Jazzitalia - Lee Colbert: Zumertsayt – Summertime
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Distr. venus - ZDM0501
Lee Colbert
Zumertsayt – Summertime

Yiddish & American Songs

1. Dem milner's trern (M. Warshavsky)
2. Dem milner's trern Variation (M. Warshavsky / P. Cintio)
3. Friling (S. Katsherginsky / A. Brudno)
4. What ken you makh? Es iz Amerike! (A. Lebedeff / S. Secunda)
5. Speak low (O. Nash / K. Weill)
6. Di nakht kumt on tsu shvebn (M. Gebirtig)
7. I got the sun in the morning (I. Berlin)
8. Krigs-invalid (M. Gebirtig)
9. Minutn fun bitokhn (M. Gebirtig)
10. Intro to Zumertsayt (P. Cintio)
11. Zumertsayt (Summertime) (D. B. Heyward, I. Gershwin / G. Gershwin; Yiddish: S. Tsesler)
12. A little bit in love (B. Comden, A. Green / L. Bernstein)
13. Lonely town (B. Comden, A. Green / L. Bernstein)
14. There's a boat (D. B. Heyward, I. Gershwin / G. Gershwin)
15. Drey tekhterlekh (M. Gebirtig)
16. Some other time (B. Comden, A. Green / L. Bernstein)
17. Somewhere (S. Sondheim / L. Bernstein)

Lee Colbert - voce
Paolo Cintio - pianoforte
Emilio Vallorani - flauto

Special guests:
Moni Ovadia - voce
Nicola Granillo - violino
Eugenio Colombo - sax soprano e contralto




"Sa cosa dicevano degli immigrati russi? Chi non scende con la custodia del violino è perché suona il pianoforte!" Così in una recente intervista Moni Ovadia rispondeva ad una domanda sullo stretto rapporto fra musica e cultura ebraica, spiegando che dato il forte tabù imposto dalle scritture avverso le arti figurative, per secoli la musica è stata l'unica forma d'arte in cui un Ebreo potesse esprimersi.

Ed infatti il contributo che i musicisti ebrei hanno apportato al jazz – ed alla musica tutta – è innegabile, ed imprescindibile se si pensa ad autori come i fratelli Gershwin, Kurt Weill, Irvin Berlin, Leonard Bernstein. Così Lee Colbert, interprete ebrea russo-polacca-argentina-americana di New York (cognome paterno Goldberg) ha voluto inserire all'interno di questo suo secondo album a proprio nome, Zummertsayt - Summertime, sottotitolo Yiddish & American Songs, alcune fra le pagine più rappresentative del repertorio in questione, esponendole con il fascino della propria voce e la passione di chi tiene ad affermare le proprie radici.

Eco lontana per il tema di Dem milner's trern, che, a proseguire, viene rimodellato dalle variazioni al piano di Paolo Cintio, un'apertura suggestiva che conduce a Friling, legame affettivo ai trascorsi della cantante e al suo primo cd, "Tango", da cui è tratto: ritmo latino che viene qui ripreso arricchito dalle languide corde del violino di Nicola Granillo e dai tasti misurati del piano.

Chi abbia assistito ad uno degli spettacoli di Moni Ovadia probabilmente avrà potuto ascoltare dal vivo What ken you makh? Es iz Amerike!: la presentazione solitamente sottolinea quanto la cultura ebraica debba all'America, al paese che ne ha ricoverato la diaspora conseguita all'Olocausto ed il debito che in generale la cultura moderna ha nei confronti di questa terra delle opportunità, senza parallelamente mancare di rimarcarne la realtà comunque pregna di stridenti contraddizioni e la differenza fra popolo e cultura americana da un lato e suoi amministratori dall'altro. Qui la voce della Colbert si intreccia con quella del cantore della cultura yiddish nel mondo (come è stato definito Ovadia, con il quale è decennale la collaborazione, da "Ballata di fine Millennio" a "Il caso Kafka", da "Mame, Memele, Mamma…il crepuscolo delle madri" a "Tewje un mir" a "Il Banchiere errante", fino al debutto come co-protagonista nel recentissimo "Es iz Amerike"), ma anche con richiami a motivi arcinoti del songbook americano, da "Rhapsody in blue", a "Tea for two", da "Chattanooga Choo-choo" a "Cheek to Cheek", puntualmente accennati dal piano, che, dato il tenore della canzone – la cui traduzione sarebbe "Cosa puoi farci? È l'America!" –, raccontano di una amara ironia, un umorismo tragico, di tipo "pirandelliano".

