Intervista a Marco Bianchi
Milano, venerdì 27 agosto 2004
di Eva Simontacchi
Foto di: Nadia Pazzaglia
Incontriamo Marco Bianchi,
pianista, compositore e arrangiatore alle 19:00 di un soleggiata sera di tarda
estate. Marco è un artista estremamente sensibile e profondo. Ho ascoltato il suo ultimo CD, " Japanese Era", prodotto da VideoRadio e inciso assieme a
Maxx Furian (batteria) e Massimo Scoca (basso), e l'ho trovato veramente geniale ed
emozionante.
E.S.:
Partiamo dalla situazione attuale: so che ultimamente hai avuto una bella produzione – parlo degli ultimi due anni – di materiale su CD: ben tre CD. Quale è stata la tua ricerca? Cosa ti ha portato a incidere ognuno di questi CD?
M.B.:
Io partirei da molto più lontano. Sono sempre stato molto prolifico, ho sempre fatto molte produzioni. Forse sono uno di quei musicisti che ha sempre prodotto anche quando non c'erano le condizioni per poter produrre. Ho sempre amato scrivere tantissimo e ho sempre lavorato con dei bravissimi musicisti che avevano voglia di fare musica, ancora adesso rimane il mio obbiettivo fondamentale, a prescindere da tutte le difficoltà e i problemi che ci sono a farla. Però la musica è una vocazione, come fare il medico, quando viene fatto bene. E' qualcosa che va al di là di una spiegazione, quindi quando qualcuno mi chiede: "perché fai la musica?" oppure "riesci a vivere con la musica?" Io dico sempre: "E' una necessità fare la musica". Quindi per me tutto si realizza in queste poche parole. Per me è sempre stato così, e adesso ancora di più. Quando mi chiedono "Fai la musica per hobby?" Sotto un certo aspetto ci sta anche bene, perché dico sempre questo: quando salgo sul palco devo divertirmi e questo significa anche che questa cosa mi porta a cercare sempre le persone giuste per salire sul palco. Non significa avere la puzza sotto al naso, non è questo. E' il cercare di parlare una lingua che comunque viene compresa dalle persone che lavorano con me, e che riescono a esprimere, non dico le medesime cose, ma che sono in sintonia con me.
Quindi questo è il mio obbiettivo fondamentale ogni volta che vado a suonare, perché altrimenti mi faccio del male. Come ho scelto anche di non fare più determinate cose perché sapevo che mi producevano delle situazioni spiacevoli, a mio svantaggio, proprio a livello epidermico. Per cui, la musica per divertimento, per goduria. Che poi la musica sia lo specchio dell'animo umano e che rifletta quello che c'è intorno a te, questa è una grande realtà da sempre. Gli artisti sono sempre stati questo. Che poi esasperino magari un attimino o estremizzino, fa parte dell'essere artisti. Questo è anche il bello dell'arte. Però questo è anche il problema dell'arte; quello di saper mantenere un equilibrio quando si fa la musica, perché questo è un problema di tutti gli artisti. E questo si impara con gli anni, con l'esperienza e poi con tante altre cose che sono inerenti alla vita, a campi che sono al di là della musica stessa. La musica è comunque un tramite per poter esprimere qualcosa che va al di là… E' un dono che noi abbiamo, una fortuna, un privilegio. Dico sempre che è un grande privilegio, perché se ci si guarda attorno, quello che accade non è molto bello. E allora riuscire a cogliere…. Quando si dice che a volte la saggezza risiede in persone che non hanno la cultura, tipo il contadino, è una grande verità, è qualcosa che fa parte del DNA, qualcosa che è dentro di te e che nessuno studio ti può insegnare. E quindi la musica è qualcosa che serve per poter comunicare, quindi mai salire sul palco con la presunzione di essere l'unico al mondo, assolutamente. Comunicare. Io a volte ho provato grandissima soddisfazione soprattutto da parte dei profani, da parte di chi non percepiva questo genere musicale, il jazz o la musica contemporanea, ma che comunque veniva investita da qualcosa. Una volta una mi ha impressionato perché mi ha detto: "Guarda, non ho capito niente, però mi ha dato l'impressione di essere stata investita da un TIR!"
