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Parma Jazz Frontiere
Quest: David Liebman, Richie Beirach, Ron Mcclure, Billy Hart

Parma 29 novembre 2007
di Marco Buttafuoco
foto di Piero Bandini

Ti ripeti oramai da un po' che il jazz è in crisi. Che è una musica senza spinta propulsiva, ripiegata in sé stessa. Sei un po' pessimista, insomma, sul futuro di questa arte. Poi ti capita di ascoltare un disco. "Quest", un gruppo degli anni '90. E' una "reunion": di solito imprese che funzionano così e così, anche quando sono grandi nomi a proporle. E questi sono grandi nomi: David Liebman, Richie Beirach, Ron Mcclure, Billy Hart.



A
scolti il disco e non credi alle tue orecchie. Un'ora abbondante di jazz torrido, appassionato, ricco. C'è Monk, c'è Trane, ma c'è anche il piano di Beirach che disegna linee melodiche ed armoniche di sapore "classico", dove senti tutto il dramma della musica eurocolta del tardo romanticismo e dei primi del '900. E ci sono anche percussioni nere d'Africa e flauti di legno che cantano "Lonely woman" di Ornette.

D'accordo. Un buon disco live. Ma un episodio. Non può fare testo. Il pessimismo è duro a morire. Tieni il disco lì e lo riascolti, sempre più convinto. Poi i Quest arrivano nella tua città. Sarà bello risentire quei pezzi.

Invece: altra sopresa. I quattro portano in scena tutto un altro repertorio e suonano un set da brividi. Da far accapponare la pelle anche al più incallito detrattore del jazz di oggi. Musica furente eppure sempre leggibile, un mix di rabbia e tenerezza, di ardori ritmici e delicati abbandoni lirici. Una musica fiammeggiante come un quadro di Pollock, scabra come una tela espressionista.

C'è tutta la storia del jazz moderno nel sound del quartetto. Ma c'è soprattutto una enorme, debordante, contagiosa voglia di comunicare con il pubblico. I quattro sul palco sono felici di suonare insieme e vogliono dirlo alla gente in sala. Oltre all'interplay fra i musicisti si avverte quello fra loro ed il pubblico. Una emozione rara, rarissima, nei concerti di jazz. I musicisti di flamenco parlano del "Duende", dello spirito, del fantasma fatto di musica che si manifesta solo in certe occasioni, in certe sere miracolose. Ecco, in questa nebbiosa sera parmigiana, lo spirito si è materializzato, trascinando i musicisti, eccitando il pubblico: molti avrebbero voluto danzare su quello swing selvaggio del quartetto.

Beirach suona come avrebbero suonato Liszt o Chopin se mai avessero potuto ascoltare Art Tatum o Fats Waller. Liebman ruggisce, grida, sussurra, canta nei suoi sax. La ritmica è semplicemente indimenticabile. E' un concerto difficile da raccontare, troppo bello da dirsi.

"E' stato come tornare a casa dopo 15 anni - scrive Liebman – nelle note di copertina del disco- Che gioia ritrovare i fratelli, non un passo è andato perso". Ti ripeti questa frase, uscendo dal teatro, e pensi a quei fiumi carsici che si immergono nella terra e riappaiono a distanza di chilometri, percorrendo lunghi tratti sottoterra.

Non perdete di vista Quest.







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Data pubblicazione: 17/03/2008

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