NoVoices Records 2010
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Fabrizio Alessandrini
Piccoli Sogni Strani
1. Ad occhi chiusi (F.Alessandrini)
2. Via da qui (F.Alessandrini)
3. Marruca (F.Alessandrini)
4. Napoli Rio sola andata (F.Alessandrini)
5. Acqua (F.Alessandrini)
6. Piccoli sogni strani (F.Alessandrini)
7. Fra te e me (F.Alessandrini)
8. Fari spenti (F.Alessandrini)
9. Dream in progress (F.Alessandrini)
10. Burqa (F.Alessandrini)
11. Korogocho (F.Alessandrini)
12. Detto fra noi (F.Alessandrini)
13. Florence (F.Alessandrini)
14. Ancora via da qui (F.Alessandrini)
15. La sua presenza (F.Alessandrini)
16. Miriam (S.Di Natale)
17. Chiami me? (F.Alessandrini)
18. Tornando a casa (F.Alessandrini)
Salvatore Ponte - Contrabbasso in
13
Antonino Talamo - Shekerè, Congas, Cajon in 1; Pandeiro, Riq
in 4; Congas in 7; Darbuca, Riq in 10
Mario Sapia - batteria in 2, 12
Marco Spedaliere - flauto in 1, 17; sax contralto in 4, 10,
12, 16, 17; sax tenore in 13
Davide Costagliola
- basso in 5, 8, 12
Claudio Spinelli - basso in 9, 10, 14
Massimo Spinosa - piano in 11
Giorgio Scognamiglio - violino in 10
Sergio Di Natale
- batteria in 4, 8, 10, 11, 13, 14, 16, 17
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"Piccoli sogni strani" è un "viaggio" musicale intrapreso ricercando
quegli aspetti della vita e del sogno che vanno a toccare la nostra sensibilità
nei suoi lati più intimi. Attraverso questo "percorso" prendono vita le forme melodiche
del nuovo lavoro di Fabrizio Alessandrini a quattro anni di distanza
dall'ultimo album, "Tutti i bambini del mondo" (Vela al vento,
2006).
Chitarrista versatile, virtuoso e poliedrico, compositore dalla squisita
sensibilità musicale, nella sua carriera ha collezionato un repertorio variegato,
che va dal jazz al rock, dalla musica classica a quella leggera, lasciandosi influenzare
in "Piccoli Sogni Strani" anche da nuances funky ed etno.
Il "sogno" di Alessandrini ha inizio con "Ad Occhi Chiusi",
un brano d'introduzione dove disegna atmosfere oniriche attraverso un crescendo
di suoni africaneggianti di congas, tastiera e flauto, che corrono misteriosi sopra
lo sfondo sonoro di una foresta tropicale. Gradevole e leggera la ballabile "Via
Da Qui", dove la chitarra classica tesse con vigore rapidi sincopati; la track
viene proposta anche una versione live ("Ancora Via Da Qui") eseguita adottando
le tipiche sonorità della chitarra elettrica, rinnovandone il sound con un'espressività
più sostenuta nel ritmo e nel pathos.
"Marruca" è un brano molto gradevole nel quale la chitarra disegna soluzioni
armoniche emozionanti e coinvolgenti, a tratti quasi mistiche. Questi impasti sonori,
non sempre di facile ascolto, sono la costante di quasi tutto l'album, la cui linea
conduttrice è ben riconoscibile in "Piccoli Sogni Strani", dove l'autore
gioca con gli armonici in un piacevole connubio di classica e acustica, dando luce
ad alchemiche ed eteree vibrazioni sonore.
Le tracce probabilmente più originali del disco sono "Fari spenti" e "Napoli
– Rio sola andata": il primo è caratterizzato da tinte funky (a
tratti ricorda il dinamico groove di Jamiroquai) nel quale la chitarra delinea
la trama melodica principale con energici ed improvvisi sincopati, mentre in
background il basso di
Davide Costagliola
e la batteria di
Sergio Di Natale
plasmano estrose soluzioni armoniche; nel secondo viene eseguito un melange
raffinato fra la tradizione musicale napoletana e quella brasiliana. Un elegante
Marco Spedaliere sottolinea l'interplay con il suo sax eseguendo
figurazioni melodiche morbide e pastose.