E questa cosa mi ha detto molto. E' come quando diciamo che le canzoni commerciali sono fatte con determinati schemi. Si, è vero, in parte. Poi le regole si stabiliscono nel momento in cui uno ha venduto tanti dischi. Ecco, allora uno comincia a pensare che i dischi si facciano così. Invece non è vero, perché magari dall'altra parte del mondo c'è uno che è riuscito a vendere milioni di dischi con un pezzo difficilissimo, che però ha una melodia veramente bella…. Per cui è tutto molto relativo. La musica è regole e non lo è, nello stesso tempo, come in tutte le cose. Bisogna sempre trovare quella sorta di equilibrio. Un po' come tutti i discorsi che si fanno a tavola, quando si parla, che si dice: "Bisogna trovare l'equilibrio in tutte le cose…" di solito finiscono così tutti i discorsi!
Ma esiste una via di mezzo, ed è quella che forse ci aiuterà a stare un po'
meglio, spero.
E.S.:
E ora che sei partito da lontano, come desideravi, vorrei che ti avvicinassi alla prima domanda che ti ho fatto riguardo i tuoi tre progetti, e che ne parlassimo un po'.
M.B.:
Il primo progetto che mi riguarda più da vicino è il disco di Jazz che è uscito circa due mesi fa con
Maxx Furian e Massimo Scoca. E' un progetto che va avanti da circa 10 anni, quindi siamo una formazione molto affiatata, ci conosciamo benissimo e abbiamo fatto tre album insieme a nome
Subjects. E' un progetto quasi acustico, dico quasi acustico perché non c'è il contrabbasso ma c'è il basso elettrico, ma le atmosfere sono tipicamente quelle acustiche. Belle melodie, c'è molto pathos e grande interplay – questo è sia quello che ho riscontrato io, sia quello che hanno riscontrato le persone che l'hanno ascoltato. Mi faccio un po' di complimenti da solo, ma c'è questa cosa. Ed è un progetto che amo tantissimo. Diciamo che è il progetto dove io riesco a dare il massimo, soprattutto in quella che è la rappresentazione dal vivo.
Ne sono molto coinvolto perché abbiamo coltivato un linguaggio che ci permette di comunicare sul palco in un modo molto bello. Il cd relativo a questo progetto è "Japanese Era".
Poi c'è un altro progetto,
"Paul and Mark", che è un progetto prettamente commerciale, con
delle belle idee. Dico commerciale perché segue un filone un po' particolare che
è quello della musica lounge chill-out, dub. Quindi è un progetto discografico,
io sono un musicista, e i musicisti devono anche trovare il canale per
guadagnare qualche soldino in più… Per cui è un progetto che ha questo tipo di velleità. Ci sono delle belle melodie, e partecipano degli ottimi artisti. Questo CD è uscito nel 2003. "Paul e Mark" è stato fatto con la Family Affair, che insieme alla Schema sono etichette satelliti che gravitano intorno alla Ishtar Production di Luciano Cantone e Davide Rosa.
