Oregon
Mar del Jazz - Mola, 18 luglio 2006 di Adriana Augenti e Marco Pragliola
35 anni … e li dimostrano tutti!
La seconda serata del
Mola Jazz Festival,
headliner di Mar
del Jazz, ospita sul palco, montato per l'occasione in Piazza XX settembre,
gli Oregon.
Il nome del gruppo ha le sue radici nel 1960,
anno in cui Ralph Towner e Glen Moore si conobbero all'Università
dell'Oregon ed iniziarono a collaborare a vari progetti, aperti alle sperimentazioni
che andavano dalla world music alla musica etnica, dal jazz alla classica. Successivamente,
grazie alla collaborazione con Paul Winter, col quale iniziarono ad apprendere
la confluenza di vari generi musicali, nacque il quartetto degli Oregon.
Oggi, rispetto alla formazione storica (Ralph Towner, Paul McCandless,
Glen Moore e Collin Walcott), l'unica eccezione è costituita dal batterista
Mark Walker, subentrato a Trilok
Gurtu nel 1996, che a sua volta
aveva "sostituito" il compianto Walcott, scomparso nel
1984 in un incidente stradale.
Come per i primi tempi del gruppo, in cui segno distintivo della musica
era l'accostamento di una strumentazione propriamente classica, quella dell'oboe
di McCandless, alle percussioni etniche di Walcott, la chitarra folk
di Towner al contrabbasso jazz di Moore, anche oggi la strumentazione
resta elemento caratterizzante della band.
Un gran numero di strumenti sul palco: un pianoforte a coda, un sintetizzatore,
le tastiere, la chitarra classica, una chitarra frame, tutti di Towner, gli
innumerevoli strumenti ad ancia di McCandless, la batteria e le percussioni
di Walker, il contrabbasso e il contrabbasso elettrico di Moore …
"Come cominceranno?" viene spontaneo chiedersi.
If apre la serata,
senza che alcuna parola l'accompagni. Towner sale sul palco ponendo mano
alla chitarra classica, iniziando con un assolo acustico aperto, inseguito dopo
un breve lasso di tempo dal soprano di McCandless, il quale già sul finire
del primo brano approfitta dell'apertura e, passando al clarinetto, sperimenta fin
da subito un fraseggio dall'aria molto evanescente.
I temi si susseguono così, con qualche parola di Towner, che innegabile
leader presenta, tentando di cimentarsi anche con l'italiano, i brani ed i compagni
di note, ed il movimento delle melodie, guidate più che altro dalla chitarra e dal
piano di Towner e da quelle che non esiterei a definire sperimentazioni di
McCandless, che con sapiente maestria (e non senza un pizzico di boria, ammettiamolo)
alterna oboe, clarinetto, clarinetto basso, soprano, sopranino, flauto, tenore ….
L'aria di Mola, se possibile, si arricchisce ancor più di paesaggi etnici
e mediterranei.
Da Joyful Departure
a An Open Door, anch'essa
come If dall'album celebrativo del 35esimo anno di vita degli Oregon,
"Prime", Camjazz 2005, fino al lirismo
del bis con Green And Golden,
la vena melodica del gruppo è confermata da ogni suono.
Territori, strutture, atmosfere.
La suggestione aumenta grazie alla loro capacità di affrontare contesti
molto differenti, sia nello stile sia nelle intenzioni, con sapienza, morbidezza
nei passaggi e abilità espressiva. E' palpabile una storia di ricerca e sperimentazione
timbrica da parte di ogni musicista; ricerca che ritroviamo, tolta l'ovvia dualità
strumentale di Towner, anche nell'impressionante serie di strumenti a fiato
utilizzati da McCandless, nell'integrazione di percussioni marcatamente etniche
nel setup della batteria di Walker (djembé, darbouka,...), nell'uso del contrabbasso
sia in pizzicato che con l'arco di Moore.
Assistiamo allo snodarsi di percorsi che possono toccare sapori vagamente
latin, accelerazioni swing, atmosfere più etniche. Percorsi che si decompongono
in sperimentazioni free, per ricompattarsi in sonorità più solide, senza mai dare
adito a forzature o autocompiacimenti, in un filo narrativo coerente e coinvolgente.
Degno di nota, meglio, di note, il passaggio "free" tra
An open door e
Pepe Linque, passaggio
consueto nelle loro performance dal vivo, in cui senza nulla di pianificato, i componenti
si lasciano liberi di improvvisare, manifestando grandi capacità esecutive nei soli
ed un interplay tale da sembrare orchestrato.
Distant Hills, un
vecchio brano del 1973, eseguito con McCandless
(finalmente!) all'Oboe, risente notevolmente della nuova linea melodica del gruppo,
anche se, pur vestendosi di un nuovo finale, riecheggia volutamente qualche sonorità
della formazione originale.
E' invece Doff,
ultimo brano prima del bis, che vede Walker, mantenutosi fino alla fine sulla
scia dell'accompagnamento, misurando di tanto in tanto qualche accelerazione ritmica
in duo col contrabbasso di Moore, come nel secondo "free", cercare di evocare
qualche acustica etnica concentrandosi in particolar modo sulle percussioni.
35 anni e si vedono tutti: equilibrio e raffinatezza,
interplay e rispetto dei singoli suoni, riecheggiano nell'aria per tutta la durata del concerto, dinanzi ad un
pubblico partecipe e generazionalmente composito, anche se non numeroso come ce
lo si sarebbe, a buon diritto, aspettato.
Se si pensa che dopo tanti anni sia difficile poter essere nuovamente
conquistati dalle creazioni di un artista, allora vale davvero la pena assistere
ad un live degli Oregon.
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Data pubblicazione: 14/09/2006
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