Intervista con Giuliana Soscia aprile 2019 di Marco Losavio
In occasione della pubblicazione del nuovo album "Indo Jazz
Project", abbiamo incontrato la musicista e compositrice Giuliana Soscia.
Come nasce l'idea di affrontare la musica indiana?
L'idea è nata dopo un viaggio in India avvenuto nel 2016
in occasione di un importante tour con il mio trio e il progetto "Sophisticated
Ladies" dedicato alle donne compositrici nel jazz. Ho tenuto concerti nei più
importanti teatri dell'India: l'Experimental Theatre dell'NCPA Mumbai, GD Birla
Sabhaggar Kolkata, Civil Services Officer's Institute New Delhi, proprio in occasione
della Festa della Donna. Ho viaggiato molto per i miei concerti in Etiopia, Vietnam,
Turkia, Brasile, Perù, Scozia, Francia ma debbo dire che nessuna nazione mi aveva
lasciato un segno così profondo come l'India. E' molto strano poiché il mio primo
viaggio è stato breve, ma non pensavo di ricevere una tale energia. Quindi al mio
ritorno ho maturato l'idea di un progetto che potesse abbracciare la musica indiana,
i raga con l'improvvisazione jazzistica e non solo, anche un linguaggio più classico
contemporaneo. Nell'ottobre 2017 è nato il
Giuliana Soscia Indo Jazz Project e il debutto è stato incredibilmente di
nuovo in India, con un secondo viaggio molto più lungo nel febbraio
2018 da Calcutta, New Delhi a Bangalore.
L'indo-jazz è un genere di arrivo
e/o di scoperta per molti musicisti come, per citare i più noti, John Coltrane,
ma anche John Mclaughlin, Trilok Gurtu fino anche ai più recenti come Vijay Iyer,
Rudresh Mahanthapp. Per te, quindi, è più un arrivo o una nuova scoperta?
Conoscevo le esperienze di musicisti come
John Coltrane,
John Mclaughlin e Trilok Gurtu,
ma non avevo mai approfondito i loro personali percorsi. Solo dopo aver maturato
l'idea di un progetto che potesse abbracciare la musica indiana, ho cominciato a
documentarmi seriamente ed ascoltare molti musicisti, soprattutto americani noti
e meno noti. E' stata da questo punto di vista una scoperta sapere di una corrente
indo-jazz a partire dagli anni'60. D'altra parte, lo considero invece un mio punto
di arrivo, poiché la curiosità per la cultura indiana, e quindi musicale, parte
da ben molto lontano nella mia vita, quindi ho letteralmente realizzato una mia
idea.
Un tramite verso la musica indiana sono state le religioni
e le filosofie orientali. Ti è venuto l'interesse anche verso altri aspetti della
cultura indiana e del suo spirito?
Circa venti anni fa, incontrai una persona molto particolare, era stata in India
per viaggi spirituali ed era rimasta legata alla filosofia indiana. Mi invitò a
partecipare ad un incontro di meditazione yoga. Ero molto curiosa e molto attratta
da questo tipo di filosofia, cominciai a praticare la meditazione per un periodo
di tempo e cominciai ad appassionarmi moltissimo alla pratica dello yoga. Era un
periodo della mia vita in cui ero alla ricerca di una mia strada anche musicale;
ero molto disorientata e forse cercavo di capire più me stessa. Cominciai poi a
praticare lo yoga dinamico e mi appassionai a tal punto che addirittura nel periodo
in cui lavoravo come musicista in Rai, proposi una rubrica che illustrava questa
antichissima disciplina. Presentai io stessa una rubrica su Rai Uno e nacque in
Italia una vera "febbre" per lo yoga. Da qui cominciai a ricercare strumenti musicali
indiani, soprattutto cercare di capire la funzione della musica in India, il suo
aspetto legato alla spiritualità ma anche al benessere, la sua funzione terapeutica.
