29 giugno 2012 Dusko Gojkovich e Fulvio Albano All Stars Quintet
feat. Sandy Patton
I parte Sandy Patton - voce
Massimo Faraò - pianoforte
Carmelo Leotta - Contrabbasso
Byron Landham - batteria
II parte Dusko Gojkovich - tromba e flicorno
Fulvio Albano - sax tenore
Massimo Faraò - pianoforte
Aldo Zunino - Contrabbasso
Adam Pache - batteria
Il jazz celebra la sua festa annuale a Isola del Cantone nella
settimana di fine giugno. Il seminario, diretto da Massimo Faraò, porta nel
comune della Valle Scrivia un buon numero di valenti insegnanti seguiti da corsisti
provenienti da diverse regioni italiane. Alla sera, in un palco allestito vicino
alla stazione ferroviaria, si esibiscono i maestri di strumento o ospiti nazionali
e internazionali per un'ulteriore lezione sul campo davanti ad un pubblico eterogeneo,
fra addetti ai lavori, appassionati o semplici curiosi di provare l'esperienza di
ascoltare questa strana miscela di suoni, lontana da quanto solitamente viene proposto
dalla Tv o dalla maggior parte delle radio. E la risposta è, di fondo, lusinghiera.
E' incoraggiante, infatti, osservare il tutto esaurito in qualche sera, a fronte
di una programmazione coerente che non si piega alle mode del momento. Il titolo
della rassegna è esplicito e non si presta a possibili equivoci o accomodamenti
e le contaminazioni o le concessioni a nomi di confine e di potenziale cassetta
vengono evitate accuratamente.
Il giorno 28 giugno, quasi in contemporanea con la semifinale
di calcio Italia-Germania per i campionati europei, sale sul palco un trio condotto
da Orrin Evans, pianista e band leader, collaboratore fra gli altri di
Bobby Watson. Orrin Evans affronta un repertorio per la quasi totalità
costituito da standards. Il suo pianismo può definirsi percussivo e iterativo,
nel senso che il musicista afroamericano batte sul pianoforte con una certa pesantezza
e quando individua una frase, un accordo o un blocco di accordi tende a rimanerci
sopra, salvo, poi, involarsi in scorribande di molteplici note piuttosto libere
nella successione, nello sviluppo. Ha una tecnica ragguardevole, ma preferisce puntare
sul timbro e sulla variazione di intensità. Lo assecondano un corretto e generoso
Carmelo Leotta, che predilige il ruolo di spalla ai suoi colleghi più noti.
Quando esce in assolo pare che lo faccia per assecondare la "spinta" dei due
partners. Di per sé opterebbe per rimanere un passo indietro, assumendo un ruolo
funzionale, ma non protagonistico nell'economia del trio.
Alla batteria Byron Landham ribadisce che il lungo sodalizio con Joey De
Francesco non è maturato per caso. Usa i piatti con notevole equilibrio, sa star
dietro al discorso della tastiera con un approccio diversificato, molto ritmico
o prodursi in assoli simultanei con basso e pianoforte, senza risaltare in modo
eccessivo e invadente.
La perla del set è costituita da una versione ricca ritmicamente,
con ostinati di piano e proiezioni in un'atmosfera di funky acustico con i tre strumenti
impegnati a disegnare percorsi differenziati, ma omogenei a gioco lungo, di uno
dei brani più conosciuti di
Herbie
Hancock, "Mayden voyage". Gli spettatori, pur poco numerosi, applaudono
entusiasti alla fine dell'esibizione.
Il giorno dopo, accanto ad una ritmica con Faraò-Zunino e Landham, si presenta la
cantante Sandy Patton, già collaboratrice, fra gli altri, di Dizzy Gillespie
e Paquito D'Rivera. La vocalist non è più giovanissima, ma è dotata di una notevole
vitalità e di un amore viscerale per il jazz della tradizione. Attacca con una "The
Song Is You" giocata sull'anticipo, dove mette in mostra una voce profonda e duttile
e la capacità di pronunciare le parole drammatizzandole, rispettandone cioè il senso
all'interno del testo. Il concerto prosegue con una serie di standards eseguiti
rifuggendo dalla routine, perché l'artista aggiunge sempre qualcosa di personale
nell'interpretazione.
Il clou del set è rappresentato da una versione in duo con Byron
Landham, che per l'occasione usa le spazzole, di "In the beginning" estremamente
suggestiva per l'attenzione quasi meticolosa alle dinamiche del pezzo dedicato a
Bobby Durham, maestro indiscusso della batteria, sepolto nel cimitero di Isola del
Cantone.
Alla Patton, a questo punto, si sostituiscono Dusko Gojkovich
(tromba e flicorno) e Fulvio Albano al sax tenore. Il trombettista bosniaco,
malgrado gli ottantuno anni, rivela ancora un controllo adeguato dello strumento,
una "cavata" sicura e la capacità di salire verso gli acuti. Competente, ma poco
fantasioso Fulvio Albano. Il punto debole della ritmica, però, si dimostra subito
il batterista Adam Pache, lontano dalla personalità, dalla verve, dalla capacità
di trainare il gruppo in maniera raffinata ed energica. Il musicista australiano
suona, infatti, in modo piuttosto piatto e incolore, costringendo anche i compagni
della ritmica a operare secondo dei cliché consolidati, in un'atmosfera che sa molto
di jam session.
Il pubblico che finalmente occupa tutti i posti a disposizione
riserva, alla fine e comunque, grandi applausi.
La manifestazione ha, indubbiamente, tantissimi meriti. In un periodo di crisi
riuscire ad organizzare un seminario ed una serie di concerti in una sede così decentrata
è un atto di coraggio e di vera passione per il jazz. Si ha l'impressione che Massimo
Faraò e i suoi assistenti, inoltre, siano riusciti a far mettere le radici ad una
iniziativa che la gente della Valle Scrivia sente ormai come una tradizione che
va custodita e conservata ogni anno con maggiore sforzo, ma con la medesima tenacia
e determinazione. I risultati positivi ripagano sicuramente le fatiche di un comune
intero, che per una settimana diventa una "piccola capitale del jazz".