Diciotto brani strumentali, diciotto storie differenti che si intersecano in
un solo appassionante racconto, ed ogni traccia sfuma nella successiva come se ci
fosse un'unica trama. "Piccoli sogni strani" è un lavoro denso di pathos,
di sonorità soavi e intense, che coinvolgono con la loro fluente scorrevolezza,
lungo le quali Fabrizio Alessandrini disegna soluzioni armoniche cariche
di lirismo e di virtuosismi puliti e stilisticamente equilibrati. "Un album "facile"
dal punto di vista musicale, ma difficile nell'ascolto", chiosa lo stesso Alessandrini,
facendo riferimento all'impalpabile emotività di questo disco più che alla chiarezza
e rotondità della parte strumentale. Opinione che ci sentiamo di condividere per
questa prova di sicuro e finissimo gusto musicale.
Fabrizio Ciccarelli e Andrea Valiante per Jazzitalia
Paradossi, Musica e Mercato
Intervista a Fabrizio Alessandrini
di Fabrizio Ciccarelli
Come ti è venuta l'idea di questo album?
L'idea dell'album è nata dopo un breve soggiorno trascorso in un casale della Toscana.
Un posto magnifico, magico. Per quanto ne so, da bambini si sogna più frequentemente.
Con l'andare avanti negli anni però, i sogni diventano sempre più rari o comunque,
è la nostra memoria forse che non ci permette di fissare queste esperienze. Io non
sogno più da moltissimo tempo, tranne in quelle poche notti passate in quel casale.
Scene incomprensibili, situazioni nella quali vedevo persone dialogare con altre
persone in posti a me noti. La cosa curiosa è che queste persone nella vita reale
non si conoscevano tra loro, non avevano motivo di trovarsi lì, in località lontanissime
dalla loro origine. Tutto avveniva senza alcuna coerenza, senza alcuna regola...Qualche
tempo dopo ho maturato l'idea di tradurre queste mie esperienze in musica. Ho pensato
che avrei dovuto riproporre le mie composizioni in modo "libero". Intendo dire che
avrei potuto "assemblare" le mie idee senza uno schema preciso, senza seguire regole
canoniche sul come realizzare un cd, peraltro di un chitarrista....Da tempo lavoravo
alla pubblicazione di un mio nuovo album, ma non ero attratto dall'idea di fare
la solita scaletta di brani, traccia1, traccia 2, ecc....Volevo fare qualcosa di
nuovo, ma non sapevo cosa. Ricordo che quando mi venne l'idea, il giorno dopo ero
già in sala a lavorare. Era arrivata la ragione per la quale valeva la pena realizzare
un album. Avevo già dei brani composti e molto materiale l'avevo scritto in Toscana.
L'idea che avevo avuto si stava concretizzando in un concept album. Un
concept album in parte autobiografico.
Perché quel titolo onirico?
Non ho dovuto scegliere...mi venne in mente all'inizio. Di getto. Descrive molto
bene il contenuto dell'album, e insieme alla foto di copertina credo comunichi il
senso del viaggio.
Vogliamo fare il punto sulla Wakepress? Perché, a suo tempo,
hai scelto di "scendere in campo"? Com' è nata l'idea?
La Wakepress è una società editoriale che ho fondato nel
2003 insieme a Carlo Ventura. La voglia di proporre musica di qualità
promuovendo musicisti di talento, ingiustamente, poco valorizzati, l'idea di creare
una etichetta specializzata nella pubblicazione di musica esclusivamente strumentale...
ma sopratutto tanta voglia di indipendenza, sono state le motivazioni che ci hanno
spinto a fare questo passo.
Ricordando il tuo "Tutti i bambini del mondo", mi sembra
che non di rado le produzione della Casa Discografica facciano riferimento ad argomenti
di natura sociale.
In veste di musicista mi trovo spesso a creare musica sotto una spinta emotiva
dettata da stimoli di tipo sociale ed umano. Le produzioni della NoVoices
al contrario, almeno fino ad oggi, sono realizzate da artisti che esprimono le loro
idee da un punto di vista strettamente musicale.
A che punto è la tua ricerca musicale?
Sono anni che cerco equilibrio, semplicità. Non mi interessa l'improvvisazione
fine a se stessa. La musica che compongo deve piacere a me, ovviamente, ma costantemente
mi chiedo se le persone comuni, quelle non esperte per intenderci, capiranno ciò
che ho scritto. Mi piace scrivere musica per essere compreso, non per essere ammirato
sulla capacità tecnica. Se mi accorgo che un assolo non è funzionale al brano, lo
tolgo. Chi ha detto che in una composizione debba per forza esserci un solo? Specialmente
nell'ambito jazzistico, nella maggior parte dei casi, rimane ancora oggi la concezione
dello standard come: esposizione del tema iniziale, assolo a, assolo b, tema finale....
e ciao. In mezzo secolo da questo punto di vista, è successo veramente poco.
