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Joey Baron & Killer Joey
Marghera (Ve) – Teatro Aurora 18 febbraio 2008
di Giovanni Greto

Brad Shepik - chitarre
Steve Cardenas - chitarre
Tony Scheer - contrabbasso
Joey Baron - batteria



F
are musica con gusto. Ricercare il divertimento, la gioia. E soprattutto suonare in assoluta rilassatezza. Queste le riflessioni a caldo sul bel concerto del gruppo guidato da Joey Baron, che ha contagiato il pubblico di un teatro Aurora, ancora una volta vicino all'esaurito. Sembrava quasi una jam session il lungo set unico – circa 100 minuti – nel quale si sono messi in mostra pariteticamente tutti i musicisti e non solo il leader, sempre molto attento a non sovrastare i colleghi. I quattro dunque si sono spartiti equamente il tempo degli assolo, proponendo parecchi standard – AABA swinganti come il brano di partenza, che giocava sulle armonie di "Stella By Starlight", ballad come "You've changed", alla memoria di una indimenticabile Billie Holiday, gustosi calypso, lunghi blues dalle strutture semplici, che consentivano di sbizzarrirsi sia ai chitarristi, sia a Baron, che, parallelamente a sperimentare figurazioni elementari sui tamburi con la mano sinistra, manteneva con la destra il 4/4 sul piatto. Baron si è davvero superato. Ha suonato – bene – senza alcun timore di sbagliare e soprattutto assecondando le idee degli altri quando questi non capivano certe creazioni improvvise. Ha reso omaggio ad un maestro scomparso lo scorso anno, il grande Max Roach, rievocato mediante un frammento di assolo da "The drum also waltz", reinterpretato alla propria maniera. Ha usato molto spesso le mani per percuotere i tamburi, secondo uno stile che sta affermandosi in molti batteristi. Ha alternato bacchette, spazzole e battenti con il feltro all'estremità superiore, sempre sorridente, alla ricerca di un dialogo stimolante con i compagni.

In veste di leader, pur privo di microfono, ha presentato il gruppo, finendo per sbagliare lo strumento di Shepik – la batteria al posto della chitarra -, autopunendosi con una inaspettata ironia: "Il mio nome è Milford Graves". Lunghi assolo per tutti, lirici quelli di Scheer, spesso con l'utilizzo del wah–wah quelli di Shepik, più sognanti e meditativi quelli di Cardenas. Applausi calorosi, premiati da un bis affidato, inusualmente, ad una languida ma suadente ballad.







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Data pubblicazione: 05/05/2008

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