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           Borah Bergman-Stefano Pastor 
           Live at Tortona 
  
           
           1. Spirit Song - 10:52 
           2. When Autumn Comes - 06:44 
           3. Wellspring - 05:51 
           4. Crescent 03:20 
           5. The Mighty Oak - 16:37 
            
           Borah Bergman - piano 
Stefano Pastor 
- violino 
 
 
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  Desta curiosità la performance della strana 
coppia formata dal vecchio e irrequieto (artisticamente) pianista americano e dall'altrettanto 
curioso e inquieto, nella stessa accezione, violinista genovese. Il direttore artistico 
della manifestazione "Jazz fuori tema", Alberto Bazzurro, abitualmente ha 
il gusto, l'idea, di far incontrare artisti magari operanti in ambiti diversi o 
che per svariati motivi non hanno avuto l'occasione di suonare insieme. Qui, invece, 
ha messo in cartellone un duo non determinato dalle sue scelte, che cominciava, 
quell'estate, proprio dalla cittadina piemontese, una tournèe in alcune località 
del nord Italia, dopo aver registrato un disco a Milano per la "Soul note". In verità, 
di quella matrice si sono perse le tracce. Viene a proposito, quindi, la pubblicazione 
di questo cd che riproduce una parte dell'esibizione live tortonese. In realtà il 
concerto, infatti, durava circa 75 minuti. Il disco, invece, contiene 6 brani per 
un totale di 45 minuti. Borah Bergman, nell'editing, ha sforbiciato 
una buona mezz'ora di musica. Anche in questa versione "light" si può apprezzare, 
però, la qualità del dialogo fra violino e pianoforte. 
C'è da sottolineare, prima di tutto, come la formula piano-violino non 
abbia molti precedenti nel jazz. Fra gli esempi più attuali si può annoverare il 
duo dei coniugi Silvie Courvoisier e Mark Feldman. Direi che è l'unica 
coppia in attività in questo periodo. La parte del leone nel cd spetta di diritto 
al formidabile tastierista statunitense.
Pastor 
è meno presente, compare di meno, ma fa comunque la sua figura all'interno del discorso 
complessivo. Il pianista americano inizia i brani con gruppi di accordi o di note, 
accostati apparentemente in modo casuale, picchiando sul pianoforte, con un forte 
impatto percussivo, evidenziando la stupefacente indipendenza della mano sinistra 
rispetto alla destra. Da questo coacervo di suoni estrae con un effetto sorprendente, 
quasi una magia, un tema, un motivo riconoscibile su cui, subito dopo, continua 
a elaborare, a divagare, nascondendolo, riprendendolo, dimenticandosene, per poi 
ritornarci sopra. Il suo è un procedimento di tipo circolare che prevede tappe obbligate, 
accanto a sconfinamenti, cambi di rotta repentini.
Stefano Pastor, 
a sua volta, entra in scena, quasi sempre, per ricordare l'oggetto dell'improvvisazione; 
poi lo semplifica, lo spoglia degli orpelli di cui lo ha arricchito il partner, 
cioè e lo ripropone, senza innestare, se non in pochi segmenti, una controproposta 
antagonista. Il violinista, cioè, si pone con dedizione a servizio del maestro che, 
da parte sua, gli dimostra stima e fiducia, lasciandolo, a volte, condurre il gioco. 
Il confronto è fra chi semina un numero incredibile di note e chi, invece, le centellina, 
le amministra con parsimonia. In alcuni frangenti Bergman si abbandona alla melodia, 
a suoni trattenuti, allungati, con un sapiente uso del pedale, in un pianismo che 
porta alla memoria quello di Paul Bley dei dischi "ECM", non quello radicale degli 
anni sessanta. C'è da sorprendersi per queste incursioni in un'area neo-romantica 
da parte di un artista noto per la sua preferenza per i suoni percussivi e la libertà 
di andare oltre la tonalità. Un jazzista che è sovente stato avvicinato a Cecil 
Taylor e ad altri maestri della free music afro-americana. Il disco, perciò, pur 
potendosi definire in senso largo una produzione di musica d'avanguardia, è piuttosto 
leggibile e organizzato. Non c'è spazio, se non in pochi frangenti per l'improvvisazione 
assoluta. C'è totale controllo della materia, insomma. Meravigliano ancora l'energia, 
la competenza e la passione del pianista americano.
Stefano Pastor, 
da par suo, dimostra che si può dialogare con un mostro sacro con umiltà e deferenza, 
senza per questo rinunciare alla propria personalità.  
E' difficile segnalare un brano migliore fra gli altri. Tutto il disco 
si fa raccomandare. Da segnalare, fra gli altri, "Spirit song", dedicato 
ad Arrigo Polillo, non certo un cultore del free jazz, ma che aveva scoperto in
Borah Bergman le doti e l'originalità del musicista di valore.  
Gianni B. Montano per Jazzitalia 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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			Data pubblicazione: 01/02/2010
	  
 
 
 
	
  
	
		
		
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