Intervista a Stefania Tallini
di Fabrizio Ciccarelli
Stefania
Tallini, pianista, compositrice ed arrangiatrice, presenta una brillante
carriera artistica sia in ambito italiano che europeo. Vincitrice di numerosi concorsi
internazionali, ha pubblicato come leader tre album ("Etoile",
YVP 2002; "New
life", YVP 2003; "Dreams",
Alfamusic/Raitrade 2005), ottime prove che sono
state e sono ancora all'attenzione della critica e del pubblico per il naturale
interesse nei confronti del suo pianismo delicato, sensibile e allo stesso tempo
vigoroso, raffinato; fatto che la pone con merito tra le più apprezzate musiciste
contemporanee.
L'espressività della sintassi jazzistica di Stefania colpisce sia a livello
compositivo che improvvisativo, un'eleganza densa di passionalità luminose da cui
traspare una personalità tra le più nitide ed artisticamente complesse dell'attuale
panorama delle blue notes, un tocco riconoscibile che muove con sicurezza
in modulazioni concise, dando vita a melodie felicemente essenziali, tutt'altro
che inclini alla spettacolarità si sarebbe tentati di dire, meticolosamente
costruite e disposte in ricerca di risonanze introspettive, in ogni caso al di fuori
di ogni inclinazione "aggressiva" che spesso sembra pervadere la musica ai nostri
giorni.
Il modus operandi, lo stile di
Stefania,
rende spontaneo l'accostamento ai più felici momenti creativi di un
Bill Evans,
di un Chick Corea,
di un
Herbie Hancock, di alcuni tra i migliori stilisti degli anni
'60 e '70,
con i quali condivide l'avventurosa intenzione dell'amore per le escursioni armonicamente
libere, quelle che, evolvendosi spontaneamente, liberano il dialogo in linee indipendenti,
spesso sfumate, cromaticamente assorte, sottili nelle variazioni ritmiche quali
interventi autonomi nella trama sonora.
Tale è l'artista, tale è la persona.
Questa è l'intervista:
F.C.: Quando si ha vicino un cd, la cosa più
naturale che venga alla mente è il significato della cover che, non di rado, svela
qualcosa in più dietro alle parole del booklet, dietro ogni presentazione "lessicale".
Perché, dunque, la tua scelta di quell'immagine che pare provenire, senza sillabe,
dall'inconscio? Sembra quasi "parlare" di certi tuoi brani…
S.T.: E' certamente così. Per me la scelta della
copertina, così come la scaletta dei brani e le immagini contenute nel booklet fanno
parte della costruzione della "forma" del disco che mi appresto a realizzare… come
se anche le immagini si dovessero fondere ai suoni che ho creato e con i quali racconto
la mia storia. Quell'immagine è tratta da un quadro di una bravissima pittrice romana
(Barbara Sbrocca) che è nato simultaneamente alla composizione dello sviluppo
di un mio brano: un giorno, silenziosamente, io al piano, lei alla tela, senza le
parole a intralciare un flusso creativo assolutamente inconscio, sono nati e si
sono fusi insieme il mio "New House" e il suo "In Viaggio".
E'
certamente un'immagine che rappresenta perfettamente tutto ciò che con i miei suoni
volevo dire attraverso quel disco. Diciamo che quell'inconscio ha saputo trasformare
i miei suoni e il mio stato d'animo di quel periodo in un'immagine che amo moltissimo
e che ora è a casa mia.
F.C.: Qual è il progetto d'assieme che ti ha
mosso a comporre questi 10 brani, racchiusi, come in un'opera in realtà "aperta"
(se mi permetti una citazione echiana), da un "opening" e da un "ending". Una storia
a volte sussurrata a volte narrata con vigore: "pathos" e "vis", come nella vita,
del resto….
S.T.: Non è un progetto specifico che mi ha mosso
a comporre questi 10 brani, è il contrario, sono i brani scritti che hanno stimolato
in me il desiderio di realizzare poi un "racconto". E' vero, quasi un'opera più
che una sequenza di pezzi…La sensazione che ho avuto, infatti, era che ogni brano
potesse essere un preludio all'altro, che il finale di ognuno potesse accompagnare
l'inizio dell'altro, quasi come fossero un tutt'uno. Questa esigenza si è mossa
però spontaneamente, non con una premeditazione; infatti me ne sono resa conto solo
dopo e me l'hanno anche fatto notare molte persone che hanno ascoltato il disco.
