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I dischi "live" sono quasi sempre belli, perché afferrano le emozioni più
intense, quelle che in sala di registrazione possono sfuggire. Ovvio che la "bellezza"
è radicalmente collegata alla bontà dell'impasto sonoro, alla valenza dei musicisti
ed alla magia del momento, elemento quest'ultimo che ha reso immarcescibili brani,
canzoni ed anche musicisti.
Opera ancor più gravosa, è quella di raccogliere le immagini sonore estemporanee
da luoghi differenti e cucirne intorno un afflato comune, un unicum senza
sbavature. Il quartetto di Seamus Blake ha perfettamente costruito un doppio
disco dal vivo mantenendo gli stessi spazi armonici e melodici, senza incappare
nelle angolature della diversità dei momenti e dei luoghi. Frutto di tale architettonico
lavoro è Live in Italy, licenziato dalla JazzEyes, callida ed abile etichetta indipendente
sicula, particolarmente attenta al mainstream d'oltre oceano.
Due dischi che raccontano parte del viandaggio italiano del tenorista
anglo-americano-canadese e dei suoi ottimi compagni di viaggio: David Kikoski
al piano, Danton Boller, contrabbasso e Rodney Green alla batteria;
due dischi per nove brani registrati tra la costa adriatica (Senigallia e Cesenatico)
e la capitale della Trinacria (Palermo) nel febbraio del
2007.
Non v'è ombra di dubbio che Seamus Blake sia riuscito ad affermare
la propria identità stilistica e compositiva, ben accorto a far tesoro delle grandi
e possenti voci di Rollins e
Michael Brecker.
Prova ne sono le longilinee strutture di The Jupiter Line,
Way Out Of Willy e
Fear Roaming, abbellite dagli effetti elettronici - eleganti e mai invasivi
- che liberano la fantasia espositiva di Kikoski, che aborre i luoghi comuni e gli
archetipi stilistici (riesce a tinteggiare di caraibico
The Jupiter Line, con marcate tracce di cinquillo).
Blake è anche abile a riconsegnarci pezzi di storia musicale come
The Feeling Of Jazz di Ellington,
Laderinha di Djavan e
Darn That Dream di Van Heusen, sviluppando una pronuncia personale ed
una tecnica estroversa, sicura e pulita, ben tessuta dalle dinamiche allargate e
dalle progressioni veementi di Green e dal passo aurato di Boller, metronomico.
Un disco gustoso che toglie di dosso un po' del vecchiume che ammanta
il jazz - per così dire - moderno.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
21/06/2009 | Bologna, Ravenna, Imola, Correggio, Piacenza, Russi: questi ed altri ancora sono i luoghi che negli ultimi tre mesi hanno ospitato Croassroads, festival itinerante di musica jazz, che ha attraversato in lungo e in largo l'Emilia Romagna. Giunto alla decima edizione, Crossroads ha ospitato nomi della scena musicale italiana ed internazionale, giovani musicisti e leggende viventi, jazzisti ortodossi e impenitenti sperimentatori... (Giuseppe Rubinetti) |
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Data pubblicazione: 02/05/2009
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