

La porta della "casa della musica" è aperta da musicisti svedesi capaci di accogliere, svegliare e stupire. Perché il palco ligneo del conservatorio è attraversato da duo di elevata liricità: George Riedel e Jan Lundgren che raccontano la tradizione della musica nordica con un infinito ed immediato dialogo tra pianoforte e contrabbasso, ma anche da giovanissimi musicisti come il quartetto Hot Club de Suede: musica manouche, omaggi di rara precisione per Django Reinhardt, eseguiti da jazzisti che sembrano una coverband dei Nirvana. E' il pubblico è spiazzato, ha bisogno di un aiuto, un appiglio perché la dedizione e la tecnica di Andreas Oberg (chitarra e leader del quartetto) è tale da riportare tutta l'atmosfera di una Vie en rose nel centro di una capitale del nord.

I jazzisti svedesi sotto i trenta anni di afroamericano hanno le scarpe All-Star (che sono molto americane e poco afro) e soprattutto una conoscenza storico-tecnica che forse non ha uguali in Europa. Sono biondi, magri, di pelle bianchissima e raccontano la loro arte con la voce (Anna Chiristoffersson) e la leggerezza di una donna nera di New Orleans. L' ossimoro che questo palcoscenico presenta ogni giorno diventa in poco tempo "terra ferma", ricca di sicurezza dalla quale galleggiare.

Il festival può procedere nel suo pomeriggio, a Skeppsholmen, sul mare sino a notte, poi tornerà in città.

Lisa MiskovskyLa struttura delle diverse giornate ha il medesimo ritmo: le prime ore al parco sono dedicate a musicisti non-jazz: la loro musica prepara o disorienta rispetto a ciò che si ascolterà in serata, non si sfiora l'acqua non si galleggia, si aspetta ballando il rap di Petter e Kanye West o le voci rock e folk di Lisa Miskovsky, Eva Dahlgren o ancora Lindha Kallerdahl. Tutto è legato dalla passione, dalla bravura che questi musicisti mettono sul palco a ridosso dell'acqua. Tutto è un unico inno alla musica ricco di rispetto per il jazz, di devozione anche verso il luogo nel quale si sta suonando. Si sentono scuse per i mancati assoli, per le troppe "canzoni" come dichiarano i Fiction Plane del chitarrista e voce Joe Summer (figlio di Sting), ma soprattutto si ascolta energia musicale, si vive la piacevole inondazione musicale che dovrebbe caratterizzare i festival come discriminate rispetto alle rassegne o ai singoli concerti.

Il palco è però anche luogo di sana partigianeria: molti sono i gruppi di giovanissimi jazzisti svedesi, spesso conosciuti ad una parte del pubblico e che hanno la reale possibilità di farsi ascoltare in una cornice (arcipelago) di importanza internazionale. Il fatto che il Sthlm Jazz Festival 2006 presenti artisti che per la prima volta si esibiscono in un appuntamento così importante è tradizione ben consolidata nel nord Europa.

La preparazione scolastica, gli investimenti pubblici nel campo della musica non solo "colta", la pubblicizzazione interna dei propri migliori talenti, sono prerogative di queste terre invase di jazz che non a caso vedono nascere (e crescere) artisti capaci di attraversare il mondo del jazz con il loro talento, con il loro timbro colto ed aperto, potente deciso e già ben definito e innovativo prima della consacrazione internazionale o della pubblicazione di lavori per le etichette più importati. Sono musicisti che hanno maestri (e idoli) in casa, che sanno emergere in un panorama che avendo grande ricchezza è altamente competitivo. E' il caso del pianista Oscar Johansson che si è esibito in quintetto: la somma delle età dei cinque musicisti non raggiunge gli anni di quella che viene chiamata storia del jazz per quanto si cerchi di siglare il suo inizio in decenni lontani; oppure del funambolico flautista Magnus Lindgren che ha un colpo di fiato che realmente sa parlare di sospensione, di galleggiamento. L'interplay del suo quartetto trasporta su un mare annegato in un club di musicisti vissuti, leggendari che mantengono il suono fresco e sicuro. Interpreta Caravan con la dedizione di un attore protagonista per una sceneggiatura che ama. Solleva il jazz.

