Sarno Jazz River 2006
Martedì 5 e Venerdì 8 Settembre 2006 - Sarno (Salerno)
di Francesco Peluso per MMS
Foto di Lello De Gregorio
per MMS
La consolidata e significativa rassegna jazzistica della città di Sarno
è giunta, in questo afoso settembre, alla quarta edizione, la seconda ufficiale
con la denominazione di Sarno Jazz River. La scelta del luogo di svolgimento
dei concerti, stabilito nella Piazza IV Novembre, se da un lato ha allontanato il
pubblico dallo scorrere dell'omonimo fiume, tanto amato quanto discusso, dall'altro
ha garantito una vivibilità ed una godibilità degli eventi, di gran lunga superiore
alla manifestazione dello scorso anno.
La notevole bellezza della località campana, è apparsa nel suo fulgore
nell'ergersi del palazzo del Comune, nel vasto lastricato e nel monumento dedicato
a Mariano Abignente, tutti circondati da imponenti edifici, rappresentando un ambiente
ovattato per il buon numero di appassionati accorsi ad ascoltare i due interessanti
concerti.
La direzione artistica, in perfetta coerenza e meticolosa continuità con
le precedenti manifestazioni, ha volutamente portato al proscenio della simpatica
cittadina in provincia di Salerno un cast di virtuosi provenienti da ambienti artistici
lontani sia per collocazione geografica, sia per connotazione stilistica. Questa
impostazione è da elogiare, perché permette di far apprezzare solisti, formazioni
ed idee progettuali molto visibili in altre realtà, ma poco conosciute dall'appassionato
pubblico della nostra Regione.
Pertanto, nelle due calde serate settembrine si è riproposto, un valido
incontro fra culture, stili ed interpreti del fascinoso linguaggio afroamericano,
misto a quella creatività ed innovatività espressiva del Vecchio Continente, presentato
in un cartellone di tutto rispetto.
Martedì 5 Settembre
Lorenzo Petrocca Trio
Lorenzo Petrocca,
chitarra
Jens Loh, contrabbasso
Gregor Beck, batteria
La prima serata del Jazzfestival campano ha confermato appieno la scelta
artistica sopra indicata.
Lorenzo Petrocca
Trio, infatti, è un esempio lampante di quanta buona musica venga portata al
di là dei nostri confini da musicisti italiani. Il chitarrista, originario di Crotone,
è da molti anni in Germania e propone, in giro per l'Europa, un tipo di Jazz vicino
allo Swing degli anni ‘40 e ‘50, ricercando nella Classic american song,
la massima esaltazione. Inoltre, la smisurata ammirazione di
Petrocca
per Wes Montgomery e George Benson satura la sua musica di atmosfere
che, se da un lato non possono associarsi alle ambientazioni modern, dall'altro
non sono assolutamente riconducibili e unicamente alla tradizione. Per realizzare
la propria concezione jazzistica,
Lorenzo
è giunto in Italia con un Trio, nel quale hanno preso parte Jens Loh al contrabbasso
e Gregor Beck alla batteria. I due poderosi sidemen hanno mostrato,
nella torrida serata sarnese, una straordinaria abilità di assecondare il leader
e di saper illuminare la scena, sia nel puro supporto ritmico, sia nelle individuali
esposizioni solistiche: l'incedere elegante di Loh ed il prorompere swingante
di Beck hanno formato una base solida su cui il chitarrista ha imbastito
morbide trame, attraverso un fraseggio a tratti lirico, in altre fasi più dinamico.
L'apertura è toccata a due standard ad effetto: Milan In
Minor e Waltz New. Subito
dopo, altrettanti performance dall'andamento medium-fast, abbellite da una chiara
impronta stilistica del leader. A seguire una fase con alcune ballad, in cui
Petrocca
si abbandona al repertorio più congeniale alla propria sensibilità interpretativa,
fra le quali spicca una sognante composizione dedicata al figlio Maurizio, per tornare
rapidamente ad una struttura aritmicamente più sostenuta, quale
Four on Six di Wes Montgomery.