Ho incontrato e contattato musicisti, musicoterapeuti, neurologi che studiavano
l'effetto della musica sul cervello, ho ascoltato musica indiana, ho cominciato
a documentarmi molto. Quindi molti anni dopo nell'evoluzione del mio percorso artistico
il viaggio in India è stato fondamentale.
Le composizioni si articolano in modo continuo e da una
si entra nell'altra rendendo il lavoro come una unica suite. Che approccio compositivo
è stato adottato?
Dal punto di vista compositivo ho voluto esprimere tramite i miei brani una mia
idea dell'India e l'intero disco è come un mantra, in fondo la ciclicità nella musica
indiana è la sua caratteristica principale. Mi piaceva sottolineare questo caratteristica,
che comunque fa parte di una strada compositiva che sto percorrendo da un po' di
anni. Il carattere ipnotico della musica fa parte di molte culture anche nostrane
soprattutto folkloristiche, è proprio quella funzione sciamanica e curativa che
la musica aveva nell'antichità. Nel Giuliana Soscia Indo Jazz Project, ho ricercato
non solo la ciclicità dei temi delle parti improvvisative affidate ai vari strumenti,
ma anche poliritmie cicliche. I ritmi spesso sono dispari naturalmente per riprendere
il carattere dell'improvvisazione ritmica indiana denominata "Konnakol".
Per quanto riguarda i temi musicali, mi sono ispirata a degli immaginari canti indiani
oppure ad immaginari paesaggi. Il disco apre con il brano "Samsara" che ho
dedicato al ciclo della vita e in particolare alla mia rinascita, quando ho deciso
di abbandonare la fisarmonica a causa di un problema di salute e di riprendere a
suonare il pianoforte a pieno ritmo. "Indian Blues" una forma blues immaginaria
in 7/4, ho voluto coniugare la forma adottata dal jazz per eccellenza con la musica
indiana, con una melodia molto semplice e solare che ricorda i colori dell'India.
"Arabeque" invece è dedicato al mondo arabo, mi piaceva sottolineare questa
influenza araba nella cultura indiana, che ho notato durante i miei viaggi in India.
"Gange" invece, rievoca la maestosità e l'impeto del fiume Gange, protagonista
è il sassofono baritono di Mario Marzi, in una parte tecnicamente molto impegnativa,
mi sono ispirata al tenore di Bob Mintzer. Voglio raccontare un aneddoto,
il primo concerto del mio Indo Jazz Project si è tenuto a Calcutta lo scorso febbraio
2018 e alla fine del concerto un signore tra
il pubblico si è avvicinato e nel farmi i complimenti mi ha detto entusiasta che
avevo descritto perfettamente musicalmente il fiume Gange. "Alpha Indi" è
il brano più dolce e melanconico, ho immaginato una melodia popolare ed emerge l'impasto
timbrico dei temi del sax soprano con il bansuri, strumento tipico della cultura
indiana e molto evocativo. A chiudere "Bloodshed" una denuncia per le stragi,
le miserie umane, un brano per esorcizzare il male nella speranza di un mondo migliore.
click sulle foto per ingrandire
Nel tuo progetto sostieni che hai cercato
di far incontrare la musica indiana con quella italiana ed europea. Potresti descriverci
meglio questo punto di incontro?
