Jazzitalia - The Microscopic Septet - Seven Men in Neckties: History of the Micros, vol. 1
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Cuneiform Records - 2006

Phillip Johnston - Sax soprano
Don Davis - Sax contralto
John Hagen - Sax tenore
Danny Nigro - Sax tenore
Paul Saphiro - Sax tenore
Dave Sewelson - Sax baritone
Joel Forrester - Piano
David Hofstra - Basso, Bassotuba
Richard Dworkin - Batteria

The Microscopic Septet - Seven Men in Neckties
History of the Micros, vol. 1


Disco 1 – Take the Z Train:
1. Chinese Twilight Zone
2. Wishful Thinking
3. Take The Z Train
4. Mr. Bradley / Mr. Martin
5. Kelly Grows Up
6. Pack The Ermines, Mary
7. I Didn't Do It
8. A Strange Thought Entered My Head
9. Party At PJ's
10. Bee Beep
11. True
12. Fresh Air Theme (EvilTwin)

Disco 2 – Let's Flip:
1. The Lobster Parade
2. Second Avenue
3. Why Not?
4. Let's Flip!
5. Lazlo's Lament
6. Boo Boo Coming
7. Johnny Come Lately
8. The Mirror
9. Hofstra's Dilemma
10. Women In Slow Motion
11. Hey Wayne




Se vi fosse capitato di trovarvi a New York intorno alla metà degli anni '80, assetati di buona musica ma inspiegabilmente annoiati dalle divagazioni rock-elettroniche di Miles Davis, dagli infaticabili lavori di Zawinul & Co., o anche dalle esperienze fusion di Chick Corea, probabilmente non avreste trovato con facilità pane per i vostri denti. Tuttavia visitando perseveranti la città, delusi da tutta questa fusion rampante, sareste finiti forse in qualche club più o meno nascosto, come il Blue Nile, il Paper Moon, il Dive, e lì con un po' di fortuna avreste incontrato i "Sette Uomini in Cravatta": il Microscopic Septet.

Il nome di questo ensamble è probabilmente noto più che altro agli addetti ai lavori che non invece ad un ampia fetta di pubblico, proprio per la loro posizione di retrovia rispetto ai grandi nomi del momento, dettata dalla scelta stilistica di porsi in modo decisamente trasversale in una commistione di generi apparentemente informe. Non a caso venivano accompagnati da una formula che li vedeva come la "più famosa band ignota di New York".

Capitanata in qualche modo dall'eclettico Phillip Johnston, la formazione oltre ai recidivi (Joel Forrester, David Hofstra, Don Davis) ha visto partecipi diversi musicisti più o meno stabili che hanno poi seguito un percorso proprio, come John Zorn e Bobby DeMeo. Il proposito che Johnston si proponeva era semplice e diretto: mescolare la musica di Duke Ellington, Henderson e Redman con idee più moderne ed attuali, facendo una sorta di mix.

Il frutto di queste scelte è ben presentato nel disco in questione (anzi nei due dischi, dato che si tratta di un doppio CD), che ripercorre gli anni fra il 1980 ed il 1985 circa, includendo "Take the Z Train", il primo LP, e la registrazione di "Let's Flip", unico live pubblicato su disco, tenutosi al Mephisto Club di Rotterdam.

Basta l'ascolto di pochi minuti del primo brano per capire cosa si intende per "alternativa" alla scena del tempo. L'ensemble di Johnston infatti tagliava senza troppi problemi quasi 50 anni di musica jazz e vi si inseriva in modo sfacciato e canzonatorio, per giungere al semplice fine di suonare, suonare dovunque ed il più a lungo possibile e soprattutto divertirsi nel farlo. Come lo stesso Johnston ci spiega: "We were about playing".

Considerate il grande swing, il bop degli anni 50, lo slancio free, ritmi pacchianamente latinoamericani, aggiungete il rock ‘n' roll ed un certo piacere per la colonna sonora dei telefilm di Batman: non c'è nulla che non trovi spazio in qualche modo nelle composizioni del Microscopic Septet. Senza preavviso l'ascoltatore passa da ritmi easy e melodie canticchiabili a parti quasi rock, per poi tornare ad un walkin' trascinante, o all'hot jazz di ascendenza be-bop, ma solo per attimi sparpagliati qua e là quasi alla rinfusa, senza appesantire. In un certo senso è collegabile a ciò che da lì a poco avrebbe fatto Zorn con i suoi Naked City, ma viene a mancare quel nichilismo olistico, l'approccio è più rilassato, ed in generale le composizioni sono certamente meno violente/violentate. Tuttavia il percorso stilistico è lo stesso: perché limitarsi ad un senso unico e non provare invece a fare qualcosa di omnidirezionale? La musica predomina sui musicisti, che divengono un mezzo espressivo puro. La lezione di progetti come questo è molto eloquente: come un fiume in piena, il patrimonio cui si attinge nel momento compositivo travolge ogni cosa, ogni intenzioni troppo razionalizzante, e non è possibile arginarlo.

Un plauso, oltre alla bellezza del lavoro di questo ensemble, va fatto alla scelta dell'etichetta di pubblicare non una semplice compilation dei brani più riusciti, bensì di riproporre per intero due dischi completi, di cui per di più uno dal vivo, dando così l'opportunità di considerare in toto la produttività del Microscopic Septet.
Achille Zoni per Jazzitalia







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Data pubblicazione: 21/10/2007

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