XIX Festival Internazionale "Ai Confini tra Sardegna e Jazz"
- Dedicated to Eric Dolphy -
Sant'Anna Arresi 29 Agosto - 05 Settembre 2004
di Gianmichele Taormina
Foto: Roberto Cifarelli
Confermando lo spirito delle ultime quattro edizioni, anche quest'anno la rassegna sarda non ha disatteso le aspettative - protagonista di una proposta sempre complessa e multiforme - sfoggiate da un cartellone assai variegato e ricco di molteplici spunti di riflessione. Il punto focale dal quale si snodava la lunga kermesse isolana si dipartiva dalla celebrazione del quarantennale della scomparsa di Eric Dolphy. Al grande polistrumentista californiano è stata dedicata una corposa conferenza-dibattito di due giorni coordinata dalla sapiente conoscenza del musicologo e traduttore Francesco Martinelli.
Con il titolo di Tender Warrior – L'eredità di Eric Dolphy, il convegno ha puntato l'attenzione su diverse sfaccettature emerse dalla figura dell'indimenticabile sassofonista
di Los Angeles: l'eredità di Dolphy, con un'approfondita analisi formulata da Claudio Sessa, un diario dolphyano sugli ultimi mesi di vita del musicista stilato da Paul Karting, la relazione tra Dolphy e gli improvvisatori europei ad opera di Gérard Rouy, l'interessantissimo intervento di Alan Saul, curatore di un sito web dedicato a Dolphy, il quale ha presentato una cospicua serie di filmati e rare incisioni del sassofonista. A questi argomenti andavano aggiunti la sintassi della composizione dolphyana, analizzata nelle interessanti ipotesi del pianista Graham Connah ed un ricordo del trombonista/critico Mike Zwerin per il commento di un'incisione datata 1964 - con Dolphy incluso - a nome di The Sextet of Orchestra U.S.A. e intitolata "Mack The Knife" su musiche di Kurt Weill, che completavano il quadro di un musicista talmente ampio e immenso al quale andrebbe dedicata una conferenza ad ogni edizione per i prossimi dieci anni.
Sul versante musicale, Dolphy è stato celebrato da diversi fronti. Nella prima serata, dall'Eric Dolphy's Memorial Berbecue, una notevole formazione tutta italiana, guidata dal contrabbassista e arrangiatore Antonio Borghini. Bella l'idea di integrare nel sestetto la presenza di un vibrafono (suonato dall'ottimo Pasquale Mirra), in ricordo degli indimenticabili storici dialoghi tra Dolphy e Bobby Hutcherson. In luce anche Domenico Caliri (chitarra e elettronica) e il funzionalissimo timing di Christian Calcagnile, probabilmente una delle più interessanti nuove figure della batteria in Italia.
Nella serata seguente, intenso e dalle forti tinte emozionali è stato il concerto dei Nexus. La scaletta della formazione lombarda era apparentemente incentrata su materiale estrapolato da " Out To Lunch", leggendario disco testamento di un Dolphy sempre più proiettato verso avanzatissime metriche compositive. Il tutto era però solo un pretesto per il titolo del programma.
L'esibizione, entusiasmante e assai dinamica - soprattuto nei richiami fuori dal citazionismo del disco cardine - ha preso il volo quando la play list, eseguita in forma di generosa suite,
richiamava i temi di
Serene
(da "Out There" o da "Far Cry"), di
245
(da "Outward Bound")
e addirittura di
Jitterbug Waltz
di Fats Waller (da "Music Matador"). Splendidi tutti: da Cavallanti e Tononi (leader storici della band) a Succi, Tito Manjalajo a Cecchetto, incluso Rossano Emili al sax baritono, il quale per l'occasione, prendeva il posto dell'assente Beppe Caruso.
Pur previsto col titolo di Eric Dolphy's Project, nessun citazionismo dolphyano è invece emerso nell'ultima notte di musica a Sant'Anna Arresi.
