Il
      sassofono è uno strumento cosiddetto ad ancia in quanto deve l'emissione
      del suono alla vibrazione di una linguetta  recante tale nome posta
      sull'imboccatura. 
      L'ancia, vibrando, mette in movimento la colonna d'aria presente
      nello strumento la quale viene variata in lunghezza e portata dal
      musicista che agisce sui tasti e sulle chiavi. 
      Questa si comporta come 
      una corda di chitarra, ovvero se la colonna d'aria sarà corta (quindi 
      molti fori aperti) la nota risultante sarà acuta, viceversa se sarà lunga 
      (quindi molti fori chiusi) la nota risultante sarà grave.            
                
                
           
      Nota
      acuta                                                    
      Nota grave Figura 1
       
      Il sassofono è composto da 
      più componenti assemblati come in figura:   
                 
      Figura 
      2
       
      La famiglia dei
      sassofoni era composta originariamente da due gruppi di sette strumenti
      ognuno di dimensioni diverse. 
      Uno di questi, ovvero quello che fu concepito da Adolphe
      Sax per l'uso in
      orchestra era composto da strumenti tagliati nelle tonalità di FA e DO ed
      è ormai caduto in disuso. 
      L'altro gruppo fu creato dall'inventore per l'utilizzo nelle bande
      ed è quello che si è affermato fino ai giorni nostri. 
      I sette sassofoni che lo compongono sono tagliati in MIb e SIb
      secondo lo schema sottostante: 
        
      
        
          | Sopranino | 
          MIb | 
         
        
          | Soprano | 
          SIb | 
         
        
          | Alto | 
          MIb  | 
         
        
          | Tenore | 
          SIb | 
         
        
          | Baritono | 
          MIb | 
         
        
          | Basso | 
          SIb | 
         
        
          | Contrabbasso | 
          MIb | 
         
       
       
      Dire che i sassofoni Sopranino, Alto, Baritono e Contrabbasso sono
      tagliati in Mib significa che suonando la posizione chiamata DO sullo
      strumento in realtà noi otterremo una nota che corrisponde in realtà,
      per l’appunto, ad un Mib. 
      Allo stesso modo se suoniamo DO sul Soprano, sul Tenore o sul Basso
      otterremo, in realtà, un Sib. 
      Per cui distinguiamo note "reali", che sono quelle, per
      così dire "vere", (nelle quali c’è coerenza tra nome ed
      altezza del suono e sono suonate su tutti gli strumenti in DO) dalle 
      note "d’effetto", che sono quelle suonate sugli strumenti
      traspositori, nelle quali non c’è coerenza tra nome e altezza del suono
      percepito. 
      Ad esempio per suonare con un sax Alto un Do "reale" del
      Pianoforte, dovremo suonare sul nostro strumento un LA, che si dice quindi
      "d’effetto". 
      Ma allora perché non chiamare le note col loro vero nome? 
      Fino a un decennio fa c’era una scuola di pensiero, in auge
      soprattutto tra i saxofonisti di musica leggera di vecchia scuola (quelli
      che io chiamo con grande rispetto "mestieranti"), che
      voleva appunto che le note venissero chiamate col loro nome reale, per cui
      un LA era un LA anche sul saxofono. 
      Questo dava dei vantaggi indiscutibili se pensiamo a come si
      svolgeva il mestiere del musicista nel dopoguerra, quando ci si trovava a
      suonare standards internazionali nei locali, sulle navi o nei grandi
      alberghi, in formazioni diverse, cambiando spesso repertorio. 
      Con questo sistema infatti avendo ogni nota lo stesso nome per
      tutti, tutti potevano leggere lo stesso spartito, semplificando molto il
      lavoro. 
      Per fare questo con il sistema traspositore invece bisognava
      riscrivere le parti trasponendole debitamente o leggere la parte, ad
      esempio, del pianoforte, in chiave di soprano per gli strumenti in Mib o
      di contralto per gli strumenti in Sib. 
      Lo svantaggio di quel sistema era, però, che ci si doveva imparare
      praticamente due diteggiature diverse, una per i saxofoni in Mib ed una
      per quelli in Sib. 
      Alcuni musicisti 
      aggirarono il problema utilizzando il        Tenore
      in DO, detto anche
      C Melody, il quale permetteva di leggere le parti pianistiche mantenendo
      la diteggiatura degli altri sassofoni. 
      In realtà, sin dalle origini, tutti i saxofoni leggono in chiave di
      violino, con la stessa diteggiatura, dal Sopranino al Contrabbasso. 
      E’ chiaro però che se la posizione "DO" d’effetto
      sul Tenore è uguale a quella del Soprano o del Basso (avendo tutti e tre
      lo stesso taglio di intonazione) la nota risultante sarà sì la stessa ma
      posta ad ottave diverse, in virtù della differente dimensione degli
      strumenti. 
      Abbiamo 
      detto che l’estensione del saxofono nella notazione d’effetto è uguale per 
      tutti e sette i tagli, ovvero va dal Sib sotto il primo taglio inferiore 
      al FA# sopra i tre tagli superiori tranne che per il Basso ed il 
      Contrabbasso che arrivano al FA o in strumenti più vecchi che non hanno la 
      chiave del FA# acuto.         
                    