Il terzo progetto è della Schema, un'ottima etichetta che veicola della buona musica e che introduce le persone, i profani ad ascoltare cose un po' diverse dal solito, cosa che magari le Major non sono più capaci di fare, anzi, forse da sempre, con grande fatica. E' una etichetta indipendente che è conosciuta in tutto il mondo per il prodotto italiano, e questo progetto lo sto facendo con
Paolo Fedreghini che è mio socio e mio amico d'infanzia. Ci siamo incontrati una volta sul Naviglio; eravamo tutti e due disperati, avevamo perso la donna…. Ci avevano mollato… (ride) E da qui ci siamo incontrati ogni tre anni a ciclo continuo, noi ci "beccavamo" così… Lui è stato mio allievo di pianoforte, poi mi seguiva da tanti anni, aveva tutti i miei dischi e io non lo sapevo neanche… Abbiamo cominciato questo progetto. Lui ha fatto un po' il dj per una radio locale e nel contempo amava il pianoforte, ha una ottima conoscenza del panorama musicale attuale, ed è una cosa molto importante per fare musica adesso. Io invece ho messo a disposizione il mio bagaglio tecnico, creativo e via dicendo. Quindi melodie ed arrangiamenti a quattro mani. Questo progetto che uscirà a breve è a nome
Paolo Fedreghini e Marco Bianchi, un disco che trovo molto interessante per quanto riguarda le melodie, ci sono molte canzoni, sempre per la Schema Records. Si tratta di un progetto acustico però a volte veicolato con qualcosa di elettronico, ma veramente minimo, fatto di bossa nova, new jazz o musica da club, con dei bravissimi musicisti con cui collaboro da sempre, cito
Maxx Furian alla batteria, Marco Ricci, contrabbassista, Angela Baggi, cantante jazz stupenda, amica soprattutto e persona che stimo moltissimo nell'ambito musicale,
Mimmo Valente al sassofono, Gianni Sansone alla tromba, Renato Daiello, grande sassofonista ed amico che adesso vive a Londra,
Angelo Pusceddu alle percussioni, Claudia Bernath ed Ermanno Principe, che hanno scritto insieme a noi alcune cose (le lyrics dei loro brani), ed anche Angela Baggi ha scritto le lyrics del brano che canta, poi c'è
Daniel Richards, cantante inglese, anzi più che cantante lui è uno speaker, che
però ama il canto da sempre. E' un tipo stranissimo, molto chiuso, che non parla mai…. Poi un giorno ho scoperto che addirittura era diplomato in pianoforte! Non dice niente a nessuno! Un giorno si è messo al piano, e sua moglie mi dice: "Ma sai che è diplomato in pianoforte?" E gli dico: "Ma dai, e non dici niente?" E lui: "Tanto io non so suonare!" (ridiamo alla sua imitazione dell'italiano parlato da un inglese!) Il titolo di questo album è "Several People" ed uscirà verso il mese di ottobre 2004.
Questi anni devo dire che sono stati duri per tanti altri motivi, ma interessanti e sicuramente belli sotto l'aspetto umano perché c'è stato uno scambio notevole con tutti questi personaggi che mi seguono e che io seguo da tanti anni. E quindi questo è un progetto che tra l'altro avrà sicuramente un riscontro interessante perché per la prima volta un'etichetta discografica impegna parecchio denaro, e noi sappiamo che nel mondo del jazz questa cosa non accade mai. Io sono sempre stato fortunato perché ho sempre trovato delle produzioni che un po' mi hanno sollecitato e sostenuto, o che comunque hanno creduto in qualcosa, e questa è una grande fortuna perché al giorno d'oggi i dischi te li devi produrre da te. Per certi versi è così. Il mercato è quello che è, e il nostro paese sotto l'aspetto musica e arte in generale è molto lontano da quello che alcuni definiscono il centro dell'Europa, ma la realtà è che noi siamo veramente lontani da ciò per vari motivi. Noi viviamo ancora della cultura del Rinascimento, questa è la verità. La gente ci viene a vedere per i monumenti che abbiamo, però la realtà è che è un luogo comune dire che i medici, gli scienziati se ne vanno, ma è la verità. Eppure, io ci tengo a ribadirlo, in Italia ci sono musicisti di livello mondiale. Mondiale. Ma questo non perché lo dico io, ma perché quando vengono a lavorare qui i musicisti stranieri e hanno l'opportunità di suonare con noi, oppure musicisti che sono andati all'estero e che hanno fatto carriera o che comunque lavorano bene, li sento dire: "Non credevamo che qui ci fosse questa cosa qui…." A me è capitato parecchie volte, e una volta in particolare con Steve Smith, un batterista a livello mondiale….
Di lui mi ricordo che abbiamo fatto insieme un concerto per un seminario, e lui rimase molto contento tanto che mi abbracciò mi disse: "Mi ricordi Ahmad Jamal"…. Il problema nostro è che mancano sempre le verifiche, ecco perché poi uno cita chiaramente gli episodi che sono salienti nella propria vita. Devo dire che ho sempre avuto una ottima forza interiore che mi ha permesso di combattere questa battaglia, che è poi la battaglia di tutti, nella musica e non solo nella musica, e poi ci sono altre cose.