Il punto d'incontro è l'improvvisazione naturalmente, nella musica classica indiana
ci sono i "raga", modi sui quali i musicisti improvvisano, nella musica jazz occidentale
si utilizzano gli standards oppure composizioni scritte secondo le tecniche compositive
jazzistiche, sulle cui strutture armoniche poi si improvvisa. Anche nella musica
classica occidentale si pratica l'improvvisazione, nella musica contemporanea e
anche in passato esisteva, molti compositori Bach, Mozart improvvisavano,
successivamente questa pratica è andata sempre più perdendosi. Solo alcuni musicisti
con eccezionali doti riuscivano ad improvvisare in stile, ma non era consentito
improvvisare nei concerti pubblici. Il mio maestro Sergio Cafaro, grande
pianista ma anche compositore, ad esempio era un grande improvvisatore e riusciva
ad eseguire e rielaborare una semplice melodia in tutti gli stili compositivi da
Bach a Debussy, ma le sue improvvisazioni si potevamo ascoltare solo in occasione
di feste tra amici. Per il resto a partire dai primi del ‘900 Il jazz ha rivalutato
l'improvvisazione rendendola parte fondamentale del proprio linguaggio. A proposito
di questa interessante tematica il prossimo 13 e 14 settembre coordinerò e terrò
una importante masterclass/laboratorio, con tutti i musicisti del mio Indo Jazz
Project presso il prestigiosissimo Conservatorio di Musica di Santa Cecilia. La
masterclass è aperta a tutti coloro che vogliono partecipare, anche uditori, e seguirà
poi il concerto finale nella Sala Accademica. Si parlerà dell'improvvisazione sui
"raga", l'improvvisazione ritmica, metodi di solfeggio vocale del "Konnekol"
o del "Bol Paran", l'improvvisazione jazzistica e classica contemporanea.
Io parlerò della struttura compositiva che è servita da canovaccio per le improvvisazioni.
Il tuo ruolo come musicista è di evidente sostegno alla
trama musicale, oltre che di collante tra le evoluzioni ritmiche e armoniche dei
vari momenti solistici. Le dinamiche d'insieme si modulano e si reggono in modo
molto efficace segno di un'intesa notevole. Come hai scelto i tuoi compagni di viaggio? In verità, dopo aver scelto i musicisti che avrebbero fatto parte del
progetto, ho scritto i brani e affidate le parti improvvisative. Mario Marzi
è un grande musicista, che però appartiene al mondo della musica classica, ma anche
eccellente improvvisatore, ha collaborato in precedenza con molti jazzisti. Mi piaceva
far partecipare un musicista che potesse trattare le melodie con uno stile più classico
per dare un colore originale al mio lavoro. Rohan Dasgupta è un giovanissimo
e virtuoso maestro di sitar di Calcutta, molto aperto ad innovazioni e contaminare
la sua musica con il jazz. Paolo Innarella eccezionale flautista jazz, suona
anche benissimo il bansuri indiano e i sassofoni, il suo intervento al sax lo possiamo
ascoltare solo nell'ultimo brano del disco, è stato comunque utilizzato prettamente
come flautista. Sanjey Kansa Banik, tablista di Calcutta, ma acclimatato
ormai in Italia da ben dieci anni, anzi direi a Roma, veramente eccezionale e di
grande sostegno ritmico. Infine il bravissimo
Marco de Tilla
contrabbassista jazz napoletano col quale collaboro da anni. L'affiatamento è frutto
di un lavoro svolto in prova, diretto da me meticolosamente e la scelta dei musicisti
secondo un'affinità come dire "a pelle", anche caratteriale. Secondo me fare musica
è qualcosa che ti coinvolge per intero. Con la musica bisogna essere se stessi senza
nessuna restrizione e con generosità, e stare in armonia non è solo una questione
musicale ma anche di empatia.
Bansuri, tabla, sitar sono imprescindibili per la definizione
dei suoni e dei ritmi di matrice indiana. Come hai affrontato la scrittura per questi
strumenti che non sono consueti nella nostra cultura?
Mi sembravano gli strumenti caratterizzanti della cultura indiana, almeno per noi
occidentali, tutti noi conosciamo il suono del sitar di Ravi Shankar introdotto
tramite i Beatles dagli anni Sessanta. Ovviamente scrivere per questi strumenti
è stata la difficoltà maggiore. Mi sono dovuta destreggiare e muovere entro spazi
limitatissimi. Il rischio era quello di un risultato mediocre e molto monotono,
i centri tonali di tutto il disco infatti non a caso sono solo due, re e do# nei
modi maggiori e minori, infatti dal vivo a metà concerto si deve dedicare un po'
di tempo all'accordatura del sitar. Le tabla, invece, hanno un'intonazione fissa,
ognuna un suono. Per quanto riguarda il bansuri, le possibilità sono anche molto
limitate quindi ho dovuto scrivere evitando modulazioni per questi strumenti. Le
modulazioni, quando presenti, sono eseguite dagli strumenti occidentali. Quindi
la mia difficoltà malgrado tutte queste limitazioni era dare comunque un carattere
di varietà e di sorpresa nella scrittura.