In effetti questo è, che dire allora delle scelte estetiche
di Coltrane e di Keith Jarrett?
Come accade anche ad altri grandi musicisti del jazz, Coltrane e Jarrett,
superano il ruolo di improvvisatore. Coltrane arriva a concetti perfino spirituali
che vengono poi espressi nelle sue creazioni. Jarrett stabilisce un rapporto
con il suo strumento talmente intimo che arriva fare del pianoforte il suo principale
mezzo di espressione. In certe circostanze le scelte estetiche acquisiscono uno
spessore tale, una rilevanza così diversa da tutto il resto, che qualsiasi ascoltatore
non può che rimanere catturato dal loro talento, quasi ipnotizzato...almeno questo
è ciò che provo io, specialmente con Coltrane.
Quanto la ricerca incide sulla tua attività di discografico?
Pochissimo. Sono obbligato a separare le mie idee su quale debba essere la ricetta
per fare un buon disco, dalle proposte che ci arrivano da ogni parte d'Italia. Sarebbe
un errore cercare di imporre ad altri un particolare modo di fare musica. Quando
ho deciso di stare dall'altra parte del "tavolo", ho sempre pensato di lasciare
la massima libertà a coloro che avrebbero proposto le loro opere. Mi sembra assurdo
adottare nei confronti dei miei colleghi, un atteggiamento che io, in veste di musicista,
ho sempre criticato. Posso al limite dare delle indicazioni di massima, diciamo
sotto forma di consiglio, ma non posso certamente pretendere che il mio pensiero
rimanga l'unica possibilità. Comunque ad oggi, devo constatare che il progetto
No Voices, è un progetto "a perdere". Contrariamente a quanto succede nella
maggior parte dei casi, non pubblichiamo dischi perché devono essere venduti per
forza. Li pubblichiamo perché crediamo che la cultura prescinde da discorsi di natura
commerciale. E' evidente che in questo paese un discorso del genere viene percepito
in modo estremamente marginale....viste le condizioni della nostra cassa. Ma va
bene così, andiamo avanti lo stesso. Personalmente non credo sia un "progetto a
perdere", dal tuo punto di vista possiamo ricordare quanto la libertà artistica,
adeguatamente sorretta, abbia prodotto musica innovativa negli ultimi quaranta anni.
E questo, a mio parere, dà sempre ragione a certe scelte…Infatti la possibilità
di dare voce a chi lo merita, di incoraggiare i musicisti che vogliono continuare
a fare buona musica, è l'elemento che mantiene in vita la NoVoices. Quando
dico che è un progetto a perdere, intendo dire che a mantenere in vita la nostra
etichetta, non è certamente il conto in banca. E' la passione.
Quali reputi i talenti più interessanti nel panorama jazzistico
italiano?
Ovviamente quelli della NoVoices! No scherzo. Io trovo che in questo decennio
c'è una decadenza culturale dilagante. Non solo nel panorama jazzistico. Direi nel
panorama musicale in genere. Devo constatare che l'alto livello di esecuzione, e
straordinarie capacità tecniche, sono ampiamente presenti. Ci sono musicisti pazzeschi,
ma, per i motivi che già ho detto, a me sembra che la gran parte dei dischi vengano
realizzati più per abitudine che per altro. Credo che il più grande nemico del jazz
è il jazz stesso. O meglio, la figura del jazzista. Si è perso completamente lo
spirito "popolare" e "povero" degli esordi del jazz. Si è perso lo spirito sperimentale
del jazz degli anni '70. Tutto quello che viene prodotto, viene incanalato in qualcosa
che a mio avviso non ha più ragione di esistere. Siamo nel terzo millennio, e non
ce ne siamo accorti. Non per tirare l'acqua al mio mulino, ma credo che "Standards
Vol.1" di
Enrico Del
Gaudio sostenga in modo preciso questa mia tesi. E' paradossale,
ma credo che per poter fare dei passi in avanti, occorre avere una visione più estesa
su ciò che fino ad oggi è successo, magari avendo sempre presente, ed in misura
più ampia, lo spirito che i grandi musicisti hanno avuto nel vivere la musica, molto
più del repertorio che hanno proposto.
E' in tal senso necessaria la "provocazione" artistica?
Possiamo aspettarci che vengano percorse strade nuove anche dalle case discografiche
più note? E che magari le Radio o le Televisioni diano spazio al "nuovo", al non
convenzionale?
Quello che ancora molti "addetti ai lavori" dei mezzi d'informazione non hanno
percepito, è che è iniziato ormai già da qualche anno, uno tsunami di proporzioni
gigantesche. La rete. Inevitabilmente travolgerà tutti. Non abbiamo bisogno della
televisione, delle radio, dei giornali...A che serve quindi attendere l'apertura
di nuovi spazi? I nuovi spazi già ci sono e di nuovi ne arriveranno.