Il duo composto da David S. Ware e Mattew Shipp ha infatti dirottato l'intera esibizione sul proficuo interscambio tra la potenza espressiva del tenore di Plainfield (sempre carismatico e ricco di asprigne riflessioni, di stridi luccichii nostalgici, di dolenti e sofferti umori) e il pianismo barocco, decadente e pomposo di Shipp. Tanto "pedale" e nessuna
suspence nella creazione di una musica che non lasciava spazio alla rilassatezza ma emergeva sempre carica di tensione, in attesa di un varco da sviluppare dentro certi affascinanti microtemi che richiamavano il Cecil Taylor più duttile; mentre, più che in ricordo di Dolphy, il possente tenore di
Ware abdicava lo scettro rivangando talune affascinanti soluzioni ayleriane sempre care al sassofonista di "Godspelized".
L'allegra carovana dell'Instant Composers Pool
guidata dagli olandesi Han Bennink e Misha Mengelberg (giovani compagni di cordata di Dolphy nei suoi ultimi giorni di vita), ha invece inscenato con la consueta verve ironica e divertente un'esibizione posta come giusta chiusura del festival.
Tanghetti e valzerini circensi, le solite trovate di Bennink, suonatore di bacchette sui denti, di asciugamani sui toms, distrutore di piatti e altro, contrastavano lo splendido pianismo solitario di Mengelberg, il quale all'interno del collettivo aveva anche il tempo di abbandonare il palco per una pausa caffè e rientrare nel tema come se non fosse successo nulla, in attesa di giungere a
The Spinning Song, il trascinante blues di Herbie
Nichols che, come acclamatissimo bis, concludeva in bellezza la rassegna.
L'altra coppia di eroi della manifestazione è stata quella composta da due "marziani", provenienti dal cuore palpitante della
black scene: Hamid Drake e William Parker.
Con una esibizione palpitante di energica creatività, la granitica ritmica statunitense ha letteralmente estasiato il numeroso pubblico accorso in Piazza delle Nuraghe.
La cavata di Parker, nervosa e corrosiva, il suo archettato lirico e spiraliforme, dal piglio meditativo e rotondo, lo swing incessante e africano di Drake, le impossibili poliritmie eseguite con una padronaza assoluta dello strumento, il suo emozionale e distillato canto arcaico (mentre Parker suonava un'antica musette), hanno innalzato di molto la temperatura della rassegna.
Gli stessi, insieme al magnifico Lewis Barnes alla tromba e allo spigoloso sax contralto di Rob Brown hanno interpretato la serata succesiva, le musiche tratte da "O'Neil Porch", lo splendido capolavoro a nome del quartetto di William Parker, autoprodotto per la Centering Music nel 2000 e inciso con la medesima formazione. Anche in questo caso, come nel concerto in duo, tutto è stato legato all'interno di una suite dai toni lancinanti ed esplosivi, raggiungendo, com'era prevedibile, l'assoluto vertice interpretativo. Giusto sarebbe dare merito ed elogio ai due fiatisti dei quali poco si parla, sia nella loro patria di appartenenza, sia dalle nostre parti e che solo grazie alla sensibilità di una rassegna come Sant'Anna Arresi (dovuto plauso va a Basilio Sulis, patron della manifestazione) possono essere in qualche modo ascoltati, valutati, apprezzati.
Altro concerto davvero suggestivo è stato poi il duo inscenato da Hamid Drake e dal chitarrista Paolo Angeli. Introdotti dal suggestivo spettacolo folkloristico dei
Mamuthomes di Mamoiada, i quali interagivano con il battito animalesco e pungente di Drake.
I due si sono incontrati di seguito, eseguendo splendidi frammenti improvvisativi, talvolta spirituali e magici, grazie all'archettato di Angeli il quale dalla sua chitarra sarda modificata estrapolava un suono lirico e struggente, oppure si prestava al gioco incisivo e inafferabile di Drake. Altrove, i due si abbandonavano in due ninna nanne - una sarda, l'altra africana - oppure s'immergevano con un trasporto quasi fisico, dentro sonorità libere da strutture eppure del tutto originali.
Proseguendo nella narrazione delle esibizioni che avevano come protagonisti i cosiddetti down town cats newyorkesi, non potevamo dimenticare il quartetto capitanato da David S. Ware ed il trio del pianista Mattew Shipp.
In entrambi i casi, pur avendo regalato performance di altissima levatura artistica, affioravano qua e là talune formule precostituite e piccoli clichè già ascoltati. Spesso era un ribadire di tematiche di cui oramai - almeno per chi segue l'avanguardia nera odierna - ben conosciamo le regole ed il significato.