Il jazz di Stoccolma muove verso sera. Il parco di Skeppsholmen ospita musicisti che hanno già il bagaglio musicale e culturale di chi attraversa il mondo con il proprio strumento con la propria musica. Il pubblico li segue, forse li insegue, spesso a loro si aggrappa per non affondare. La musica del saxofonista Jonas Kullhammar è ampia e distesa il sul velo dell'acqua " a riposo": la galleggiabilità è il risultato di ponderazioni e calcoli di peso, pressione, volume, massa non solo di leggerezza. Le note di Kullhammar galleggiano perché portano con se la tradizione del jazz, perché sono dense e pensate. La vasta produzione musicale di questo musicista racconta la devozione verso la grandezza della storia del jazz, verso l'indispensabilità di una musica che ha ormai qualcosa di classico.

Il galleggiare è anche tensione ritmica, velocità di un passaggio ed è raccontato dai colpi di basso elettrico e contrabbasso di Avishai Cohen che in trio con i newyorkesi Barsh (piano) e Giuliana (batteria) può trasformare l'attesa dei concerti serali in una festa dipinta di perfezione, rock, canto ebraico. Cohen sa essere leader e la sicurezza della sua personalità non si limita al palcoscenico, ma anche in conferenza stampa dove racconta la sua vita di contrabbassista (in particolare il legame con Chick Corea) e di compositore. La sua composizione, al pianoforte, è racconto della sua scelta abitativa: recentemente è ritornato in Israele sentiva New York lontana dalla realtà difficile che la sua terra sta attraversando: "io sto bene a Gerusalemme e questa è la forza della mia musica" e poi continua "la mia musica parte da quella terra, non importa se la suoniamo in un piccolo club d'Europa o su un grande palcoscenico come questo, sono due momenti differenti, due arti differenti ma io le amo entrambe!".

Il concerto di Cohen e di molti altri musicisti nella Stoccolma di luglio sono traccia di un festival che può galleggiare.

La potenza dell'organizzazione (ai limiti della perfezione per puntualità, dislocazioni, cartellone.. stile!) ha però la possibilità e la pretesa di far arrivare sull'isola nomi enormi della musica contemporanea che se vengono letti ad elenco potrebbero rappresentare la storia di un festival, non il cartellone di una sua edizione, provate: Sting, Maceo Parker, Miriam Makeba, Bill Frisell, Kenny Garrett, Nils Landgren.

Tentare di scrivere è come riprendersi da uno stordimento molto forte, tutto è lento e pare impossibile.

Parker e Makeba sono storia allo stato puro, la galleggiabilità di vite che hanno dato senso alla musica della loro cultura e voce alla loro terra. La galleggiabilità è frutto dell'arte di saper emergere e anche riemergere dalla propria esistenza, così come sapersi racchiudere dentro e dietro l'essenzialità delle corde di una chitarra: Bill Frisell non suona al parco, ricerca l'intimità del club cittadino dove il festival si congeda ogni sera: Jazzclub Fashing che è esattamente ciò che si ha in mente quando si pensa «jazzclub­­».

Il jazz è nuovamente in città, il club ogni sera ospita turisti e appassionati, stanchezza e nuova emozioni, ottimi ingredienti per la jam session che chiude ogni serata. La musica del Fashing crea una bolla che assomiglia ad un'isola, i suoi confini sono disegnati non solo dalle auliche e taglienti note di Frisell, ma anche nuovamente, da musicisti svedesi come il quartetto del contrabbassista Oskar Schönning accompagnato dallo straordinario clarinetto di Nils Berg.

Sting, lui galleggia e non è jazz.

Il galleggiare ha bisogno di un approdo, di una sosta anche parziale, Sthlm ha preparato una festa di musica: Nils Landgren conclude il festival incarnando il funk svedese con il suo trombone, la sua voce, la sua capacità di legare insieme le diverse anime del jazz nordico che hanno attraversato l'isola di Skeppsholmen.

Il palco, il parco è una festa di intensità musicale, di facce già note, di compagnia, di energia soffiata nell'ottone. Il trombone rosso fuoco di Landgren traccia una direzione di galleggiabilità che è capace di dare senso allo stupore che nasce nel vivere (per alcuni giorni) su un isola di musica: la direzione del jazz, oggetto galleggiante anche se indefinito, che emerge a seconda delle possibilità e della situazione, che accoglie la profondità mostrandola sul limite di un acqua che è una storia di note vissute in una lingua sconosciuta, con pochissime, rare, fondamentali vocali.


Lisa MiskovskyEva Dahlgren













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Data pubblicazione: 19/10/2006

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