L'alternarsi
degli assoli, la delicatezza delle armonie, il misurato equilibrio fra chitarra
e batteria, in cui si colloca un poetico contrabbasso, formano l'essenza di un Trio
dalla connotazione mainstream. Per chiudere l'abbondante ora di concerto
la struggenza di Smile a suggellare una sequenza
di temi graditi dal pubblico con scroscianti applausi. Il jazz proposto dal chitarrista
di Stoccarda è da incastonare in un segmento stilistico erroneamente trascurato
dai nostri musicisti: lo swing, ascoltato dal
Petrocca
Trio, proposto con coerenza estetica e gusto nelle forme, perde quella connotazione
di maniera ed offre immagini non sbiadite dal tempo. A tal proposito, ho scambiato
alcune brevi riflessioni con
Lorenzo,
Jens e Gregor nel dopo concerto:
F.P.: Lorenzo, nella tua musica si coglie una
maggiore propensione allo sviluppo melodico più che dinamico, come mai?
L.P: Mi piace la canzone jazz americana, ovvero la
ballad: sono un grande estimatore dello swing di
Frank Sinatra,
ed ho cercato, nel tempo, di fondere questo modello interpretativo con altre ambientazioni.
Come hai potuto notare, nella scaletta sono presenti un buon numero di ballad ed
io sarei disposto a proporne ancor più, ma in Italia mi hanno suggerito di offrire
un ampio ventaglio di atmosfere ritmiche, cosa assolutamente possibile perché fanno
parte del mio repertorio discografico e concertistico.
F.P.: Una convincente caratterizzazione di questo
Trio si esplica nell'incontro fra il raffinato incedere di Jens e l'esuberante
prorompere di Gregor, come sei giunto a questo tipo di soluzione ritmica?
L.P: Questo Trio è di formazione piuttosto recente,
anche se con Gregor ci conosciamo da molto tempo. Questa frequentazione nasce
da diverse compartecipazioni in Germania, mentre ho conosciuto Jens, sempre
durante cooperazioni professionali, solo da qualche anno. Da questi incontri incrociati
ho pensato che l'accostamento fra un batterista dalla dinamica orchestrale ed un
contrabbassista dal tocco poetico potesse venir fuori una sezione ritmica adatta
alla mia musica. La cosa ha funzionato benissimo e, come hai potuto ascoltare questa
sera, siamo uniti da una visione jazzistica comune.
F.P.: Ho letto nel tuo sito che hai al tuo attivo
un Quartetto con i tuoi fratelli, una famiglia dedita al Jazz?
L.P: Sì, è vero. Siamo quattro fratelli: un chitarrista,
due bassisti ed un batterista. Ognuno di noi, però, ha altre strade da percorrere,
altri impegni, ma di tanto, in tanto, ci ritroviamo insieme per qualche concerto.
Davide, uno dei due contrabbassisti, ha suonato più spesso nel mio Trio,
poi, per ragioni professionali abbiamo diversificato il nostro cammino.
F.P.: Lorenzo, perché nella tua carriera c'è
molta Germania e poca Italia?
L.P: Io vivo in Germania da ventinove anni e musicalmente sono nato in quel
Paese. Lì ho conosciuto il Jazz ed il mio lavoro ha un buon riscontro più nel Nord-Europa
che in Italia. Tuttavia, da qualche anno ho contatti di lavoro con il pianista
Giacomo Aula, l'armonicista
Giuseppe Milici,
i sassofonisti Gaetano Sulci e
Orazio Maugeri,
oltre alle più consolidate collaborazioni con
Bruno
de Filippi, Gianni Basso e
Lino Patruno,
a dimostrazione che quando posso sono felice di collaborare con musicisti italiani
e suonare in Italia.
F.P.: Nel tuo approccio stilistico si legge tanto
Montgomery, ma anche tanto Benson prima maniera, cosa c'è di tutto
questo?
L.P: In verità i modelli e gli stili che hanno formato il mio approccio chitarristico
sono stati più di uno, ma quelli a cui faccio, ancora oggi volentieri riferimento,
sono George Benson e Wes Montgomery; anche il virtuosismo di Joe
Pass e la straordinaria tecnica di Pat Martino mi hanno sempre interessato.
F.P.: Gregor, quali motivazioni sono alla base della collaborazione
con Lorenzo?
G.B: Amo il suo modo di suonare e trovo le giuste
motivazioni nell'interagire in un trio con la chitarra, cosa che mi capita poco
in quartetti o formazioni allargate, suonando un jazz della Tradizione. Lorenzo
rappresenta, per me, l'opportunità di cimentarmi in un segmento musicale più Modern.