Qual è la tua opinione sul mercato discografico attuale?
Rispondere a questa domanda non è semplice, e ritengo di doverlo fare in modo
ampio, oltre i generi filo jazzistici. Il mercato discografico è da molto tempo
in una profonda crisi grazie a politiche che hanno sempre anteposto le regole di
mercato ad ogni scelta di tipo artistico. C'è la complicità di tutti. Le radio ormai
ragionano solo in termini economici, target, trend, ed altre cazzate del genere.
Non ci dimentichiamo che la presenza delle radio F.M., qualche tempo
fa, ha permesso a molti artisti e band, di uscire fuori dalle cantine. Era una funzione
importantissima. Quando ascolto un network, ho l'impressione che tra uno spot pubblicitario
ed un brano in scaletta, stando alla frequenza con il quale lo trasmettono, praticamente
non c'è differenza. Poi c'è l'azione dei giornali che aprono spazi di critica e
recensioni solo a certi nomi... i soliti nomi. Nomi sconosciuti che magari producono
cose interessanti, non hanno alcuna possibilità di uscire, anche con poche righe,
su testate a distribuzione nazionale. La televisione comincia a dare segni di squilibrio
mentale con programmi che hanno la pretesa di "educare" i ragazzi nelle varie attività
artistiche, però contestualmente, lasciano che gli stessi ragazzi, o i loro insegnanti,
possano insultarsi a vicenda, davanti a milioni di telespettatori. Recentemente,
facendo un po' di zapping, mi sono ritrovato a vedere un programma, credo si chiamasse
Community. Ospite della puntata un gruppo: i Dari. Hanno suonato qualcosa che non
riesco a definire. In realtà non ho ben compreso il motivo per il quale si trovassero
lì, e nemmeno l'utilità del brano che stavano cantando. Comunque, appena hanno finito
di cantare, il presentatore li intervista. Chiede a questi bei ragazzetti l'andamento
delle vendite del loro ultimo cd. Loro rispondono di non esserne a conoscenza. Il
presentatore se ne esce con qualcosa del tipo: "beh ve lo dico io come sta andando...sta
andando alla grande!". Io non potevo crederci. Allora mi sono informato consultando
le classifiche ufficiali e non, per scoprire che i Dari in quei giorni, non erano
presenti in nessuna classifica. Assenti anche nelle classifiche di download. Io
non dico altro. Giudicate voi. Per continuare, le case discografiche, ritengono
di vendere i CD a costi proibitivi.
Concordo in toto. C'è una via d'uscita a tutto questo?
Un campanello d'allarme che in tempi non sospetti già aveva cominciato a suonare.
Ora cominciano a pubblicare lavori ad un prezzo più basso, ma ormai il danno è fatto.
Con il risultato che, entrare in negozio di dischi per comprare un Cd, è per i ragazzi
di oggi, un' azione "anomala", completamente al di fuori dalle loro abitudini.
E dalle loro tasche…
…Infatti. Poi c'è la complicità degli artisti. Oggi c'è una produzione abnorme di
dischi. Le nuove tecnologie permettono a tutti di produrre lavori a basso costo,
o addirittura in casa. Tutti si preoccupano di fare i dischi ma nessuno si pone
la domanda: Perché il pubblico dovrebbe comprare il mio disco? E' inevitabile che
in questa jungla, quello che c'è di buono viene inevitabilmente affossato. Poi ci
sono i negozi di dischi. Io voglio continuare a pensare che un grande negozio che
vende dischi, libri, film ecc... ha una importante funzione di diffusione e divulgazione
culturale. Voglio continuare a pensare che un negozio del genere, debba per forza
rendersi diverso da un supermercato. Mio caro commesso, vendi arte, non vendi ortaggi.
Sì ma il problema culturale non è di competenza solo del
commesso, ribadiamolo.
Hai ragione. Il fatto è che io ho vissuto un periodo nel quale il negozio di
dischi era quasi un luogo di ritrovo dei ragazzi. Ci si conosceva in molti, ed il
proprietario del negozio, ed anche il commesso, mettevano sul piatto le ultime novità,
si ascoltava, ci si confrontava, si discuteva. Oggi ci sono i megastore. Ognuno
entra e si perde in un oceano di cd in cui c'è tutto e niente. La No Voices
ha avuto qualche problema con questo tipo di negozi. Sono capitate cose spiacevoli,
come per esempio quella famosa catena francese che praticamente "nascondeva" i nostri
dischi tra gli scaffali lasciando il posto ad artisti più conosciuti, o nel caso
peggiore a "non artisti", arrivando a dire ai loro clienti che chiedevano i nostri
cd, che non erano più disponibili, cosi per pigrizia.