Ci tengo a ribadire questo concetto riguardante tutte le persone che con me stanno collaborando e hanno collaborato, perché ecco, questo è uno dei problemi del nostro paese: questa mancanza di unione. Perché? Perché a volte non ci sono le condizioni, perché a volte diventa la guerra dei poveri, a volte subentrano anche questi aspetti.
Ecco perché nella mia pagina web presso
Jazzitalia ho messo i nomi di tutti i musicisti che hanno collaborato nella mia storia musicale, perché può servire a loro, può servire a me…. Perché è importante questa unione, è fondamentale. Io credo sempre nei team di lavoro. Le individualità esistono nel momento in cui sono messe in relazione con qualcos'altro, allora ci siamo, altrimenti non serve. Quindi citare i nomi delle persone che con me collaborano è fondamentale.
E.S.:
So che hai un simpatico aneddoto da raccontare circa un incontro con Toots Thielemans…
M.B.:
Sì, è successa una cosa simpatica…. Io era un anno e mezzo che suonavo l'armonica a bocca, tra l'altro nei dischi in trio lo sentirai che mi cimento in questi due brani. E
io, quando venne Toots Thielemans qui a Milano, non adesso, ma la volta precedente, gli diedi questo disco. E dopo quattro mesi mi arriva questa telefonata verso le sei di sera, e sento: "Hello, I'm Toots Thielemans! Ha ha ha!" (con la sua tipica risata). E io sono rimasto sbalordito. Ho riconosciuto subito la risata, ti dirò. Ma sono rimasto lì. Un po' l'inglese lo mastico. Ha incominciato a parlare, e mi ha detto una serie di cose, ma ero talmente intontito da questa cosa qua… Mi faceva i complimenti e mi esortava ad andare avanti nello studio dell'armonica… Poi la cosa assurda è che io sono un pianista fondamentalmente. Chiaramente, io so che lui mi ha chiamato perché ha apprezzato il lavoro nel suo insieme, quindi c'è tutto questo insieme di cose. Però è un fatto molto piacevole, è un aneddoto memorabile… Cioè, ti telefona la storia del jazz in assoluto, uno che ha suonato con Louis Armstrong addirittura. Mi ha chiamato, era in California, e mi dice: "Stasera farò anche io come hai fatto te una introduzione di "Round Midnight" a cappella con l'armonica a bocca". Insomma, mi ha fatto molto piacere. Premetto, lì la tecnica, insomma….. Stavo iniziando a lavorare un po' sull'armonica…. Adesso la studio molto, e mi piace molto.
E.S.:
A parte le tue situazioni, che musica ti piace ascoltare? Che CD o che dischi girano in questo momento in casa tua?
M.B.:
Questo è strano, è molto strano perché io non sono mai stato un gran fruitore di musica. Anche gli studi che io ho condotto…. cioè, tutti mi scambiano per un pianista "iperacculturato", che ha studiato la cultura classica in modo approfondito, perché ho una tecnica molto sviluppata. In effetti io non ho né un diploma di teoria e solfeggio né di pianoforte. Sono arrivato fino al quarto anno. Ho studiato molto sulle cose che scrivevo. Questa è stata la prima cosa. Dopo di ché il primo approccio con il jazz è stato
Peter Nero, che è un pianista definito "il pianista delle navi", perché suonava molto easy, un pianista preparatissimo, di grande cultura. E quindi faceva anche del jazz, ma un jazz molto "di plastica", all'americana. Mi era piaciuto tanto, mio padre aveva una sua cassetta, e poi è stato lui fondamentalmente a indurmi alla musica perché lui era autore di canzoni dialettali milanesi. E' stato lui che mi ha regalato l'organo, ho incominciato a otto anni…. Poi mi fece fare un disco in cui cantavo. Io cantavo da piccolo. Poi ho iniziato lo studio del jazz, ascoltando qualcosa. Poi, grande illuminazione, ho iniziato ad ascoltare
Oscar Peterson, che è veramente incredibile ancora adesso. Diciamo che la passione vera e propria però è subentrata verso i 18 anni. Lì allora studiavo tantissimo, però a un certo punto mi dovevo anche misurare con quello che era la realtà, e la realtà era questa: mio padre mi disse: o si lavora con la musica o vai a lavorare. Mi ricordo che mi inventai la scuola di musica a Corsico, una scuola che andò avanti parecchio. Si chiamava "Centro Formazione Musica": Parliamo dell'84 circa, avevo vent'anni. Quindi iniziai con quella scuola in collaborazione con Giorgio Di Tullio, batterista. E lì ho incominciato con la prima formazione, gli "Everest" con Giorgio Di Tullio, Stefano Colnaghi, un grande sassofonista, poi c'era
