di Claudia Belchior
CLAUDIA BELCHIOR:
Mi dai una piccola definizione di Peppe Consolmagno musicista percussionista.
Peppe Consolmagno: Il mio punto di partenza è sempre stato lasciar "parlare" prima gli strumenti e successivamente "dialogare con loro". E' un modo per fare musica, non l'unico è ovvio, ma è quello con il quale mi sento a mio agio. I miei insegnanti sono stati, nel bene e nel male, la vita ed i rapporti familiari. Ho fatto diversi lavori e sempre con l'idea fissa di poter fare sopravvivere dignitosamente la mia libertà. Non è stato facile e non lo è tuttora, ma la mia disponibilità verso la conoscenza, la curiosità per i dettagli e le cose genuine, la coerenza e la sincerità oltre qualsiasi limite, hanno sempre preso il sopravvento. Nessuno inventa niente, è difficile essere il primo a fare qualcosa, specialmente in questi ultimi anni, da quando si trova tutto, si conosce tutto. Non provenendo da una famiglia di musicisti e vivendo in Italia in una regione come le Marche, al confine con la Romagna, tutto sommato ricca di riferimenti folclorici ma a me strutturalmente lontani, mi sono messo alla ricerca di musiche e culture che potessero stimolare la mia sensibilità. L'ho fatto senza avere un'idea precisa di dove sarei voluto andare. Si è trattato dunque di un cammino lungo ed articolato, che non ha riguardato esclusivamente l'aspetto musicale. La mia musica è una sintesi di più culture. Essa nasce dal mio vissuto quotidiano e dalla mia esperienza personale, dagli incontri fatti, dai miei viaggi. Ancora prima di scegliere di diventare musicista, avevo la
passione (che caratterizza ancora oggi la mia ricerca), per la manualità e per la costruzione di cose. Di conseguenza, la scoperta della musica ha coinciso con un vivo interesse verso la fattura degli strumenti musicali, dei materiali con cui sono costruiti ed in particolare per il suono. Contemporaneamente ho portato avanti una ricerca sulla voce, sulla gestualità e sulla fisicità del fare musica. Questo aspetto ha costituito per me il primo aggancio concreto con la musica.
CB:
Quale e' l'esperienza che hai tratto dal Brasile come ricchezza per il tuo lavoro in Europa?
PC: Sono stato in Brasile la prima volta nel 1985. E'
un Paese che mi ha sempre affascinato ed ho trovato nella sua maniera di vivere
la musica molta affinità con la mia sensibilità. Avevo l'esigenza di verificare
sul campo se quello che avevo appreso dall'ascolto dei dischi e dalla lettura
dei libri, era corrispondente al vero. Ho scritto tanto sul Brasile per
quotidiani e riviste italiane, e sempre in maniera molto ben documentata, che mi
ha fatto avere ottimi apprezzamenti anche in Brasile. E' un paese che amo
profondamente anche con tutte le sue contraddizioni. Questa maniera di misturare
tutto, la mescola di tre colori: giallo, bianco e nero, che fanno la ricchezza
del Brasile, hanno sempre contagiato la mia vita. Non suono musica brasiliana, ma la mia maniera di sentire la musica è legata al
balançou e al suono delle parole in portoghese brasiliano. Gli stessi titoli delle mie composizioni sono spesso in questa lingua, come
Lua con cui ho aperto il concerto del
24 ottobre dello scorso anno a Firenze con Nana Vasconcelos .
CB:
Quale e' il messaggio che cerchi di trasmettere attraverso i tuoi strumenti e dal tuo suono?
PC: Quando suono non amo dare spiegazioni per così dire tecniche. Mi piace invece raccontare per introdurre le persone che non mi conoscono all'ascolto della mia musica. E questo lo faccio con la voce, con i miei strumenti e con il silenzio. Nel mio modo di esprimermi la voce ha un ruolo importante, usata insieme agli strumenti la considero come una fonte di equilibrio e di ispirazione. Il silenzio ha un suo valore e va rispettato. Basterebbe concentrarsi nell'equazione: più silenzio, meno note. Mi piace ricordare quello che ha detto
Munir Bashir: "Se la musica non esce dall'anima, resta solo il rumore". La mia melodia è solare ed introspettiva, spontanea allo
stesso tempo. I miei brani sono costellati di ricordi ed immagini di vita,
dell'infanzia, di viaggi, di paesaggi, sentimenti e visioni fantastiche che
cerco di comunicare con i suoni. Non mi interessa solo il ritmo, ma anche il lato emotivo e psicologico della creazione musicale. Tutto è ritmo, ma non lo amo finalizzato a se stesso. Parlare di ritmo mi ricorda qualcosa di caotico. Il timbro e il colore hanno invece più a che fare con l'energia psichica, che comunque batte, pulsa. E siccome il lato psicologico, emotivo, mi ha sempre comandato nella vita in generale, ho cercato di trasportarlo anche in musica. Quando sono sul palco mi trovo benissimo, ci salgo ogni volta con un forte senso di responsabilità. Sul palco mi rilasso o per lo meno mi viene offerta la possibilità di farlo, cosa che magari non accade facilmente nella vita. La voce, il silenzio, il timbro e il ritmo sono facce della stessa medaglia di un comune denominatore chiamato musica. Per me esiste una relazione specifica tra questi elementi, e molto sinteticamente posso dirti: la voce come equilibro, il silenzio come musica, il timbro come emozione e il ritmo come pulsazione.
CB:
Come è stato suonare con Nana Vasconcelos dopo questo periodo di sua assenza qui in Italia, tu lo conosci bene, e che cosa di nuovo
succederà?
PC: E' stata un'esperienza eccellente. E' stato magnifico suonare con lui ad esempio: l'omaggio a
Don Cherry e Collin Walcott, Nana con il Berimbau ed io con i
Caxixi. Io e Nana ci troviamo perfettamente d'accordo sull'idea di usare i propri strumenti a percussione nel senso di orchestra e non del ritmo finalizzato a se stesso. Con lui condivido un percorso particolare: abbiamo diversi punti in comune nella nostra ricerca. Senza dubbio la sua musica ha costituito un punto di riferimento per molti musicisti nel mondo, me compreso. I miei rapporti con Nana sono ottimi, io stesso ho curato il suo arrivo in Italia per il concerto di Firenze del 24 ottobre. E' stato a casa mia per tre giorni così abbiamo potuto parlare parecchio e consolidare maggiormente la nostra amicizia. Il fatto che sia mancato in Italia per diverso tempo e' legato al fatto che spesso gli organizzatori italiani non dispongono di situazioni e collocazioni adeguate. Tutti lo vogliono, tutti gli propongono qualcosa, molti passano attraverso me, poi alla fine qualcosa si inceppa. Quali sono gli elementi che fanno accadere questo? mancanza di correttezza, di chiarezza, di capacità, mi sembra che possa bastare. Il fatto che questa volta Nana e' stato qui, grazie al mio impegno che fa fede alle aspettative di Nana, anche se disturbato da una cattiva organizzazione, sfata tutte le leggende sulla sua inaffidabilità e tante altre cose... Mi auguro che questa esperienza si possa ripetere al più presto. Come si dice in Brasile:
tudo bem no ano que vem...tutto bene nell'anno che viene.