Una voce scenica, da musical o recital, senza per questo volerla sminuire, beninteso: così emerge da Speak Low, e d'altronde siamo convinti che non fosse comunque nelle intenzioni della Colbert fare un disco di jazz in senso stretto; le stesse preziose controvoci del flauto di Emilio Vallorani – anche lui da tempo al fianco di Ovadia – si prestano più ad un recital, appunto, che non ad un assolo jazzistico. Apertura con il sax soprano di Eugenio Colombo per Di nakht kumt on tsu shvebn, la voce della Colbert che procede sulle profondità, sia vocali che interpretative. E qui un trascinante dialogo quasi "free" fra il pianista ed il sassofonista – adesso al contralto –, su cui si inserisce il canto, al basso martellante del piano che esaspera il pathos degli acuti ora impostati ora sussurrati della vocalista. Non sarà jazz, ma non per questo suscita minori emozioni. Del resto gli accompagnamenti sempre minimali, piano e sax o piano e flauto, enfatizzano la dimensione intimistica di questo lavoro, come avviene in I got the sun in the morning, dove si ritrova tutta l'anima swing della vocalist, con tanto di vocalese, a mostrare la sua dotazione espressiva.

Due dolorose canzoni di guerra di Gebirtig, Krigs-invalid e Minutn fun bitokhn, e senza necessariamente procedere brano per brano, la curiosità porta a saltare a Zummertsayt, ricontestualizzazione yiddish del capolavoro gershwiniano, standard del repertorio jazz universale: in questa traduzione di Samhl Tsesler, appositamente concepita per la cantante Zivia Klein, si perde in parte la musicalità del testo originale e – forse – anche la valenza di ninna-nanna, un po' perché abituati ai versi americani, un po' perché l'idioma yiddish, di contaminazione slavo-germanica-neolatino-aramaica, è certamente più gutturale e duro. Raddolcito, comunque, da flauto e violino.

Leggera, quasi sopra le righe A little bit in love, mentre Lonely town tira fuori la "sinfonicità" e la liricità delle composizioni del grande Bernstein. There's a boat, ancora da "Porgy & Bess", fra le cui note la Colbert mostra di trovarsi a proprio agio, supportata dal solo piano in elegante walking bass. Dopo un altro malinconico lid yiddish di Gebirtig, Drey tekhterlekh, chiusura affidata a due intramontabili composizioni ancora di Bernstein: da "On the town" una brillante versione di Some other time in cui i controllatissimi picchi della Colbert, la sezione ritmo-armonica del piano e le tessiture armoniche del flauto riescono a confluire in un tutt'uno di estrema bellezza e pregnanza; quindi da "West Side Story" Somewhere, con un ricercato ed efficace arrangiamento pianistico dai pronunciati accenti blues-gospel.

E si riporta, giusto per non parafrasare, quanto già ben espresso dall'editore sul motivo ispiratore del presente lavoro: "Questo cd è un omaggio all'intelligenza del popolo ebraico: ai suoi impareggiabili autori, agli straordinari interpreti, a quei talenti unici, raccolti in una sola anima che custodisce in sé tragicità e ironia". Dal canto nostro, non possiamo che sottoscrivere.
Antonio Terzo per Jazzitalia







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Data pubblicazione: 14/11/2006

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