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Intervista a Emanuele Cisi
di Alceste Ayroldi


A.A.: Anche tu, come molti altri musicisti italiani, hai scelto la Francia: quali sono i motivi che hanno determinato questa tua scelta? E cosa ti ha dato l'esperienza francese?
E.C.: I motivi non li ho veramente cercati. E' avvenuto tutto casualmente in un certo periodo della mia carriera ho incontrato alcuni musicisti francesi con cui collaboravo, come Aldo Romano e Jean Pierre Como e mi sono trovato a frequentare Parigi. E così facendo ho creato una mia realtà professionale che è andata via via crescendo e di cui sono molto contento. Mi piacerebbe molto poter lavorare di più in Italia, però non è possibile. Per fortuna riesco a lavorare abbastanza bene in Francia. Sicuramente è un tipo di esperienza che mi da l'opportunità di incontrare molti musicisti, anche italiani, cosa che non succede molto spesso in Italia… Parigi è diventato un crocevia di musicisti internazionali e c'è la comunità degli italiani, anche molti pugliesi tra l'altro. Comunque è un'esperienza molto positiva. Ripeto, è un peccato, però, che in Italia non riesca a fare le stesse cose che faccio in Francia.

A.A.: E quali sono, secondo te, i motivi per cui tu non possa fare le stesse cose che fai in Francia anche in Italia?
E.C.: Il problema è che, evidentemente, mancano delle basi solide su cui poggia la cultura e, in particolare per questo tipo di musica. Ripeto da anni che il livello dei musicisti italiani è uno dei più alti al mondo e non sono io l'unico a dirlo. Oramai tra stati uniti ed Italia non c'è più alcuna differenza. Il problema che in Italia il jazz rimane una musica abbastanza occultata, dai media soprattutto, e quindi si riduce ad una miriade di festival estivi che sono sicuramente una buona cosa. Ma per tutto il resto dell'anno questa musica non esiste praticamente. I locali e gli spazi sono sempre meno per cui le difficoltà anche per chi deve gestire commercialmente questa musica non ha alcun tipo di aiuti dallo Stato e, quindi, diventa tutto molto più difficile.

A.A.: Da Where are you, tuo primo lavoro da leader, ad oggi quanto è cambiata la tua musica?
E.C.:
Sicuramente è cambiata, alla stregua delle persone che cambiano crescendo ed invecchiando. La mia musica credo sia cambiata dal punto di vista stilistico: con il passare degli anni ho avuto approcci differenti alla musica, per cui mi piace suonare con situazioni musicali piuttosto differenti anche fra di loro. Ultimamente mi piace molto suonare in trio, mi piace molto suonare con musicisti di varie estrazioni. Ciò deriva dal fatto che consolidando una cifra stilistica nasce più spontaneamente l'avvicinarsi ad altre influenze musicali.

A.A.: Quale delle tue numerose collaborazioni ricordi con maggior piacere?
E.C.: Tantissime. Dal punto di vista affettivo e per ciò che ha rappresentato, sono legato alla mia prima esperienza professionale con Giulio Capiozzo, si parla di oltre venti anni fa. E' stata la mia prima esperienza professionale ad un certo livello, mi ha insegnato davvero tanto. Poi ricordo con grandissima intensità l'incontro con Aldo Romano, con Paolo Birro che per anni è stato mio complice….

A.A.: Sei stato definito un autorevole jazzman dell'ultima generazione: ti senti veramente collocato nell'ultima generazione?
E.C.: Direi di no, ho quasi 41 anni! Di sicuro trovo che questo sia solo un mezzo utilizzato dai media per collocare un musicista. La mia generazione è intermedia, per cui quando eravamo ragazzini ed avevamo rapporti con i musicisti più anziani di noi, eravamo considerati giovanissimi. Adesso i ventenni, fortunatamente, non ci vedono ancora come "vecchi". Siamo, sicuramente, una generazione intermedia.

A.A.: Con chi ti piacerebbe collaborare?
E.C.: Mi piacerebbe collaborare con tutti i musicisti che fanno della musica che ritengo vicina alle mie sonorità. In questo momento sento l'esigenza di esplorare dei nuovi suoni. Sto preparando, infatti un nuovo progetto che è molto diverso rispetto a quello che ho fatto fino ad oggi. Forse perché passati i quaranta anni, avverto il bisogno di sentirmi giovane, ma sono molto attratto dalle sonorità più giovani. Ho scoperto da poco Razel, un rapper Human Beatboxer (fa la batteria con la voce). Mi piacerebbe tantissimo un giorno fare qualcosa con lui. Sono molto attratto da musicisti che prima non mi interessavano molto e, invece, ora attraggono il mio immaginario musicale.

