La
musica proposta dal nuovo quartetto di Michel Portal si può dire che sia
sorta intorno a due universi musicali all'apparenza lontani tanto in termini storici
che geografici. Da un lato infatti l'ascoltatore viene catturato dall'estasi di
una poliritmia che rimanda all'Africa e dall'altro è invitato a seguire il corso
di melodie suadenti cullanti, pregne di un lirismo che richiama alla memoria il
melodismo melanconico di
Debussy
e Ravel. Sembra di assistere allora al sogno di una danza o alla danza di un sogno
a seconda che uno dei due aspetti prevalga, possiamo vivere l'ebbrezza trascinante
di una musica che richiede anzitutto la partecipazione di tutti i sensi e di tutto
il corpo, in un abbandono senza memoria oppure possiamo indulgere questa volta con
un piacere tutto diverso, fatto di sensibilità storica e di creazioni dell'immaginazione
attraverso gli echi di note che ci giungono da lontano come se stessimo aprendo
un carillon.
Queste impressioni però non vogliono suggerire in chi legge l'idea che
la musica del concerto si inscriva sotto il segno della contaminazione, di quella
giustapposizione estetizzante di tradizioni e stili musicali che è oggi tanto in
voga. Se qui si distingue fra due momenti è soltanto perché il linguaggio delle
parole è costretto a separare, se vogliamo a storicizzare, ciò che nella musica,
in questa esibizione dal vivo, si è offerto con la coerenza di un risultato compiuto.
La
collaborazione infatti fra Michel Portal e Louis Sclavis risale alla
fine degli anni '60 e, nel corso del tempo,
passo dopo passo, secondo un processo che gli autori stessi hanno descritto ("La
Scena Musicale" – Vol.10, No.1) come «très douloureux» è riuscita ad
integrare alle sonorità del jazz d'avanguardia quelle dell'Africa, di diverse tradizioni
popolari europee e del mondo delle canzoni.
Se il cammino ha richiesto sforzi, passione e lavoro, il risultato cui
abbiamo assistito è talmente coerente da lasciar trasparire persino una facilità
ludica nelle improvvisazioni trasformando i clarinetti e i sassofoni, di cui entrambi
i musicisti sono virtuosi, quasi in due personaggi che si dividevano la scena di
un teatro.
Completavano la formazione lo storico compagno Daniel Humair alla
batteria e Sebastian Boisseau, contrabbassista segnalatosi nella Newdecaband
di Martial
Solal.
A conclusione del concerto si era indotti a pensare che sarebbero oramai
maturi i tempi per avviare un bilancio dei diversi modi e metodi in cui dagli anni
'70 in poi, in America ed in Europa, il jazz
ha inteso recuperare le sue origini nella musica africana riaffermando in questo
modo la forza onnivora dell'improvvisazione.