Una ritmica fra le più brillanti dell'attuale scena giovanile jazzistica,
Kevin Hays al piano e Jorge Rossy alla batteria, ancor di più
se si pensa che questo album, Passage,
è stato registrato a New York nel dicembre del 2001:
ne è titolare Joe Martin, versato contrabbassista dal suono corpulento,
che ben si abbina allo scorrevole e piacevole tenorsax di Mark Turner.
Il primo brano, Poppy's
Song, evidenzia proprio la capacità espressiva di quest'ultimo, oltreché
la vena compositiva del titolare. Ma è il secondo pezzo in scaletta che fornisce
una inaspettata sorpresa: una accattivante rilettura di
Nothing like you, ad opera
dell'acuto Kevin Hays, il quale riesce ad infondere una nuova vitalità allo
standard reso celebre dalla voce di Bob Dorough nel celebrato milesiano "The
Sorcerer": tempo più lento e scandito, che definisce e risalta maggiormente
le sfumature jazzistiche del cantato originale, forse più ironico, ma per questo
anche meno intrigante di questa versione dalle misteriose dissonanze pianistiche.
Segue Five on you, un
avvincente tempo composto in cinque movimenti, enucleato da una semplice ma quasi
ossessiva linea del basso pianoforte/contrabbasso, che fa da insistente contrafforte
alle involuzioni prima dell'introspettivo piano e poi del cerebrale tenore.
Overwhelmed è ballad
che dà modo tanto a Hays che a Turner di esprimere la propria indole
romantica, il primo in un assolo di particolare intensità, il secondo con un recitato
di lineare finezza conduttiva. Il tutto "infiocchettato" dalla leggera cordiera
spazzolata di Rossy e dai densi bassi e opportuni armonici di Martin.
Un obbligato fra contrabbasso e sax apre
Manhattanville, composizione
più spensierata ed in qualche modo ammiccante al free, grazie all'incontro
fra le distorsioni pianistiche e le diatoniche del tenorista.
Armonicamente accattivante ma melodicamente spiazzante il brano eponimo
del cd, Passage, quasi
interamente affidato alla vibrante ancia del sassofonista nero, in un intervento
di circa 5 minuti, tutti da godere, cui segue il piano di Hays, che dopo
un paio di chorus lascia il campo alle bacchette di Rossy, in verità
meno creativo del consueto.
È in Reminescence
che finalmente Martin si concede un assolo, per un fraseggio metricamente
articolato sincopato, ma al contempo melodicamente fluido. L'incedere lento si presta
–ancora– alle sibilline note di Turner, su validissimo supporto –ancora– dell'amico
pianista. Dopo un'altra bella prova dei propri supporters ed amici, un altro
intervento solistico del contrabbassista, agile e vivace, si inserisce nella chiusura
affidata a Closure,
composizione solare che potrebbe benissimo venire considerata emblematica dei nostri
tempi, in cui giovani jazzisti – ma già ben affermati – si producono in un jazz
attuale e moderno, proiettato nel futuro ma che comunque molto deve ai grandi di
qualche lustro addietro.
Antonio Terzo per Jazzitalia