Escludendo la qualità dello strumento e la buona riuscita o meno di un'ancia, le variabili che concorrono alla formazione del suono di un saxofonista restano comunque tante e alcune di queste, legate come sono alla "forma" interna dell'esecutore, sono ben poco modificabili.
Nonostante ciò tutti aneliamo ad avere un suono piuttosto che un altro, tutti abbiamo in mente il timbro di un grande saxofonista che vorremmo eguagliare: beh, questo, in virtù delle variabili sopra dette, è molto molto difficile da realizzarsi.
Anche se avessimo gli stessi identici materiali di Coltrane potete star certi che ognuno di noi tirerà fuori un suono diverso dall'altro, e tutti sarebbero diversi dal suono di Trane: ma direi che tutto sommato questa è una gran bella cosa perché il suono è come la nostra voce, ad ognuno la sua.
Certamente possiamo modificare il nostro suono partendo intanto dalla scelta dei materiali (bocchino in ebanite o metallo?, ancia dura, morbida, così così, etc) e dallo strumento, principalmente, ( esistono i saxofoni Buffet che per il Jazz vengono letteralmente ignorati) ma anche dal modo di imboccare, e qui veniamo all'argomento di questo scritto.
Ci sono sostanzialmente due modi di imboccare: quello classico
e quello non classico (jazz, rock etc
.)
Nella sostanza non sono molto diversi ma si differenziano in alcuni particolari che sono legati alla ricerca di un suono piuttosto che un altro.
L'imboccatura classica è sostanzialmente statica, ovvero la posizione del labbro e la forza impressa all'ancia sono mediamente le stesse su tutto il registro dello strumento.
Questo legato alla scelta di imboccature tendenzialmente medio-chiuse genera un suono tondo, omogeneo su tutto lo strumento, caldo e morbido, cosa molto importante nel linguaggio classico, nel quale il suono omogeneo e la precisione esecutiva sono esigenze irrinunciabili.
L'interpretazione di questo concetto timbrico ha portato ad un suono che a volte si avvicina più al corno o al fagotto che ad un saxofono, ma, senza arrivare a questi eccessi, indubbiamente l'idea timbrica che si ha di questo strumento nell'orchestra sinfonica come nelle piccole formazioni, pecca un po', a mio giudizio, di personalità.
Questo non vuol dire che l'imboccatura statica sia da eliminare per chi si muove in ambito jazzistico: tutt'altro.
Essa presenta dei vantaggi in termini esecutivi non indifferenti, come vedremo più sotto.
Per verificare la perfetta attuazione di questo tipo di imboccatura si provi ad eseguire il seguente semplice test: si prenda una nota nella zona centrale dello strumento, ad esempio un
La senza portavoce, passate all'ottava superiore premendo il portavoce dopodiché
tornate al La inferiore togliendo il portavoce ma senza variare l'imboccatura.
Se tutto è giusto il ritorno al La inferiore deve avvenire senza buchi ne difetti di intonazione.
L'ideale sarebbe far premere e rilasciare il portavoce da un amico per evitare il più piccolo movimento dell'imboccatura, anche se inconscio.
Ripetere l'operazione su tutta l'ottava inferiore.
L'altro tipo di imboccatura, quella jazzistica per intenderci,
è di tipo variabile.
Ovvero si tende sulle basse a ritrarre la mandibola e rilassare il labbro per avere un suono più "sporco" e aperto e, al contrario, a fuoriuscire con i denti inferiori sugli acuti aumentando la pressione ottenendo così un suono più brillante e aggressivo.
Anche qui, evidentemente, è la ricerca di un suono ben preciso che detta le regole e, in una musica nella quale la sostanza domina sulla forma, si cerca appositamente un suono che sorregga l'impeto espressivo del solista ma che sia anche in grado di competere con il volume di una sezione di trombe o di una batteria.
A questo punto la domanda sorge spontanea: quale è la migliore?.
Come al solito non c'è una risposta univoca, (e te pareva!!).
