Mutable Music - distr. IRD (2009)
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Borah Bergman-Stefano Pastor
Live at Tortona
1. Spirit Song - 10:52
2. When Autumn Comes - 06:44
3. Wellspring - 05:51
4. Crescent 03:20
5. The Mighty Oak - 16:37
Borah Bergman - piano
Stefano Pastor
- violino
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Desta curiosità la performance della strana
coppia formata dal vecchio e irrequieto (artisticamente) pianista americano e dall'altrettanto
curioso e inquieto, nella stessa accezione, violinista genovese. Il direttore artistico
della manifestazione "Jazz fuori tema", Alberto Bazzurro, abitualmente ha
il gusto, l'idea, di far incontrare artisti magari operanti in ambiti diversi o
che per svariati motivi non hanno avuto l'occasione di suonare insieme. Qui, invece,
ha messo in cartellone un duo non determinato dalle sue scelte, che cominciava,
quell'estate, proprio dalla cittadina piemontese, una tournèe in alcune località
del nord Italia, dopo aver registrato un disco a Milano per la "Soul note". In verità,
di quella matrice si sono perse le tracce. Viene a proposito, quindi, la pubblicazione
di questo cd che riproduce una parte dell'esibizione live tortonese. In realtà il
concerto, infatti, durava circa 75 minuti. Il disco, invece, contiene 6 brani per
un totale di 45 minuti. Borah Bergman, nell'editing, ha sforbiciato
una buona mezz'ora di musica. Anche in questa versione "light" si può apprezzare,
però, la qualità del dialogo fra violino e pianoforte.
C'è da sottolineare, prima di tutto, come la formula piano-violino non
abbia molti precedenti nel jazz. Fra gli esempi più attuali si può annoverare il
duo dei coniugi Silvie Courvoisier e Mark Feldman. Direi che è l'unica
coppia in attività in questo periodo. La parte del leone nel cd spetta di diritto
al formidabile tastierista statunitense.
Pastor
è meno presente, compare di meno, ma fa comunque la sua figura all'interno del discorso
complessivo. Il pianista americano inizia i brani con gruppi di accordi o di note,
accostati apparentemente in modo casuale, picchiando sul pianoforte, con un forte
impatto percussivo, evidenziando la stupefacente indipendenza della mano sinistra
rispetto alla destra. Da questo coacervo di suoni estrae con un effetto sorprendente,
quasi una magia, un tema, un motivo riconoscibile su cui, subito dopo, continua
a elaborare, a divagare, nascondendolo, riprendendolo, dimenticandosene, per poi
ritornarci sopra. Il suo è un procedimento di tipo circolare che prevede tappe obbligate,
accanto a sconfinamenti, cambi di rotta repentini.
Stefano Pastor,
a sua volta, entra in scena, quasi sempre, per ricordare l'oggetto dell'improvvisazione;
poi lo semplifica, lo spoglia degli orpelli di cui lo ha arricchito il partner,
cioè e lo ripropone, senza innestare, se non in pochi segmenti, una controproposta
antagonista. Il violinista, cioè, si pone con dedizione a servizio del maestro che,
da parte sua, gli dimostra stima e fiducia, lasciandolo, a volte, condurre il gioco.
Il confronto è fra chi semina un numero incredibile di note e chi, invece, le centellina,
le amministra con parsimonia. In alcuni frangenti Bergman si abbandona alla melodia,
a suoni trattenuti, allungati, con un sapiente uso del pedale, in un pianismo che
porta alla memoria quello di Paul Bley dei dischi "ECM", non quello radicale degli
anni sessanta. C'è da sorprendersi per queste incursioni in un'area neo-romantica
da parte di un artista noto per la sua preferenza per i suoni percussivi e la libertà
di andare oltre la tonalità. Un jazzista che è sovente stato avvicinato a Cecil
Taylor e ad altri maestri della free music afro-americana. Il disco, perciò, pur
potendosi definire in senso largo una produzione di musica d'avanguardia, è piuttosto
leggibile e organizzato. Non c'è spazio, se non in pochi frangenti per l'improvvisazione
assoluta. C'è totale controllo della materia, insomma. Meravigliano ancora l'energia,
la competenza e la passione del pianista americano.
Stefano Pastor,
da par suo, dimostra che si può dialogare con un mostro sacro con umiltà e deferenza,
senza per questo rinunciare alla propria personalità.
E' difficile segnalare un brano migliore fra gli altri. Tutto il disco
si fa raccomandare. Da segnalare, fra gli altri, "Spirit song", dedicato
ad Arrigo Polillo, non certo un cultore del free jazz, ma che aveva scoperto in
Borah Bergman le doti e l'originalità del musicista di valore.
Gianni B. Montano per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 01/02/2010
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