Risonanze 2010
Han Bennink & Daniele D'Agaro
Venezia, 13 marzo 2010, Teatro Fondamenta Nuove
di Giovanni greto
Han Bennink - Batteria
Daniele D'agaro - sax tenore e clarinetto
Non poteva aprirsi in maniera più felice la stagione
2010 di Risonanze. Per la prima volta con un
progetto in duo, anche se si conoscono fin dal periodo in cui D'Agaro emigrò
in Olanda, i musicisti hanno dato vita ad un unico set di 65 minuti, che ha tenuto
desta l'attenzione di un pubblico eterogeneo, ipnotizzato dal virtuosismo di entrambi,
anche se il batterista, apparso in ottima forma, ha recitato il ruolo del protagonista.
Improvvisazione pensata e tradotta in suono sull'istante.
Parte Bennink, e D'Agaro lo asseconda insinuandosi con una
linea sonora fatta di soffiati, soprattutto attraverso l'uso del clarinetto, che
ad un certo punto sfocia in una irruenza in stile free, spesso con il sax tenore.
Le dinamiche sono impeccabili e vanno dal pianissimo al fortissimo. Pause e silenzi
fanno parte della narrazione, ed anche se i brani sono diversi, sembra di ascoltare
una lunga, variegata suite. Bennink - a 68 anni - suona ancora come un quarto di
secolo fa, con la medesima energia e l'imprevedibilità che lo contraddistingue e
che spesso spiazza lo spettatore. La tecnica è sopraffina: dai rulli, allo swing,
al calypso, alle accentazioni. Inoltre non si limita all'uso del canonico drum set,
ma suona, riuscendo sempre ad estrarne un suono incredibilmente pulito, qualunque
superficie gli vada a genio e persino l'aria. Chi altri potrebbe riuscirci con eguale
espressività? Adopera non soltanto bacchette e spazzole, ma anche l'asciugamano
con il quale si deterge il copioso sudore. E tutto, come per incanto, risuona bello,
elegante. Inarrivabile nella sua teatralità, quando si distende per terra e in una
posizione che a noi parrebbe scomoda, inanella una serie di rullate frizzanti, precisissime,
senza sbavature, o di figurazioni prese e interpretate dai rudimenti dello snare
drum. Cambia spesso il ritmo, accelera, decelera e induce alla transe, quando passa
alle spazzole. Insiste in un ritmo fino al punto in cui anche la platea lo fa suo.
Allora, quasi per dispetto, con uno stop o un'accentazione roboante, cambia tutto
e ci si ritrova di nuovo a seguire la sua trama, in una circolarità pulitissima
e che, se la stanchezza lo permettesse, potrebbe andare avanti ad libitum, come
un percorso meditativo, che libera dagli affanni, dalle preoccupazioni e dallo stress.
D'Agaro, estroso anch'egli, in questo caso non detta il programma, ma si inserisce
nel pensiero iniziale, contribuendo ad esplorare delle zone nelle quali forse Bennink
non si sarebbe inoltrato. Il pubblico è rapito, vorrebbe almeno un bis. Bennink,
serissimo, rientra dal camerino, invoca in italiano un ‘Silenzio' ad alta voce.
La sala ammutolisce e i due, all'unisono, eseguono una brevissima misura di un quarto.
Si ride, si capisce che la fatica è stata tanta e che la quantità temporale non
va di pari passo alla qualità.
Inserisci un commento
© 2000 - 2024 Tutto il materiale pubblicato su Jazzitalia è di esclusiva proprietà dell'autore ed è coperto da Copyright internazionale, pertanto non è consentito alcun utilizzo che non sia preventivamente concordato con chi ne detiene i diritti.
|
Questa pagina è stata visitata 2.817 volte
Data pubblicazione: 18/04/2010
|
|