A.A.: Da cosa traggono spunto le tue composizioni?
E.C.: In questo periodo sono molto interessato alla letteratura giapponese. Amo, comunque, la letteratura classica, soprattutto quella francese. Poi Kafka è uno dei miei autori preferiti in assoluto. Sicuramente sono importanti le influenze letterarie, ma gli spunti da cui traggo ispirazione per le mie composizioni provengono da diversi stimoli. Soprattutto da ciò che ascolto quotidianamente: da un mio allievo a Charlie Parker a Ravel.

A.A.: Il disco più bello che hai fatto? E quello più brutto?
E.C.: Il disco più bello… Sono molto affezionato ad un disco che ho fatto in quartetto: Giochi di Nuvole, registrato nel 1996 ed uscito, mi sembra, nel 1998. Lo ritengo musicalmente molto intenso e anche quest'ultimo che ho registrato in quartetto e per il quale sono alla ricerca di una produzione. Il disco più brutto: beh...ce ne sono tanti…Fammi pensare...mi è capitato di fare qualche collaborazione anche nel campo della musica leggera in cui mi è capitato, dopo, di vergognarmi di quello che avevo fatto.

A.A.: Il concerto che più ti ha annoiato?
E.C.: Ultimamente non sento molti concerti, devo andare un po' indietro nel tempo, dunque, ci sono: un concerto di Herbie Hancock, Wayne Shorter, Stanley Clark e Omar Hakim. Un concerto orribile!

A.A.: Hai mai pensato di "tradire" il tuo strumento?
E.C.: No, assolutamente.

A.A.: Hai mai pensato di cambiare….professione?
E.C.: No, seriamente no, ma gli scoramenti sono tanti ed ogni tanto mi domando se ha un senso quello che faccio.

A.A.: Se tu ne avessi la possibilità istituzionale, cosa cambieresti nel mondo della musica?
E.C.: Prima di tutto istituirei l'insegnamento della musica già dalla scuola materna, insegnata da musicisti veri e non da impiegati. In secondo luogo abolirei la mercificazione della musica, cioè la musica non dovrebbe essere "pagata", magari con lo scambio in natura, sarei più favorevole. Per terzo obbligherei tutti i musicisti a sottoporsi alla macchina della verità!

A.A.: Trovi differenze tra la tua generazione e quella dei più giovani?
E.C.: Si, in generale vedo molta differenza: di approccio, di comportamento all'interno della comunità. Credo che le nuove generazioni siano più...spregiudicate, anche al limite dell'aggressività. C'è una grande differenza, il fatto di puntare molto al successo. Noi, forse, eravamo più "tontoloni".

A.A.: Qualche nome di giovane sassofonista che hai avuto modo di apprezzare….
E.C.: Devo dire che, al di là della spregiudicatezza, il livello è cresciuto in modo incredibile in questi anni. Mentre prima, a questa domanda, dovevo pensarci parecchio prima di rispondere, adesso, tra tanti in Italia e all'estero, faccio il nome di Fabrizio Scarafile. Un ragazzo che si è impegnato lungamente nello studio dello strumento. Ecco, lui mi sembra una mosca bianca perché ha un tipo di approccio molto maturo per la sua età

A.A.: Cosa c'è nel futuro di Emanuele Cisi?
E.C.: Sta per uscire un disco in trio che ho registrato oltre un anno fa, con Zlatko Kaucic, batterista sloveno con cui collaboro da qualche tempo, e Nicola Murese al basso. Un trio particolare perché suoniamo produzioni originali e qualche standard, però un trio prettamente acustico con cui abbiamo fatto diversi concerti nei posti più disparati: dal grande teatro al piccolo club ma suonando sempre senza l'ausilio di elettricità. Questo disco sta per uscire per la Splasc(h). Ho un disco nuovo registrato in quartetto con Paolo Birro e Joan Serrak, un giovane batterista francese e un bassista italiano che si chiama Simone Bonnanni più un quartetto d'archi su alcuni pezzi e altri ospiti francesi, per il quale disco sono alla ricerca di un'etichetta. Spero di poterlo pubblicare a breve tempo, perché è un lavoro con cui in qualche modo ritengo "conclusa" una fase del mio percorso. E' un disco abbastanza tradizionale. Poi sto scrivendo musica e sto pensando ad una nuova idea che sarà un quartetto con un chitarrista di musica rock, un "hendrixiano" che si chiama Matteo Salvatori ed altri due giovani musicisti torinesi.








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Data pubblicazione: 05/06/2005

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