Se il simbolo di
Lester Young era un feltro nero posto sul pianoforte, Lady Day amava adornarsi con una gardenia tra i capelli e Louis Armstrong aveva tra le mani un fazzoletto bianco, il pianista cubano
Omar Sosa, che con il suo Octet "Sentir",
ha chiuso felicemente la IX edizione di
Jazz On the Coast, rassegna promossa a Minori dal pianista
Gaspare Di Lieto, ha posizionato sul pianoforte un lumino, decorato con una sciarpa rossa, cadente sulla tastiera, per far sì che gli spiriti sapessero che in quel momento lui stava per iniziare a suonare, e avrebbe dedicato a loro il concerto, retaggio del sincretismo cubano con le religioni animistiche africane.
Omar Sosa, pianista cubano si è presentato con tutti i componenti del mondo nero, dal marocchino
El Houssaline Kili al gnawa chant e al guembri, all'ecuadoriano
Breis, rapper del gruppo, sino ala cubana Martha Gallaraga, che ha evocato il canto
yoruba, e ancora, Luis Depestre ai sax, Gustavo Ovalles ai bata drums, e percussioni,
Josh jones alla batteria e Geof Breman al basso, simbolo di una cultura multicolore, non solo in senso metaforico, ma che ha mantenuto le radici originarie come fondamento identitario, arricchitasi strada facendo di echi e influssi delle tante culture percorse.
La musica di Sosa è una fusione ampiamente originale di armonie jazz, ritmi cubani, motivi etnici che si regge interamente sul trascinante ed esuberante pianoforte di Sosa, caratterizzato da un ricco e prezioso tessuto percussivo. Omar Sosa è un autentico virtuoso che non è pervenuto soltanto a sopraffina tecnica ma, ad altrettanto magistrale spettacolarità.
Vedendo Sosa e il suo gruppo sul palco si è rapiti dallo stupore per il rito a cui si assiste, l'entrata, il cerchio, e per i diversi linguaggi riuniti sul palco a dire la loro, anche se legati da un unico filo rosso che è il nero, non solo africano, ma nero, soprattutto per quell'incessante avanzare sotteso delle percussioni.
Ogni strumentista, poi, è un artista creativo, capace di dinamismo, di emozionante improvvisazione, a cominciare da
El Houssaine Kili con il suo esotico guembri, il quale ha sposato altissimamente la particolare sonorità e modalità di questo strumento al pianoforte di
Sosa e alle percussioni di Ovalles, per passare, poi, alla voce dai riflessi bronzei e allo stesso tempo ironici di
Martha Gallaraga, rovinata, in alcuni brani dall'effetto eco, usato quale introduzione al mondo della trance-music, sino ai sax di
Louis Depestre, legame, insieme al validissimo rapper Breis, al mondo nero-americano.
Nei brani ispirati alla trance-music, il pubblico è stato investito, da questa particolare vibrazione (profonda e lenta, mutevole, improvvisamente nervosa, poi fluida), con un riecheggiamento fortemente evocativo di una forza genetica generante armonie di lenta e crescente evoluzione, che sembravano scindersi in schiere, in diversi episodi, per poi ricomporsi e risolversi in essi. Questo tipo di musica pur essendo il risultato di un pensiero armonico-melodico-ritmico, traccianti un disegno ci è apparsa un po' fumosa e superficiale. Chi fa la musica impone all'ascoltatore di partecipare alle sue stesse emozioni e deve essere sentita quale energia intuita puramente, in particolare se espressione di un raffinato misticismo, deve venire comunicata quale genesi della materia, senza effetti svianti, che disperdono, alla lunga, ogni spiritualismo, ogni nascita.
Omar Sosa è pianista cubano e per chiudere il concerto ha liberato tutto il suo sentire
guajiro, insieme alle magiche maracas di Gustavo Ovalles, che ha naturalmente scatenato il demone della danza nell'intero pubblico di
Jazz On The Coast, che ha invaso l'Arena del Mare, concludendo, così, la splendida festa, in riva al mare, durata cinque intensissime serate.