Alla guida di un robusto trio in cui imprime segni ben distinguibili per
stile e tecnica, Marco Di Gennaro stabilisce un sodalizio col chitarrista
Peter Bernstein, il quale affianca i tre musicisti in ben sei brani sui dieci
di cui il disco è composto. Il posto alla batteria è invece affidato al poderoso,
ed al contempo sensibile, Quincy Davis, al contrabbasso troviamo
Joseph Lepore.
Dotato di un suono particolarmente smussato, esaltato dagli interventi di
Bernstein e ancora di più da quei brani in cui Davis ricorre all'uso di spazzole,
l'ensamble reinterpreta alcuni standards tra i più conosciuti: basta citare la presenza
di "Seven Steps To Heaven", "Prelude
to a kiss", "I wish I knew" e la
stupenda "Footprints". Ai vari standards si
affiancano i tre brani composti di proprio pugno da di Gennaro.
Il progetto viene presentato non come trio, bensì come quartetto. All'ascolto,
però, ci si renderà rapidamente conto che all'interno di quel senso di solidità
che domina l'esecuzione di
Lepore,
di Gennaro e Davis, Bernstein appare un po' estraneo. I tre
musicisti infatti – ed in specie contrabbassista e batterista – si muovono con una
solidità ed un intenzione tale che i temi e gli assolo del chitarrista, pur di pregio,
non bastano a scardinare l'idea che, fondamentalmente, questo progetto abbia un
nucleo vitale sito nel trio.
Non passa assolutamente inosservato Davis, musicista intelligente
ed abile che, sulle prime, arriva anche a spiazzare con il vigore del proprio drumming,
per poi dare prova di una grande sensibilità e maestria nel gestire le più lievi
tensioni ritmiche ed adattarle alla perfezione all'esecuzione degli strumenti che
accompagna. La struttura dinamica che sembra perfezionarsi brano dopo brano unita
alla sua sapiente scelta timbrica, in ultimo, convincono a considerarlo la più grande
sorpresa che questo disco presenti all'ascoltatore. Al suo fianco è importante la
presenza di Lepore
con cui si trova in diversi momenti ad affrontare passaggi a due particolarmente
impressivi.
Di Gennaro sembra invece meno lanciato nella corsa dei passaggi più vigorosi
affrontati dalla sezione ritmica, come in "Seven Steps
To Heaven", dove a tracciare il passo sono proprio
Lepore
e Davis. Di contro però diventa eccezionale nell'accompagnare i brani più
sinuosi e larghi, come il suo "Tema di Clara",
o "Blame it on my youth", dove gli assolo sono
impreziositi da un'inventiva armonica notevole.
Da un punto di vista generico, "Closer"
non introduce nessuna novità particolarmente rilevante: si tratta in ogni caso di
un lavoro di una certa cura, che piacerà di sicuro a chi già conosce il sound di
questo abile pianista e ne apprezza lo stile ampio e poco staccato; in caso contrario
si pone come occasione per entrarci in confidenza.
Achille Zoni per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 08/03/2009
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