Solo pigrizia? E se fosse una scelta ben premeditata, che
del resto mi pare non coinvolga solo la NoVoices…
Questo no lo so. Anzi mi dispiace apprenderlo. Spesso i problemi nascono già
nell'essere accettati dalla grande distribuzione al consumatore. Noi non abbiamo
potuto vendere i nostri cd presso quella catena di negozi, questa volta italiana,
perché non facevamo parte dei loro distributori. Se per assurdo avessi prodotto
un disco di
Pat Metheny, non avremmo potuto venderlo mai in questi punti
vendita. E' notizia più o meno recente che il più grande megastore del mondo,
il Virgin megastore di New York, ha chiuso. Mah! Per quanto ci riguarda,
già da tempo, per comprare i nostri cd si deve andare solo su
http://www.novoices.it.
Per concludere, altra parte di responsabilità, appartiene ai promoter e gli organizzatori
di concerti. Anche in questo caso, ritengo che tutti gli operatori del settore,
dovrebbero costantemente proporre nuove tendenze e nuovi artisti, in concomitanza
con i concerti tenuti da artisti più famosi. Sfruttare la loro popolarità, per svolgere
la loro reale funzione: sostenere il nuovo, scoprire e incoraggiare i nuovi talenti.
Abbiamo proposto al più importante festival jazz campano, l'orchestra diretta da
Sergio Di Natale.
La A.S.S.O. (All Star Swing Orchestra)
orchestra che ha eseguito i brani contenuti nella nostra ultima pubblicazione
"What's New" e che è formata da nomi importanti del jazz italiano. Non
voglio pronunciare questi nomi per non fare torto ai colleghi meno conosciuti presenti
nell'organico. Chi è interessato può andare ad informarsi sul web. Ebbene, dalla
nostra prima richiesta di partecipazione e dopo altri successivi contatti, fino
ad oggi, non è arrivata nessuna risposta,neanche negativa. Silenzio assoluto. Praticamente
siamo trasparenti. Caro "direttore artistico" ti chiedo solo di comunicarmi il tuo
rifiuto. Almeno questo. In generale, la cosa che più mi deprime, è che, anche nel
mondo della musica "colta", la gran parte di coloro che operano in questo settore,
adottano logiche proprie della musica commerciale o addirittura politiche clientelari.
Il problema esiste da molto, mi sembra, se nessuno ha spinto
per risolverlo abbiamo una sola risposta. In ogni caso ti faccio un'altra domanda:
la musica in CD deve sempre essere pagata dai fruitori?
Se i fruitori ritengono di non dover pagare i CD o gli mp3, devono prepararsi
a pagare cifre salate per vedere i concerti. Anche il musicista deve vivere e sfamarsi.
Anzi, vedo in questo aspetto, la reale ed ultima possibilità, per la sopravvivenza
della musica. I cd saranno supporti obsoleti. Il download degli mp3 avverrà gratuitamente.
Gli artisti che continueranno a fare musica, potranno ritenersi "professionisti"
solo dietro una vera attività live. I concerti quindi saranno l'unica fonte di remunerazione
economica, ma anche strumento di "selezione naturale" per tutti coloro che faranno
musica.
E mi sembra che sia quanto accada già da tempo
Musicalmente parlando, se hai le palle vai avanti, se non le hai, continuerai
a regalare musica...finta. Se questo sarà il futuro scenario, le case discografiche
per sopravvivere dovranno spostare il loro baricentro quasi completamente sul management
dell'artista. L'alternativa? Rendere illegali gli mp3.
Fatemi sapere come va a finire.
E tu come pensi che vada a finire?
Limitare le attività e la diffusione sulla rete è quasi impossibile. Quando parlo
di illegalità dell'mp3, dico che dovranno essere considerati illegali tutti i programmi
di conversione audio, che i-Tunes, Napster, ecc... devono chiudere. Finchè rimarrà
un solo mp3 in giro per la rete, avremo sempre il problema della condivisione
(sharing). Tutto ciò è ovviamente utopico, dovrei quindi pensare alla prima
ipotesi, come risposta alla tua domanda. Anche se ci sono molti autori ed editori
che hanno cominciato a sollecitare i governi di mezza Europa, che cominciano ad
agire, a partire dalla Francia.
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Data pubblicazione: 24/04/2010
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