Con lui suono ciò che in altri gruppi non mi capita, perché lavoro soprattutto con
pianisti e perché nella sua musica ci sono accenti sia swing che mainstream.
F.P.: Jens, dove trae origine la tua sintesi estetico-formale
fra la vena armonico-melodica di Lorenzo e la briosa effervescenza di Gregor?
J.L.: Questa sintesi viene fuori in modo spontaneo:
la chimica di questa combinazione è frutto dell'incontro che Lorenzo ha combinato
fra Gregor e me. Il risultato finale è quasi inatteso e si materializza in virtù
del fatto che questa diversità fra noi fa emergere una quantità di spazi in cui
ciascuno può far valere il suo modo di essere.
Venerdì 8 Settembre
Rosen • Aula
Michael Rosen, sax soprano e tenore
Giacomo Aula, pianoforte
Il secondo appuntamento di Sarno Jazz River si è consumato in un
doppio concerto in totale difformità con la prima serata. In effetti, con il susseguirsi
degli artisti, si è passati da un approccio stilistico ad un altro senza drammatici
scossoni, pur in presenza di scelte estetico-formali tanto distanti fra loro. Questa
magia, possibile grazie alla bravura dei solisti intervenuti, ha vissuto una graduale
progressione fino al manifestarsi dell'ultima formazione, con la sua straordinaria
originalità. Il duo Rosen / Aula ha brillato per voce e tecnica, aggiungendo,
se mai ne avesse avuto bisogno, alla sensibilità espressiva del sassofonista americano
ed al rilevante virtuosismo del pianista lucano, una spiccata propensione al dialogo
in una formazione minimale. In particolare, Aula si esalta in duo con le
ance e, con il soprano di Rosen, ha scolpito plastiche forme sia con significative
strutture a propria firma (Further Search for Peace,
Tiergarten Bossa, Blues
for L.V.), che in stupende composizioni di altri (I
Love You di Cole Porter, Tomato Kiss
di Larry Schneider), con il consueto rigoroso pianismo, intriso di lirismo e dinamica.
Il duo ha espresso momenti vibranti contrapposti a fasi rilassate, pieni strumentali
ad astrazioni individuali, il tutto con una facilità disarmante. Michael Rosen
ha imbracciato solo in due performance il tenore, lasciando alla bellissima voce
del soprano il principale compito di emozionare l'attento parterre. Da Cole
Porter a Claude Debussy, da Bill Evans a Larry Schneider, dalle partiture più originali
a quelle conosciutissime, Michael e Giacomo non hanno mai perso il
filo del discorso: un discorso fondato su fluidi intrecci, ammiccanti scambi, rincorse
ritmico-melodiche e quant'altro... Il sassofonista, perfettamente a suo agio con
il partner, si è più volte inerpicato verso vette solistiche inesplorate con un'intonazione
di rara coerenza, anzi in qualche passaggio, ha controbilanciato alcuni impeti linguistici,
che non conoscevamo nel pianismo di Giacomo.
Dunque,
una sequenza di performance a conferma del fatto che, quando gli eventi vengono
ben programmati, lo stesso accomunare estemporanei incontri fra talentuosi professionisti,
possono offrire occasione per la realizzazione di progetti di qualità. Tale asserzione,
la si può leggere anche nelle poche battute scambiate con Michael e Giacomo:
F.P.: La fluidità del fraseggio e la splendida
voce del soprano, considerando che hai imbracciato solo in due occasioni il tenore,
ti fanno propendere verso il primo?
M.R.: E' vero, negli ultimi anni, il soprano è quello che sento mio: la voce
di uno strumento è il riflesso della persona e, con il soprano, riesco ad esprimermi
appieno. Sono arrivato tardi a questo sassofono ed ho preferito, più che per il
tenore, costruirmi una voce senza alcuna influenza esterna. Con il tenor sax
avevo dei modelli, con il soprano ho inteso seguire il mio istinto, anche se la
dinamica di
Wayne Shorter ed il fraseggio di
Dave Liebman
sono dei riferimenti in senso assoluto.
F.P.: Michael, vivendo da molti anni in Italia,
dove hai trovato maggiore spazio per la tua musica?
