Chi abbia mai ascoltato qualcosa di Charlie Haden saprà benissimo che nelle profondità curvilinee del suo ligneo contrabbasso, batte un cuore sensibile e appassionato: basti pensare al cd
Beyond the Missouri Sky in duo con Metheny. Se a ciò si aggiunge che la sua
performance del 23 giugno, sua seconda tappa italiana,
ha costituito il concerto d'apertura del
Terni in jazz Fest #5 svoltosi, come consuetudine che va ormai consolidandosi, nella suggestiva cornice del Belvedere sulla Cascata delle Marmore, allora ben si comprende come la musica del contrabbassista dell'Iowa e la cornice paesaggistica in cui essa è calata siano state parte di un unico concept, voluto fortemente dagli organizzatori (e il cui incasso, per inciso, servirà interamente a finanziare la costituzione della "Fonoteca Civica" di Terni).
Buona musica, quindi ma con una doverosa premessa: che, riprendendo il cd The land of the sun, la serata si è svolta all'insegna di lente ballads, che hanno reso il concerto poco vario.
Atmosfere crepuscolari con un tocco di romanticismo per il primo brano, assolo pennellato di Rosario Giuliani dopo che Jorge Rossy intreccia al tango un ritmo di samba, così che il contralto possa più vivacemente articolare le proprie note. Trattenuta dal disegno melodico la tromba di Michael Rodriguez, mentre il tenore di Tony Malaby, pastoso e diatonico, svolge i suoi chorus poggiandosi sulle più estreme estensioni della struttura armonica, e dopo un disteso obbligato, di nuovo il tema, con chiusura del piano solitario di Rubalcaba. Segue un'altra
ballad traslucida, condotta soprattutto dal piano, in cui si incastona un prezioso assolo del leader, carico di tensione e riflessivo: un eloquio che si riconosce a pelle, un suono staccato e vibrante che fa scuola da almeno trent'anni.
Giuliani, anche lui adesso più meditativo, larghe le sue costruzioni che in certi frangenti si comprimono improvvisamente, entusiasmando il pubblico che alla fine ricompensa con applausi. Tromba elegante, come elegante è la composizione, anch'essa oggetto di un'improvvisa accelerazione in coda. Meno prevedibile
Rubalcaba, frastagliato il suo fraseggio ma non per questo meno affascinante o in qualche misura astruso, è anzi un piacere seguirne l'evoluzione; un po' imprecisa risulta invece – almeno in queste circostanze – l'intersezione fra i fiati.
Si prosegue – senza cambi di registro – con un altro delicato brano, poetici, quasi bucolici gli scambi fra flauto e tromba, che Haden sottolinea con contrappunto melodico in solitudine. Cullando il tema quasi come in una ninna-nanna, soffusissimo il flauto di Oriente Lopez spicca poi il volo con repentini trilli, dandosi ad un versatile e fantasioso fraseggio. Inizia emergendo dal silenzio il solo di Jorge Rossy, spazzole sul rullante, piatti sfiorati, tom carezzati, per una sola intensa emozione. Tracce in stile cubano, invece, nel solo di
Rubalcaba, per una serie di brevi e divertenti frasi costruite sulla griglia armonica ed inframmezzate da improvvise scale e insistenti ripetizioni di note ribattute.
Più movimentato il quarto pezzo, tonalità maggiore con tema esposto da
Malaby, che gioca sulle articolazioni scalari e sull'intimità del suono, fino a sforare verso inaspettati sovracuti. Un obbligato del piano fa da gancio alla ripetizione motivica da parte dei fiati, sviluppata in intersezione lungo tutto il giro armonico. E sebbene il livello di musica e strumentisti sia certamente di qualità, il concerto resta su un piano di uniformità, senza particolari picchi verticali.
Rompe questo andamento l'introduzione del contrabbasso su tacet degli altri strumenti, per un tre quarti in minore, valzer malinconico dove ben curate sono le voci in sezione. Lopez mostra di conoscere un'ampia gamma di linguaggi, evidente adesso l'impronta (e gli spunti) latin: e ciò, insieme al tempo dispari, infonde un po' di verve a questa fase del concerto. Più presente – e brillante – anche
Rossy, sotto la tromba, quindi il brioso ed elegante Rubalcaba, sprint nel suo periodare, ed infine un'accattivante combinazione flauto-tromba in sezione.
Particolare e struggente la rilettura di Voglio amarti così, che in molti riconoscono e che riconquista attenzione, il sestetto ridotto in quartetto:
Giuliani, dopo averne citato l'inciso, con gusto se ne impossessa per renderla brillantemente nel linguaggio fresco e giovane che gli è proprio, innovandolo in questo piacevole adattamento,
molto apprezzato dai presenti. Non è da meno
Rubalcaba che certo non appartiene alla cultura musicale tricolore, ma che altrettanto egregiamente ne offre una personale riproposizione jazzata. È poi il turno di Haden, che con frammenti di scale fa gioco sull'armonia -semplice- del pezzo: intrigante il suo assolo, forse troppo scavato, finché non recita gravemente il tema, per lasciarlo dopo la prima frase alla chiusura di
Giuliani e compagni.
La rentrée è affidata ad un ballabile movimentato ancora in tre/quarti, forse il più pulsante della serata, nel quale fra tutti si distinguono i solo di
Rodriguez e di Malaby: e con gli spettatori in piedi, ad attendere l'apertura della cascata, è tutto un muoversi al ritmo quasi funky in cui ripiega il brano.
Molta intensità, dunque, ma poca energia, soprattutto per un sestetto costituito da elementi di siffatta statura musicale. Ultima nota, il breve discorso finale di Charlie Haden,
che, ricordando il proprio impegno musicale e politico con la
Liberation Orchestra, che dura da 36 anni, ha dedicato il concerto alla pace, contro le guerre, ammirato anche dalla spettacolare cornice riservata alla sua esibizione: "la cascata è bellezza e la musica è bellezza".