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Distribuito da Egea
Moni Ovadia
Kavanah


1. Per il Padre Re
2. Il Misericordioso Requiem
3. Ascolta la Mia Voce
4. Padre dell'Universo
5. Lekhà Doydlt
6. Variazione Modale
7. Inno
8. Variazioni per un ritorno
9. Rapsodia Tzigana per la Yam Kippur

Moni Ovadia - voce
Emilio Vallorani - flauto
Massimo Marcer - tromba
Luca Bonvini - trombone
Paolo Rocca - clarinetto
Stefano Corradi - contrabbasso, basso elettrico
Janoah Hassur - violino
Albert Mihal - fisarmonica
Maria Serban - cymbalon
Vincenzo Pasquariello - pianoforte


L'arte come manifestazione sensibile dell'idea, diceva Hegel. E Moni Ovadia personifica tale assunto con particolare forza interiore.

"Mi chiamo Simka Rahabinovic. Sono un venditore di ombre. A chi vendo le mie ombre? A gente che l'ha persa. Un'ombra si perde per troppa luce o per troppa oscurità". Così dichiarava qualche tempo fa il quasi sessantenne musicista, attore e scrittore bulgaro. Le sue ombre attraversano la religione, attraversano la gente e si identificano con la stessa.



"Kavanàh" in ebraico significa "partecipazione", cioè adesione al canto come urgenza intima del divino. "Il canto conferisce dunque statuto generativo alla parola", avverte lo stesso artista nel corposo booklet che spiega tutta la spiritualità che, come sempre, ha mosso il suo lavoro.

La voce di Ovadia è lacerantemente corposa, costruisce e dirige i dieci musicisti che lo accompagnano in questo viaggio catartico. Riesce a creare quella teatralità timbrica che pochi hanno.

Un viaggio attraverso le culture mediterranee. Nove brani che raccolgono differenti ispirazioni, dagli inni sacri ebraici a quelli tzigani, e rappresentano il primo di una serie di quattro lavori " universali", come il linguaggio che ama utilizzare il musicista ebreo.

I cambi ritmici sono d'uopo e si susseguono con insistenza soprattutto in quei brani che si ispirano alle liturgie magiare.

La Stage Orchestra, multietnica realtà, riesce a dare coralità ed energia ad ogni brano, accompagnando con particolare convinzione anche le libere interpretazioni ed i voli pindarici vocali di Ovadia.

L'artista "parla cantando". Parla un linguaggio cosmico attraverso una continua preghiera che è stigmatizzata in questo lavoro: "Padrone dell'Universo ci rivolgiamo a Te come un figlio rapito ai suoi rapitori" (da Padre dell'Universo).

I violini s'intrecciano al suono melanconico delle fisarmoniche, mentre si insinuano i fiati alla stregua della tradizione bregoviciana.

Lampi di jazz modale si avvertono, in alcuni casi, negli impianti armonici e nelle strutture tipiche dei brass ensemble.

Ma è la tradizione popolare che sta a cuore ad Ovadia. E lo si avverte con impeto e vigore.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia







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Data pubblicazione: 09/04/2006

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