                  
                   
              
       Lo schema sottostante 
      mostra la relazione esistente tra l’estensione dei sette saxofoni e la 
      tastiera del pianoforte.         
                
      
      Volendo
      semplificare il discorso possiamo dire che, prescindendo dall’altezza
      dei suoni, i saxofoni tagliati in Mib per suonare la stessa nota del
      pianoforte debbono suonare una sesta sopra o una terza minore sotto (1
      tono e ½)  (se prescindiamo dall’altezza la nota risultante è la
      stessa). 
      I saxofoni tagliati in Sib debbono invece suonare una seconda
      maggiore sopra. 
      La forma è quella classica, per così dire, "a pipa",
      con delle varianti per quanto riguarda il collo, la campana e, ovviamente,
      le dimensioni a seconda del taglio di intonazione. 
      Solamente il sopranino ed il soprano hanno forma diritta, anche se
      quest'ultimo viene prodotto da alcune ditte con la forma ricurva dei
      fratelli maggiori. 
      Tutti gli appartenenti alla famiglia hanno però in comune la
      concezione costruttiva di base ed i materiali. 
      La forma è conica, ovvero il tubo aumenta di diametro man mano che
      progredisce verso la campana, mentre il materiale costituente è una
      lamina, di spessore variabile tra i vari produttori, composta da una lega
      di ottone (quindi rame e zinco) con l’aggiunta di piccole parti,
      nell'ordine dell' 1-2%, di alluminio, stagno o nichel allo scopo di
      prevenire l’insorgenza di crepe. 
      Il tipo di lega, comunque, non riveste grande importanza nella
      determinazione del timbro; a testimonianza di questo è il sax alto "Grafton
      Plastic", costruito nel 1953 in Inghilterra ed il cui corpo è
      costituito interamente di resina plastica; utilizzato da C.Parker ed
      O.Coleman il suo suono è perfettamente allineato con quello dei
      saxofoni tradizionali. 
      Evidentemente ha ragione A. Sax quando afferma, sulla base delle
      sue sperimentazioni, che il timbro di uno strumento è determinato
      dalle proporzioni della colonna d'aria in esso contenuta e che quindi
      materiale e forma sono poco determinanti. 
      Nonostante ciò tutte le ditte produttrici hanno svolto ricerche
      sui materiali , in particolare  la statunitense King la quale
      introduce sul modello Super 20, prodotto agli inizi degli anni '40, parti
      in argento massiccio (il collo e a volte la campana), nel tentativo di
      migliorarne il suono (peraltro già notevole). 
      A proposito del collo questo è oggetto di particolare attenzione
      da parte dei progettisti. 
      Infatti una sua errata costruzione può influenzare pesantemente le
      prestazioni dello  strumento in termini di qualità del suono o
      pregiudicare la facilità di emissione di alcune note. 
      La qualità della lega riveste invece un certa importanza sotto
      l'aspetto costruttivo per cui l'ottone sembra essere il giusto compromesso
      tra leggerezza, resistenza, facilità di lavorazione e costo di
      produzione. 
      La finitura esterna varia di molto ma comunque non influenza il
      timbro dello strumento. 
      Abbiamo quindi saxofoni laccati in oro o color oro, argentati,
      nichelati, opachi, lucidi,in ottone grezzo (brass), laccati neri, rossi o
      bianchi. 
      Quello che può alterare, seppur impercettibilmente il suono, è il
      lucido che viene applicato per proteggere la laccatura, il quale, se
      troppo spesso, frena le vibrazioni dello strumento (ma su questo argomento
      le opinioni sono abbastanza controverse). 
      Un aspetto che invece sembra avere una certa influenza è lo
      spessore della lamina, questo perché il metallo, in un certo senso, entra
      in vibrazione con l'aria in esso contenuta, influenzando così il
      contenuto in armoniche del suono prodotto, per cui uno strumento pesante
      ha, in linea di massima, un suono più scuro e caldo di uno leggero, che
      quindi suonerà più brillante. 
      Un altro aspetto, questo si veramente determinante, è la
      costruzione interna dello strumento. 
      Parliamo, per esempio, della concezione dei fori : è un 
      particolare  questo sul quale i produttori hanno lavorato molto. 
      Originariamente, infatti, l’anello sul quale va a chiudere il
      tampone era saldato al corpo. 
      Questo sistema poteva generare imperfezioni o residui di saldatura
      in presenza dei quali l’aria in deflusso dava vita a delle
      microturbolenze (fig.3a) negative per il timbro e l’intonazione. 
      In seguito, grazie anche allo sviluppo di appositi utensili
      meccanici, venne sviluppata una nuova tecnica per cui oggi i fori vengono
      costruiti piegando verso l’esterno la lamina del corpo stesso (fig.3b), eliminando così ogni ostacolo e rendendo 
      più agevole il calcolo del cubaggio interno dello strumento (particolare 
      fondamentale riguardo all’intonazione). 
                
