Exotica, già. Per chi non conosca
Giorgio Cuscito
un titolo rischioso, magari equivoco.
Diamone subito i punti di riferimento: l'afro-cubano, Les Baxter,
Ahmad Jamal,
il Caribe di Dizzy Gillespie ma anche di Duke Ellington e
Lionel Hampton,
rievocati con ironia forse talora "lounge", piuttosto esuberante nella volontà di
fondere direzioni hollywoodiane, centro / sudamericane e polinesiane con tessiture
armoniche tipicamente jazzistiche, swinganti in libertà.
In un panorama musicale fatto di contrasti, anche
vistosi, l'accostamento potrebbe sembrare una forzatura, in realtà non è così. I
casi di musicisti per così dire "ambivalenti" non sono certo una rarità; sicuramente
sono un segnale di cambiamento non solo nell'approccio strumentale ma anche nel
modo di concepire la comunicazione con il pubblico attraverso sonorità che offrono
molte possibilità di percezione.
Ciò non sorprende affatto se si va ad osservare con chi il polistrumentista
romano ha collaborato; fra gli altri: Luigi Toth, "Red" Pellini, Tom Baker,
Marcello Rosa,
Dino Piana,
Tony Scott,
Gianni Sanjust, Peter Van Wood,
Renzo
Arbore, Fred Buongusto,
Paolo Damiani.
L'intuizione, dietro un'apparente meccanicità, la vitalità quasi fisica del
sound e la ricerca "non complessa" portano
Giorgio Cuscito
ad un'esposizione a largo raggio, vera e possibile, evocata con rappresentazioni
acustiche espressive non contraddittorie, ove ognuno senta di essere capace di capire
dove finisca la tecnica ed inizi l'emozione.
La versatilità di
Cuscito coincide
con uno spirito di ricerca, di avventura quasi, fra le atmosfere mainstream di musicisti
intelligenti ed innovativi quali quelli citati, secondo una scelta esecutiva intensa
e sensibile, raffinata e suggestiva, grazie anche ad una band di assoluto valore.
In tal senso è importante sottolineare l'uso tutt'altro che folkloristico
dell'ukulele di Mieko Matsushita, chiara indicazione sull'inventio del progetto
stesso. Brani come "Cat Race" e "New Rumba" offrono un modello di
vivace gradevolezza in cui il pianismo di
Cuscito ha
modo di esaltare la propria vis cromatica grazie al supporto ritmico di Romeo
alla batteria e Colombo alle congas; allo stesso modo le elaborazioni formali
di Berardi al violino forniscono una convincente tessitura all'intenzione
evocativa di "Quiet Village", così come Giacobini ha modo di rendere
dinamico e fluido l'andamento bop delle improvvisazioni in "Taboo", una delle
tracks maggiormente coinvolgenti dell'album.
La specificità timbrica dell'album risulta fortemente comunicativa, estroversa,
virtuosa e densa di risorse trasparenti e solari, evitando manifestazioni di imponenza
e rifuggendo l'esibizionismo nell' attraversare i territori della rivisitazione
con buon gusto ed originalità.
Esotico? Certamente, ma sempre secondo un gran senso del divertissement,
una coerenza stilistica ed una riconoscibilità non facile da incontrare.
Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 10/01/2010
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