Casa del Jazz Gaia Cuatro Roma - 12 agosto 2011
di Alceste Ayroldi foto di Francesco Truono
Ci sono poco più di diciottomila chilometri che separano il Giappone dall'Argentina,
a parte storia e cultura, cresciute in direzioni diverse, ma non opposte a ben ascoltare
i Gaia Cuatro, quartetto nato per caso, come ci dice Carlos "el Tero" Buschini,
contrabbassista e portavoce del sodalizio: "per caso, come spesso succede: insieme
a Gerardo Di Giusto (il pianista dei Gaia Cuatro) mi trovavo in Francia per
una tournè di presentazione del nuovo disco del saxofonista francese Julien Lourau,
"The Rise" (Label bleu, 2002). Una sera fummo
invitati ad assistere al concerto del quartetto di Aska Kaneko
direttamente dal percussionista giapponese, Tomohiro Yahiro (già amico di Gerardo) che
si esibiva al Japan Jazz Festival di Parigi. Rimanemmo letteralmente con il fiato
sospeso per la sorpresa. Mi colpirono particolarmente la sonorità e il buon gusto
proprio di Aska e Tomohiro. Devo dire che prima di allora non avevo una gran cultura
di violinisti jazz: dopo di che andai a informarmi ed ascoltarne altri, e posso
solo dire che ancora oggi non ce n'è per nessuno! Aska suona in una maniera unica! quella stessa sera, dopo il loro concerto, si parlò della possibilità di fare
qualcosa insieme. Ashka e Tomohiro, in realtà erano già molto noti nel loro paese
ed in tutta l'Asia. Ci ritrovammo l'anno successivo (2003)
sempre in quel Festival. Ci incontrammo per la prima volta tutti insieme proprio
il giorno prima del concerto di debutto per Gaia. Il concerto fu bello ed intenso
e rimanemmo sorpresi dalla reazione del pubblico francese, ma sopratutto da quello
nipponico. Subito dopo decidemmo di fare il primo tour in Giappone nel
2004: più di trenta concerti. Esperienza molto
faticosa ma piena di soddisfazioni. Alla fine del tour registrammo il nostro primo
cd "GAIA". Da allora non ci siamo più fermati!"
Dal palco en plein air della Casa del Jazz di Roma, il contrabbassista di
Cordoba scherza con garbo e particolare professionalità, e spiega anche la discografia
del combo che, al momento, ha tre album all'attivo: Gaia (per la giapponese Kaiya
Records e la francese Cristal Record), Udin e Haruka con l'etichetta italiana
Abeat
Records. I quattro mostrano subito un unico afflato, non comune e ciò nonostante
l'impianto acustico della location non sia dei migliori e, soprattutto nei primi
due brani, genera imbarazzo tra il pubblico presente. Non si perdono certo d'animo
i "cuatro", macinando mulinelli armonici su di una ritmica tanto costante, quanto
incessante (Mizuho) e carezzando i tempi della milonga e del tango, abilmente
destrutturata e ricostruita su prodigiose folate armoniche (Jugadeta). Ashka,
seppur fisicamente minuta, appare una sorta di gargantua sul palco e sbalordisce
sia con le corde vocali, che con quelle del suo violino. Corde che si alternano
con sfacciata tranquillità, pronte ad esporre il riff e schiudersi in tempeste armoniche,
con rapido cambio ritmico e di passo (Sin vueltas). Poi, è la volta di Haruka, che nel disco eponimo vede la partecipazione di
Paolo Fresu,
omen nomen (haruka significa lontananza), risuona di visioni oniriche,
break-even tra Oriente e Occidente, con la cantabilità dell'inciso e le percussioni
a cesellare ideogrammi, fino alla spezzatura ritmica conclusiva che vibra nelle
corde del basso di Buschini, un vero e proprio magma sonoro. I Gaia Cuatro sorprendono
per i cambi di scena, per una metrica inusuale, sempre godibile. Il tema è sempre
in chiaro, a volte tracciato da Gerardo Di Giusto, pianista dal tocco sicuro
sia a volume alto, che nello slow, come si ascolta in La chiusma con Tomohiro
Yahiro che sospinge i compagni di viaggio verso la libera improvvisazione, creando
emozioni rosso sangue. Tanto anche in Dos lunas che ammanta di groove una
struttura cameristica imperniata sull'ostinato del violino. Il moto ondoso è in
salita, e all'apice trova Gaia, dalla struttura circolare, crescente che si apre
in una gustosa ed intonata improvvisazione, all'unisono. Chiude Primero,
bis chiamato a gran voce dal pubblico presente che sottolinea con calorosi applausi
un progetto che non ha paragoni, fin troppo misconosciuto e che riporta in auge
quel trait-d'union tra Tango e Giappone creatosi negli anni Cinquanta.
I Gaia Cuatro (cinque se si conta la forza che trasmette Mario Caccia, il loro discografico)
hanno un che di prodigioso, perché uniscono suoni differenti e comportamenti umani
pressoché distanti: l'algida gentilezza e purezza armonica giapponese, con la tempesta
ormonale che scatenano tempi e ritmi latini.