Se sei un musicista classico è chiaro che opterai per la prima, anzi sarai costretto, dapprima dal tuo insegnante e poi dai passaggi che dovrai eseguire, perché l'imboccatura statica facilita di molto l'intonazione dello strumento e l'esecuzione di passaggi tipo salti molto ampi, ottava o superiore, specialmente se discendenti e legati.
In pratica un passaggio MI acuto (tre tagli sopra il
pentagramma) - MI basso , quindi due ottave discendenti, sarebbe eseguibile solo cambiando posizione sullo strumento, facile no? (sembra!!!)
Mentre con l'imboccatura variabile dovreste accompagnarlo con un movimento della mandibola all'indietro insieme al rilassamento del labbro: tosto, e sicuramente impreciso.
Il vantaggio dell'imboccatura variabile è sicuramente quello di una maggiore presenza timbrica e quindi espressiva, la possibilità di avere una gamma
molto più varia di colori da usare.
Allora il problema è tutto di chi vuole suonare Jazz o musica leggera perché deve trovare il compromesso tra espressività (in senso jazzistico) e
possibilità esecutive.
E' molto difficile padroneggiare ambedue i sistemi perché stiamo parlando di movimenti e gesti legati all'inconscio, all'idea ed al suono che vogliamo ottenere, per cui pensare una certa nota significa inconsciamente impostarsi in
un certo modo per ottenerla.
Non possiamo pensare di lasciare tutto invariato e cambiare solo diteggiatura se stiamo suonando Debussy o spostare anche la mandibola avanti o indietro se suoniamo Parker!!!!
Quale scegliere????
Ancora una volta il parametro che ci deve guidare nella scelta dell'impostazione, così come nella scelta delle ance, del bocchino e dello strumento è uno solo:
il suono.
E' importante, quando si studia, avere un'idea non solo del genere che ci piace ma soprattutto del suono che vogliamo avere, quello che sarà il nostro segno di riconoscimento, dobbiamo avere costantemente nella mente un modello da imitare timbricamente.
Questo a qualsiasi livello: anche il principiante agli inizi è bene abbia almeno un'idea di suono di sax nella mente, idea che certo col tempo potrà cambiare, è ovvio, ma l'importante è averla; che sia Kenny G o Papetti o Casadei fa lo stesso!!!
:-)
Così facendo e col passare del tempo, noi arriveremo ad avere un suono che è la nostra interpretazione del nostro modello.
A questo punto qualcuno si chiederà: e tutta la storia sull'imboccatura statica o variabile bla bla
?
Allora non serve più perché se il criterio di valutazione è il suono
?
No: tutt'altro e qui veniamo al punto.
Come già detto se uno decide di suonare classica non ha problemi: la sua impostazione è segnata è sarà quella statica ( "the non-changing embouchure" come dicono gli americani che di queste teorizzazioni se ne intendono), per tutti gli altri il punto di partenza sarà sempre l'impostazione statica, poi sarà la ricerca, l'inseguimento del nostro modello timbrico che ci farà eventualmente discostare da questa, ma in questo caso starà a noi non farci prendere la mano, al fine di non pregiudicare la tecnica e la precisione esecutiva.
Se ci accorgiamo che lo strumento diventa crescente e siamo costretti a tirar fuori il bocchino dal collo, oppure se l'intonazione diventa approssimativa, oppure scopriamo di avere difficoltà nell'esecuzione, ad esempio, dei salti d'ottava discendenti legati, oppure ci stanchiamo dopo breve tempo allora significa che ci siamo allontanati troppo da una corretta impostazione.
Allora è qui che si afferra tutta l'importanza dell'esecuzione delle note
lunghe, come metodo di riappropriazione del controllo dello strumento, per ricalibrare i nostri movimenti, per verificare l'efficacia della nostra impostazione e per correggerla.
Non sottovalutate il ruolo che le note lunghe hanno nella formazione del suono: esso è fondamentale.
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