Per me tutto parte dalla nascita di nuove composizioni…esse prendono forma, maturano,
crescono con me e in me, piano piano, silenziosamente finchè ad un certo punto sento
che "vogliono essere viste", sentite, definite in un arrangiamento, vogliono essere
interpretate anche da altri, rese vive, quindi immortalate su un disco. Che poi
diventa sì una storia narrata involontariamente, inaspettatamente, quasi mio malgrado.
I vissuti più profondi vanno a finire lì, nell'inconscio che trasforma il proprio
sentire in suoni, in immagini, in sogni come ho scritto nelle note di copertina.
E da qui mi ricollego alla tua domanda sul "Viaggio": dove mi conduce questo viaggio
fatto con "Dreams".
Quel viaggio è stato musicalmente importante perché mi ha permesso di scendere sempre
più in profondità nel mio rapporto con la scrittura. Ecco perché sento che questo
è un disco fondamentale… perché sono andata oltre l'aspetto diciamo puramente estetico
del suonare, ma c'era invece l'esigenza di qualcosa di più, di una ricerca espressiva
volta ad un "oltre" che non posso spiegare razionalmente. Sono sensazioni, suggestioni,
è un "sentire", è quel calore, quella solitudine piena che è ciò che permette l'atto
creativo. Il mio viaggio continua così verso questa direzione: cercare sempre più
un "oltre", un di più, un "sempre più vero" nel mio rapporto con la musica, sia
nella scrittura che nel modo di suonare. Almeno ci provo… "Opening" ed "Ending"
sono stati dei giochi musicali come si può sentire… credo che l'ironia e il gioco
siano aspetti molto importanti nella vita e in questo caso avevo voglia che anche
l'aspetto ludico entrasse nella mia musica, per far da cornice a tutto il racconto.
F.C.: Qualcuno ti ha paragonato a Carla Bley,
personalmente non trovo molti punti di contatto se non nella dinamicità del pensiero
musicale; quale pianismo senti più vicino?
S.T.: Beh, mi lusinga molto questo paragone perché
Carla Bley è una musicista a tutto tondo che stimo moltissimo. In realtà
non la conosco tanto da poter dire che mi ha influenzato e soprattutto la conosco
più come arrangiatrice e compositrice che come pianista. Tra l'altro amo molto il
suo modo di scrivere. Io sento che sono diversi i pianisti che mi emozionano e che
stimolano la mia ricerca musicale:
Bill Evans
per tutta la poesia, lo struggimento, il feeling della sua musica; Paul Bley
per la sua meravigliosa libertà nel suonare;
Martial Solal
per l'incredibile approccio giocoso, ma rigoroso con lo strumento;
Brad Mehldau
per il suono, per la fusione che ha fatto tra musica colta e jazz e per la profondità
che traspare dalla sua ricerca artistica;
Chick Corea
per la vitalità e per la sua meravigliosa capacità compositiva e di arrangiatore.
F.C.: Cosa avresti voluto "dire" che non hai
"detto" in brani come "A kiss" o "Per
un attimo ancora"? Sembrano come pentagrammi sospesi, in attesa di aggiunte,
di chiosature; almeno questa è la mia impressione.
S.T.: Hai colto qualcosa che io stessa non avevo
colto… è vero, a volte le composizioni prendono strane forme: alcune nascono già
definite, altre invece nella loro indefinitezza sembra vogliano parlare ancora,
raccontarsi ancora, continuare a vivere in quel flusso musicale che le ha generate.
Ma forse è proprio quella la loro particolarità e non è detto che le sospensioni
debbano essere sempre risolte.
F.C.: Anzi, il fascino dei pianisti che citi
sopra mi sembra sia in quegli attimi (s)fuggenti che vibrano sotto le dita…
S.T.: Sento comunque che proprio in questa indefinitezza
ho detto tutto ciò che volevo e non aggiungerei altro…In ogni caso non so perché
questo accade con alcuni brani… ci sono molte cose che per me rimangono misteriose
nel fenomeno compositivo. Ma credo sia fondamentale lasciare che esso rimanga come
qualcosa di sconosciuto, poiché questo permette di scavare sempre più in profondità
nel proprio rapporto col suono.