M.R.: Sono da diciannove anni in Italia ed ho vissuto
principalmente a Milano, poi, ho scelto Roma, come nuova dimora. Questo trasferimento
è dovuto più ad una migliore qualità della vita, che ad altre ragioni: mi piace
il clima, la gente, il verde della vostra capitale e quando vi sono arrivato, tre
anni fa, ho incontrato subito persone congeniali al mio lavoro. Oggi, purtroppo,
è difficile trovare il giusto spazio: anche a Roma si risente lo scarseggiare dei
fondi destinati al Jazz e, pertanto, vivere stabilmente in una sola Città sarà sempre
più raro.
F.P.: Preferisci considerarti un raffinato
sideman o ricoprire il ruolo di leader?
M.R.: Ho realizzato alcuni Cd da solista, in quanto
mi piace scrivere, ma trovo molto gratificante il suonare composizioni altrui, soprattutto
quando rispecchiano il mio modo di comporre: un esempio è nel piacere che provo
nell'interpretare le scritture di Giacomo. E' anche vero che amo più comporre
che organizzare il mio management e per questo preferisco essere coinvolto in progetti,
eventi di altri validi solisti per evitare di restare imbrigliato per ore a telefono.
F.P.: Avevi già suonato o collaborato a progetti
con Aula?
M.R.: Con Giacomo ho suonato tanti anni fa, ma
ho sempre mantenuto con lui uno stretto contatto, fino a realizzare alcuni concerti
in trio a Berlino, e duo come questa sera.
F.P.: Sei contento del concerto di questa sera?
M.R.: Sì, suonare con Giacomo è sempre una cosa
assai stimolante. E' dotato di una tecnica formidabile e le sue composizioni mi
coinvolgono. Questa sera eravamo particolarmente ispirati ed io ho cercato di bilanciare
il duo con un lirismo che facesse da contrappeso alla sua esuberanza. Sai, i pianisti
in duo tirano fuori ogni sfumatura della propria espressività, ed è fantastico essere
lì sempre in primo piano.
F.P.: Giacomo, ho notato un maggiore vigore nel
tuo pianismo, siamo alla presenza di un nuovo corso?
M.R.: Diciamo che stasera ho dato maggiore spazio
ad una parte di me un poco più aggressiva, che normalmente cerco di lasciare in
secondo piano. Io credo che l'energia disponibile debba sempre essere massima; ma
bisogna tuttavia amministrarla con saggezza. E solo quando i partner sul palcoscenico
ti danno totale agio nell'espressione, allora puoi usarla tutta, senza limitazioni.
Michael, e questo pubblico così sensibile, stasera me lo hanno permesso.
Alboran Trio
Paolo
Paliaga, pianoforte
Dino Contenti, contrabbasso
Gigi Biolcati, batteria
Una vera rivelazione, quasi un fulmine a ciel sereno, la si è avuta con
il materializzarsi sul palco di Sarno del nordico Alboran Trio. Nordico,
perché i tre bravissimi compagni d'avventura sono tutti originari del Piemonte o
giù di lì, eppure la loro musica è così trasversale che non conosce localizzazione
se non nel colto concetto della stessa.
Paolo Paliaga
al pianoforte, Dino Contenti al contrabbasso e Gigi Biolcati alla
batteria hanno dato vita ad un concerto coeso nel suono e splendidamente vivace
nelle scritture. Queste, in gran parte a firma del pianista, provengono dal bel
lavoro Meltemi, pubblicato dall'etichetta tedesca ACT, che ha saputo leggere
nella qualità delle composizioni e nel comune procedere dei tre protagonisti un
sicuro futuro. Ci risiamo: perché alcune belle realtà del nostro Jazz sono più apprezzate
oltre confine? La domanda meriterebbe una lunga dissertazione, ma preferisco restare
con i piedi per terra e limitarmi a descrivere il concerto. La musica si è materializzata
con un'imprevedibilità di ambientazioni inaspettate. Le armonie, talvolta scosse
dall'incalzare di una ritmica accentuatamente percussiva, altre volte ariose e distese,
hanno coinvolto emotivamente i presenti, quasi ipnotizzati dal travolgente
Meltemi. I brani si sono rincorsi, come il serrato
soffiare del vento greco, esaltandosi in alcuni preziosismi estetici: nel suggestivo
Balkan Air, il pianista ha adottato una particolare
tecnica, bloccando con una mano le corde del pianoforte e suonando per accordi.