E' da qualche anno che hai accantonato la fisarmonica con
la quale hai ottenuto grandi successi e riconoscimenti. Ritieni quello un ciclo
chiuso o potremo aspettarci qualche novità in futuro?
Ho abbandonato la fisarmonica dal 1 settembre 2017
per un problema di salute, a causa del peso eccessivo dello strumento. Purtroppo,
a volte, si devono affrontare situazioni drastiche nella vita, pertanto lo ritengo
un capitolo chiuso. Fortunatamente posso continuare a fare musica tramite il pianoforte
che è anche il mio primo strumento. Riconoscimenti ne ho avuti anche come pianista
ho vinto tanti concorsi pianistici, all'inizio della mia carriera musicale, poi
era sopraggiunta la fisarmonica, quindi si è semplicemente riaperto un ciclo della
mia vita, molto emozionante e di grande stimolo creativo. Sono consapevole del fatto
che sarà difficile farmi accettare nuovamente dal pubblico e dalla critica sotto
questa mia veste pianistica, ma la musica per me è qualcosa di più profondo, lo
strumento è solo un mezzo con il quale esprimere la mia musica. Posso farlo anche
con l'orchestra e dirigere solamente, la mia musica resta la stessa. Continuerò
in futuro quindi come pianista e mi dedicherò anche all'orchestra jazz che adoro,
quindi alla composizione e conduzione, con la speranza di essere accettata con amore
di nuovo dal pubblico e dalla critica.
Ci sono nomi di musicisti a cui sei ancora oggi legata
per aspetti stilistici o magari anche affettivi?
Nella mia vita artistica ho affrontato vari generi musicali e prima del jazz c'è
la musica classica. Quindi sicuramente sono affezionata a Bach, Alban
Berg, Mozart, Beethoven, Debussy, Bartok e Chopin.
Successivamente nel mio percorso come fisarmonicista Astor Piazzolla mi ha
dato tanto, ho affrontato questo compositore studiandolo nei minimi dettagli, straordinario.
Poi ci sono alcuni jazzisti
Louis Armstrong,
Duke Ellington e
Benny Goodman i primi che ho ascoltato, dall'età di quattro anni,
prima dell'esperienza classica. Più tardi Thelonious Monk, Coltrane
e Shorter,
Bill Evans,
Cecil Taylor e Sun Ra sono stati per me di grande ispirazione.
E tra le collaborazioni? Qualcuna che ti è rimasta particolarmente
cara?
Sicuramente sono legata ancora a Pino Jodice, d'altronde è mio marito! A
parte questo è stata una grande collaborazione con grande affinità musicale. Entrambi
diplomati in pianoforte classico abbiamo eseguito stessi repertori all'esame di
diploma pur non conoscendoci. Con lui ho collaborato per molti anni, tanti dischi,
tanti progetti e tanti concerti. Una bella esperienza che però ora a causa del mio
cambiamento di strumento è terminata. Continua però il progetto Orchestra Jazz
Parthenopea di Pino Jodice e Giuliana Soscia e forse decideremo
di ripristinare il Giuliana Soscia & Pino Jodice Duet ma a due pianoforti.
Tra le altre collaborazioni sicuramente il sassofonista
Tommy Smith, con il quale
ho inciso l'album "North Wind", Tommy è un grandissimo musicista e debbo dire che
ha interpretato magistralmente i miei brani, è stato un vero onore collaborare con
lui. Precedentemente avevo collaborato con lui in un bellissimo tour in tutta la
Scozia come special guest, con la sua Scottish National Jazz Orchestra. Bellissima
esperienza anche collaborare con
Paolo Fresu,
un musicista di una grande sensibilità. Con lui ho realizzato l'album "Megaride",
nel quale mi sono alternata alla conduzione dell'Orchestra Jazz Parthenopea
con Pino Jodice.