F.C.: Sì, c'è l'apporto tecnico (che non ti manca)
ma l'emotività non può non essere la "spinta" determinante all'atto creativo.
S.T.: Per me l'emotività è l'unica spinta all'atto
creativo, perché non scrivo con la tecnica, ma solo con l'orecchio. E' l'emotività
che mi porta a cercare i suoni senza chiedermi che nome abbiano o in che rapporto
siano tra loro.
F.C.: Forse avrei dovuto già chiederti il motivo
che ti ha indotto a dar titolo all'album "Dreams":
in un primo momento mi è sembrata una domanda banale, dalla risposta scontata anche
per ciò che dici nella back cover, ora così banale non mi sembra più…
S.T.: Per me non è mai banale parlare dei sogni,
anzi, credo sia forse più banale non farlo, fare finta che non ci siano, cancellarne
tutta la profondità. Credo che la realtà del sogno sia la stessa che genera il fenomeno
creativo: un mondo interno assolutamente irrazionale, che permette di elaborare
i rapporti, la vita stessa attraverso le immagini. Per un artista questa ricchezza
si traduce anche in arte. Una dimensione quindi non onirica, ma che ha in sé tutta
la bellezza di quella onirica, di quell'inconscio che è una realtà profonda, ricca
di fantasia e vitalità da recuperare in ogni momento. E credo che l'artista, forse,
ha una fortuna in più rispetto agli altri perché non ha solo i sogni per elaborare
la propria vita, ma anche un mondo irrazionale e inconscio molto vivo che poi si
trasforma in suono, pittura, scultura, poesia. E allora non potevo che intitolarlo
così: "Sogni", a dire di una fusione tra la realtà onirica e quella artistica.
F.C.: Sono assolutamente d'accordo con te. Quale
progetto hai in mente per il tuo prossimo disco?
S.T.: E' un progetto in quartetto: il mio trio
più uno strumento a fiato, del quale pare proprio che io non riesca a fare a meno!
F.C.: Forse una sottolineatura d'una voce che
incida sulla melodia?
S.T.: Il discorso più banale è quello per cui lo
strumento a fiato permette i suoni più lunghi e rende meglio il senso della melodia.
Ma questo è solo un aspetto tecnico… In realtà ciò che mi colpisce degli strumenti
a fiato è la sensazione di ampio respiro che danno al suono, è quel senso di "suono
infinito" che avvolge e fonde dentro di sé la profondità di ciò che voglio esprimere
con i miei brani. In questo nuovo disco sento che sempre più si sta delineando il
mio linguaggio compositivo e con esso anche quello pianistico, che sempre più si
fonde al mio modo di scrivere. Forse tutto sta andando progressivamente verso una
direzione "mediterranea", ma non solo… Poi sai, le definizioni sono sempre un po'
a rischio, soprattutto nel jazz, perché spesso si rivelano come delle "chiusure"
che a volte possono svuotare di significato il senso della musica. Io non decido
mai di scrivere un pezzo in un linguaggio o in un altro, sento semplicemente l'esigenza
di scrivere e dopo quello che verrà fuori è una sorpresa anche per me!
F.C.: E, secondo me, non potrebbe essere diversamente.
Chi compone "sapendo come va a finire" non compone, risponde ad un'esigenza di "imitazione"
come unica possibilità d'arte. E di ciò non se ne sente l'esigenza, soprattutto
nella sintassi jazzistica. Penso che l'arte sia evoluzione di linguaggio, di morale,
se è vero che il mondo è un fenomeno "in divenire"….
S.T.: Direi che l'evoluzione del linguaggio è solo
una conseguenza di un'evoluzione più importante che è quella umana. Credo proprio
che senza quella non può esserci arte vera, o meglio forse ci può essere solo come
dato tecnico e costruzione formale, ma non basta questo a fare di una creazione
artistica qualcosa di profondamente "artistico".
F.C.: Allora aspettiamo la tua prossima prova….grazie
per la tua cortesia e a presto.
S.T.: Ciao, a presto.
Stefania Tallini
Maresìa
con
Stefania Tallini
- pianoforte & composizioni
Gabriele Mirabassi - clarinetto
Gianluca Renzi
- contrabbasso
Nicola Angelucci
- batteria
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Data pubblicazione: 28/03/2007
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