Silvio Verde, un altro musicista con il quale ho collaborato tantissimo. E lì ho fatto tre album a nome "Everest", sempre con tutte composizioni originali. Riguardo alla domanda che mi facevi, non ho mai fruito tantissimo, ogni tanto ascoltavo, ma per me ascoltare era studiare, quindi mi creava anche una sorta di peso questa cosa, dunque per ogni disco che sentivo sapevo che avrei dovuto lavorarci molto… Però ci sono vari periodi in cui uno si muove. E quindi "Everest" tre album, poi "Soggetti a Rischio" con
Maxx Furian e Massimo Scoca, un progetto che va avanti tutt'ora, due album prima, fino ad arrivare ad oggi con questo progetto "Marco Bianchi", e tanti altri, speriamo.
Tanti musicisti mi hanno influenzato, tantissimi. E' il discorso della personalità che facevamo prima. La personalità è qualcosa che è frutto di regole che si assommano una all'altra e poi le regole vengono abbandonate e acquisisci nuove illuminazioni, e via, si va avanti, finché forse viene fuori la tua essenza, quello che sei tu. Non è semplice; all'inizio è la formazione. Per cui sono grato a tutti gli artisti che ci sono e che vado a vedere volentieri ancora.
E.S.:
Sei qui con tre cantanti (ndr. sono presenti anche Angela Baggi e Nadia
Pazzagli), per cui sei in netta minoranza…. Ma nessuno ti picchierà, desideriamo la verità: c'è una cosa che sicuramente ti piace maggiormente: si tratta della situazione strumentale dove sei tu che ti occupi anche della melodia a livello pianistico, oppure l'accompagnamento di un cantante (o potrebbe anche essere uno strumento solista per questo, un sax per esempio)?
M.B.:
Guarda, per assurdo ti dico questo: a parte che non riesco a scindere bene…. Ci sono dei momenti in cui prediligo utilizzare un certo linguaggio, e allora questo riesco a farlo con determinati musicisti, però quando faccio un concerto, che ci sia un cantante o che stia suonando da solo, l'importante è l'insieme. Per me una cantante è fondamentale, anzi, è anche un modo più semplice per veicolare un certo tipo di discorso, no? La voce è qualcosa che arriva direttamente. Per cui mi predispongo benissimo. Mi piace accompagnare un cantante, anzi, sotto certi aspetti, quando si lavora con un cantante, a volte è ancora più gratificante il tipo di riscontro che tu hai anche musicalmente.
Nell'economia di una serata, bisogna organizzare
equilibratamente la successione dei brani: fare un pezzo dilatato, poi un pezzo
più veloce, ecc. Questo vuol dire avere una estetica di quello che può essere la
serata nel suo insieme. E' importante organizzarsi prima sulla gestione della
serata. Per cui anche un solo all'interno di una serata, acquisisce valore
perché è una perla, una cosa unica all'interno di quella esecuzione. Quindi
quando faccio le serate solo strumentali, a volte si rischia di perdere
qualcosa, ma è normale che sia così, perché lo strumento è quello che è, a meno
che tu non abbia all'interno altri solisti. Però con la voce spesso accade
questo: che anche musicalmente vieni più apprezzato. Poi mi piace accompagnare i
cantanti. Creare una idea armonica che possa aiutare chi sta cantando a esibirsi
nel modo giusto, e solitamente lavoro sempre con artisti con cui ho un
particolare feeling. Sono un musicista molto, molto selettivo, proprio per il discorso che avevo già fatto in precedenza, perché non voglio farmi male. Perché poi quando sono sul palco mi predispongo, però devo stare attento per quello che sono io. Quindi se devo lavorare con un cantante, devo lavorare con cantanti che stimo particolarmente, che amo particolarmente, e allora viene fuori a volte la magia, perché se non c'è l'interscambio….. Poi ci sono molti artisti che hanno fatto della grande musica non essendo molto legati, però nella mia persona questo è fondamentale.