Hai anche una cospicua attività didattica. Quali sono i
principali aspetti che cerchi di trasmettere agli studenti?
Cerco di far scoprire ai miei allievi l'essenza profonda della musica, la sua funzione
di linguaggio universale che può toccare le corde delle nostre emozioni. Insegno
la libertà della musica, che non ha confini, senza le barriere tra i vari generi
musicali, ognuno con il proprio stile. Poi insegno soprattutto come bisogna porsi
nei confronti della musica: con tanta generosità, coerenza, massima serietà, completa
dedizione, umiltà, rigore e senza alcuna barriera emotiva. Infine, cerco di tirar
fuori la creatività dall'allievo, che spesso viene un po' limitata o addirittura
bloccata a causa della rigidità delle numerose regole da seguire e da imparare:
la musica è prima di tutto arte.
Da donna musicista, compositrice, a capo di progetti ed
ensemble, che visione hai del jazz in Italia oggi o, per meglio dire, del "sistema
jazzistico" in Italia?
In Italia, il sistema jazzistico è sofferente come ogni altro settore. Gli spazi
per esibirsi si sono ridotti enormemente negli ultimi anni, a causa della crisi
economica, e direi anche a causa dell'affermazione di internet. Il pubblico è sempre
più assente poiché su YouTube puoi ascoltare qualsiasi concerto dal vivo
e i social hanno reso "tutti famosi", accresciuto a dismisura l'ego delle persone
e di molti musicisti. Si verifica spesso che musicisti o allievi non vadano più
ad assistere ai concerti dei loro colleghi o propri maestri. Per quanto riguarda
le donne, c'è ancora molto maschilismo, la donna compositrice è vista ancora con
grande sospetto. Solo alcune donne molto famose nel jazz possono godere dei consensi
dei colleghi uomini, ma debbo dire sempre con qualche critica. Per il resto trovo
che in Italia ci siano dei grandissimi talenti musicali anche nel jazz, c'è molta
creatività e molta musicalità. Speriamo in un sostegno maggiore delle istituzioni
e in tempi migliori.
Se dovessi selezionare alcuni brani dai tuoi album per
una ipotetica compilation, quali sceglieresti?
"Alpha Indi" e "Samsara" dall'ultimo album "Giuliana Soscia Indo
Jazz Project";" The Old Castle" dall'album "North Wind" del Giuliana
Soscia & Pino Jodice 4tet feat. Tommy
Smith; "Variazioni- Sonata per luna crescente" e " Lu Scottis"
dall'album "Megaride" dell'Orchestra Jazz Parthenopea di Pino Jodice e Giuliana
Soscia feat.
Paolo Fresu; "Contemporay Tango" dall'Album Sonata per luna crescente
del Giuliana Soscia & Pino Jodice Duet; "Contemporary Swing" dall'album Contemporary
del Giuliana Soscia & Pino Jodice 4tet; "Antiche Pietre" dall'omonimo album
del Giuliana Soscia & Pino Jodice Italian Tango Quartet.
Cosa prevede quindi l'agenda di Giuliana Soscia?
Il concerto live e presentazione dell'album Giuliana Soscia Indo Jazz Project a
Radio Tre Suite "La Stanza della Musica" il prossimo 7 giugno. Come accennavo
precedentemente la masterclass del 13/14 settembre e concerto finale il 14 settembre
ore 18,00 in sala Accademica presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma. Poi
prossimi concerti con il Giuliana Soscia Trio, dove sono naturalmente nel ruolo
di pianista con Dario Rosciglione e Alessandro Marzi e un grande progetto
per Orchestra Jazz diretto da me, con progetti di mie composizioni, sono in vista
altri due lavori discografici a breve.