Pur assistendo ad un emozionante confronto tra titani all'interno del quartetto, Ware non cambia la scaletta oramai da tre anni, compreso il bis di Mikuro's Blues. Viene spontaneo chiedersi come mai il leader non estrapoli perle tratte dai suoi vecchi dischi, i quali compongono oramai una cospicua e davvero validissima discografia.
Dal canto suo la novità del trio di Shipp era invece la presenza del drummer
Gerard Cleaver, meno colorito e istintuale ma più attento ai suoni sviscerati rispetto al suo più giovane e impulsivo collega. Quel Guillermo E. Brown notevolmente cresciuto negli ultimi anni ed ora pronto per volare all'interno dei suoi vari progetti solisti, a partire da
The Beats Kids
per proseguire con alcune incisioni di solo performance anticipate nel breve
concerto di Sant'Anna.
Di tutt'altra entità e spessore sono stati altri omaggi che affioravano all'interno del caleidoscopico festival. Ci riferiamo allo
Spiritual Unity del Marc Ribot Quartet.
Affrontando la delicata materia ayleriana, il chitarrista dei Lounge Lizard ha profondamente amplificato lo spessore carismatico profuso dalle musiche del grande sassofonista di Cleveland.
Ribot esasperava spesso la scena elaborando sonorità acidognole e distorte. Il resto della band agiva invece in controsenso alle amorfe concezioni del leader, con Roy Campbell sempre affascinante con le sue spurie trovate trombettistiche, ed una ritmica dai suoni intriganti e antichi, quasi ancestrali.
Alla batteria di Chad Taylor si affiancava infatti l'importante figura di Henry "Alonzo" Grimes, storico contrabbassista degli anni Sessanta, ritrovato da un assistente sociale dopo trent'anni di sabbatica inattività. Di lui - si era anche detto che fosse morto - restavano le tracce storiche in memorabili performance discografiche e non con musicisti del calibro di
Albert Ayler, Giuseppi Logan, Don Cherry, Archie Shepp, Cecil Taylor, Pharoah
Sanders e molti altri.
Ritornando agli italiani, grande impressione ha suscitato il duo formato dal pianista Umberto Petrin e dal sassofonista Tim Berne.
Basato su di un proficuo reciproco "ascoltarsi", l'iterazione tra Berne e il nostro Petrin si è sviluppatta su parametri compositivi di alta levatura estetica.
I temi, spesso introspettivi e lunari, seguivano diverse logiche espressive all'interno di una tessitura di trame che prediligeva l'esposizone iniziale
all'unisono per poi svilupparsi dentro sentieri di un contrappuntismo colto e grondante di grande inventiva, ora fondato sul mistero dello scoprirsi, su inaspettati e repentini cambi di rotta, dopo, colorato dalla grinta urbana del sassofonista che ben si fondeva con l'elevato lirismo di Petrin dentro una solida euritmia di rara intensità emotiva.
Ennesimo omaggio all'interno del festival - stavolta assai discutibile per la forma, non certo per la levatura dei musicisti - è stato quello di
Coltrane On Launeddas, progetto di Alberto Mariani incentrato sulle musiche del grande tenorista statunitense.
Le indimenticabili composizioni di Coltrane in questo caso venivano dirottate verso improbabili interpretazioni, quasi totalmente incentrate sul rallentamento semantico dei temi, sull'arricchimento barocco delle armonie, ovviamente dettate dalla presenza delle launeddas, l'antico strumento sardo protagonista di lunghissimi estenuanti pedali introduttivi dopo i quali giungevano finalmente i temi, spossati e privi del loro originario fascino.
In chiusura, da segnalare il divertente concerto del trombettista siciliano Roy Paci il quale ha presentato il suo nuovo lavoro dal titolo
Corleone
e la buona prova del trio capitanato dal pianista Luca Sirigu, vincitore lo scorso anno del concorso dedicato a
Marcello Melis, mentre, per completezza di cronaca, vi rimandiamo all'articolo di
Fabio Pibiri sui tre concerti tenuti a Sant'Anna Arresi da un altro dei principali protagonisti della manifestazione: il contrabbassista cecoslovacco
Miroslav Vitous.
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Data pubblicazione: 12/12/2004
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