Una delle cose che mi fanno arrabbiare è quando dicono che il jazz è nero. Io dico no, il jazz non è nero, è universale! Ci sono tanti musicisti, c'è la musica nordica, non sono tanti i musicisti che hanno intravisto queste cose, per esempio un pioniere che ha intravisto bene è Joe Zawinul, incredibile, ha colto tutte queste sfumature. La musica è questo. Adesso c'è contaminazione. E' come l'utilizzo del computer; c'è chi dice: "Eh…la musica al computer!" C'è chi ha utilizzato il computer in maniera interessante, con la testa, con il cuore, per cui, sono i mezzi che ci offre la nostra epoca. Chissà cosa sarà tra 500 anni, l'età media sarà di 200 anni l'uno, per cui ci saranno altri presupposti, ma rimane l'uomo che esprime sempre le medesime cose, da sempre.
E.S.:
Per te la musica è una esigenza, una necessità ed una cosa senza la quale non riusciresti a vivere. Quando stai esprimendo, cosa ti piace dare? Cosa stai dando di te al di là della musica?
M.B.:
Alla luce dei miei quarant'anni, con un po' di esperienza, sicuramente sono altri i meccanismi che entrano in gioco perché la musica ha il potere di trasfigurarti, perché quando stai suonando accade qualcosa che non è decifrabile…. Un insieme di sensazioni, di pulsazioni che il cervello coglie, lascia, abbandona, illumina i tuoi movimenti. Basti pensare che lo sforzo fisico nel movimento delle dita è qualcosa che è solo inerente alla natura del corpo, e invece la musica arriva al di là di questo… Quindi è il compendio di tutto questo insieme. Quello che credo sia l'elemento fondamentale in questo insieme di emozioni, perché si dice che il musicista raggiunga l'estasi nel momento culminante della sua performance, e quindi non si può decifrare facendo dei calcoli, ma è l'aspetto spirituale che viene fuori. E anche da fruitore è quello l'aspetto che cogli e che non è decifrabile. Devo dire che è cambiato molto il mio approccio con la musica, e questo ci tengo a dirlo, grazie al mio approccio al Buddismo, che pratico da svariati anni. E' un pensiero filosofico che si incastona bene con quella che è la mia complessità cerebrale. Ognuno ha i suoi iter, i suoi percorsi. Io ho trovato questo percorso ed è fondamentale nella mia vita, anche davanti alla musica, che mi permette di fare la musica in modo totalmente diverso. Anche rispetto a com'ero prima, che quando salivo sul palco avevo delle paure, dei timori; ora ho l'emozione, ma è una cosa totalmente diversa; a un certo punto lascio le redini e via! Per cui la spiritualità è la consapevolezza che ognuno ha il suo cammino ed è importante che ogni uomo abbia un suo scopo, e c'è questo aspetto mistico che ci accompagna nella vita, che secondo me è fondamentale. Guai se non l'avessimo! C'è chi dice che la fede sia l'oppio dei popoli, ma non credo che sia questo, poi la fede è sempre stata travisata dall'uomo stesso che l'ha strumentalizzata a proprio piacimento. La spiritualità è quando hai questa consapevolezza che va al di là di tutto. Parlo dello stato vitale: quando fai un dono a una persona, questa persona sorride e automaticamente tu ne sei gratificato, e questo è lo stato vitale. Nel momento in cui riesci a dare, ricevi tantissimo. Che è molto difficile. Ecco perché aprirsi alla vita è una cosa molto bella ma molto complessa a volte, e molto semplice nel medesimo tempo, cioè, riuscire a farlo bene. E allora si vede quando dei musicisti sono sul palco e accade questo. Non sempre sono in questa condizione, però tendenzialmente è già da un po' di anni che quando sono sul palco "spacco"...
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Data pubblicazione: 23/10/2004
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