Il virtuoso artificio, di non facile attuazione, ha ottenuto come risultato sonico
un suono nasale, che sostenuto dal groove archettato di Contenti ed il drummin'
africano di Biolcati, ha sorpreso ed incantato il pubblico. Questo ha sottolineato,
con sinceri applausi il fluire delle performance, cogliendo appieno i cambi direzionali
delle atmosfere, le sovrapposizioni dei piani sonori, la descrittività degli assoli,
nell'esternarsi di un linguaggio capace di produrre una musica densa di riferimenti
etnico-culturali di notevole contenuto. Poi, facendomi largo a fatica nelle vicinanze
del palco, fra un nuvolo di festosi appassionati, ho rivolto al gentilissimo
Paliaga
una prima domanda, forse un po' scontata, ma concreta per la diretta conoscenza
dell'intrigante progetto:
F.P.: Dove nasce il progetto Alboran Trio?
P.P.: Il progetto nasce dalla mia originaria collaborazione
con Dino ed il successivo sopravvenire di Gigi. Questo particolare incontro è, più
che un semplice ritrovarsi fra un pianista ed un'affiatata sezione ritmica, un vero
trio. Si è sprigionata, fra noi da subito, una forte energia ed una sincera empatia,
permettendoci di intraprendere un cammino insieme. Ho estratto dal cassetto alcune
mie composizioni, che con altri musicisti non avevano acquisito la forma estetica
da me desiderata, con loro tutto ha funzionato coerentemente. Abbiamo, poi, registrato
il disco e lo abbiamo proposto ad alcune case discografiche e, con nostra grande
soddisfazione, l'etichetta tedesca ACT ha trovato interessante il nostro progetto,
pubblicandoci il lavoro Meltemi.
F.P.: Quale connotazione dai alla musica che
proponete?
P.P.: La prima idea è quella di lasciare, abbandonare
il beat nordamericano per sondare nuove forme che vadano dalla tradizione melodica
mediterranea ai colori ritmici del Continente africano. Una miscela di contenuti
melodico ritmici, che non abbia una pretesa di ricerca, bensì rivolga il suo manifestarsi
all'emozionare e coinvolgere il pubblico.
F.P.: Gigi e Dino, nel breve ed intenso scambio
di opinioni con Paolo, ho colto una profonda stima nei vostri confronti sia professionale,
che umana. Da ciò, parte la voglia di stare insieme?
G.B.: Il pensiero di
Paolo conferma
ciò che penso di Alboran Trio, perché siamo prima di tutto amici. Tre amici
che condividono un progetto, in cui si materializzano le esperienze pregresse di
ciascuno di noi.
D.C.: Sicuramente il lato umano ha una grossa componente sulla riuscita dell'intesa
globale. La stima reciproca sprigiona, anche nei passaggi più tortuosi, la giusta
energia per rendere facile e spontaneo ogni cosa.
F.P.: L'accantonamento del beat classico, sostituito
da un pulsare euroafricano risponde esattamente alla vostra idea di musica?
D.C.: Le affinità d'intenti che intercorrono fra
noi, ci permettono di sperimentare, in corso d'opera, la nostra idea di musica.
Il Jazz che proponiamo è lontano dalla Tradizione ed il Modern: ciò, però, non impedisce
di esprimerci liberamente durante le composizioni sia nelle fasi d'assieme, che
in solo, attraverso un'improvvisazione molto personale ed, al tempo stesso, convergente.
G.B.: In effetti, ci viene da proporre una musica in
cui il suonare non scaturisce dai singoli strumenti, ma dalla successione delle
note che ciascuno realizza in accordo con gli altri. Questo spiega anche ciò che
tu hai notato, cioè che il mio drumming percussivo non contrasta con l'archettato
di Dino, piuttosto confluisce in un tutt'uno nelle sofisticate composizioni di
Paolo.
Dunque, Sarno Jazz River ha offerto, anche nell'edizione
2006, un'occasione d'incontro fra culture, stili
ed artisti lontani fra loro, in un contesto ambientale accogliente, attraverso un
programma ben articolato: arrivederci al prossimo anno…
© MMS Mailing Music Services 2006
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Data pubblicazione: 12/12/2006
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