             
        
        
      A                                                         
      B Fig. 3
       
      Parliamo poi dei
      tamponi: oltre ad avere la funzione ovvia di chiudere i fori sono molto
      importanti perché la loro distanza dai fori stessi, quando sono aperti,
      regola il flusso dell’aria in uscita dallo strumento, influenzando così
      intonazione e timbro in maniera molto decisa. 
      Proprio per questo motivo su di essi la Selmer, prima fra
      tutte, appose dei dischi di metallo (in seguito di plastica) detti
      risonatori che hanno il compito di riflettere il suono in uscita dal foro,
      diffondendolo più efficacemente all'esterno. 
      In generale poi molto importante è il calcolo interno dello strumento,
      ovvero il cubaggio e le proporzioni interne 
      Tutti questi fattori concorrono nel determinare la qualità, le
      prestazioni ed il colore di un sassofono (ricordate le armoniche?). 
      Sul mercato esistono ormai decine di marche e modelli che coprono
      un po’ tutte le esigenze stilistiche ed economiche. 
      Chiariamo subito che lo strumento perfetto non esiste. 
      Esistono strumenti che, a partire da prestazioni fondamentali che
      tutti i musicisti ricercano quali l’intonazione, una certa fluidità
      meccanica, l’omogeneità di emissione, offrono un timbro particolare
      ovvero il suono ideale alla ricerca del quale tutti dedichiamo il nostro
      tempo ed il nostro portafoglio. 
      Un suono però può essere ideale per me, non per altri : dipende
      dal mio gusto, dal tipo di musica che faccio, da cosa voglio esprimere
      sullo strumento. 
       E’
      evidente quindi (facendo una classificazione necessariamente grossolana)
      che un musicista classico preferirà, ad esempio, un Buffett o un Buescher
      rispetto ad altre marche perché questi gli offrono un suono più
      rotondo, secondo lo stile classico, mentre un musicista di Jazz o Rock
      probabilmente preferirà un Selmer o un King per i motivi
      opposti. 
      Questo non è, ovviamente un dato assoluto, perché, come vedremo
      in seguito, il timbro viene definito in buona parte dall’esecutore in
      virtù del tipo di imboccatura, dell’ancia usata, del modo di imboccare
      per cui non e impossibile ottenere un suono tondo da un Conn, per
      esempio, usando l’imboccatura appropriata. 
      A tal proposito però c’è da considerare che è più facile
      rendere scuro uno strumento brillante che il contrario. 
      Lo strumento che sembra essere più versatile da questo punto di
      vista è il Selmer, in particolare il modello Mark VI, prodotto dal
      1954 al 1973, tant’è vero che è il più diffuso tra i professionisti
      di tutto il mondo per le sue qualità e, nonostante sia uscito
      evidentemente fuori produzione, è tuttora molto ricercato e
      commercializzato sul mercato dell’usato a cifre che spesso superano i 6.000.000
      di lire. 
      Per quel che riguarda i modelli ancora in produzione ottimo il Selmer
      Superaction, con notevoli pregi di elasticità e facilità di
      emissione. 
      Notevole anche Yamaha che nel suo modello top ha raggiunto
      un livello notevole di prestazioni mentre sui modelli da studio spicca un
      buon rapporto qualità-prezzo. 
      Per il principiante ovviamente vi sono meno problemi. 
      Intorno al 1.500.000-1.700.000 si trovano strumenti
      semiprofessionali con i quali si può studiare per lungo tempo prima che
      si senta l’esigenza di qualcosa di veramente professionale. 
      Le marche principali sono la già citata Yamaha, Grassi, Borgani
      (italiane queste due), Jupiter (Coreana). 
      Nel caso ci si rivolga all’usato attenzione: a prescindere
      dal suono e dalla meccanica una cosa è fondamentale, e cioè che lo
      strumento chiuda bene. 
      Se ciò non accade creerà grossi problemi all’allievo (e
      al suo insegnante) per l’emissione, soprattutto delle note basse. 
      Adesso: considerando che questa parte dello strumento è già
      problematica per chi comincia, appare evidente come il sommarsi dei due
      problemi possa creare nello studente sfiducia nei propri mezzi e nelle
      proprie possibilità. 
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