Asinchronous Records - 2008
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Phillip Johnston Transparent Quartet
Page Of Madness
1. Prelude
2. The dancer
3. The mad wife
4. The visit
5. The Asylum
6. Parting the waters
7. There's a riot goin' on
8. Home life
9. Home life ruined
10. Escape attempt
11. The dream
12. The masks
13. At peace with a mop
Phillip Johnstone - alto & soprano
sax
Joe Ruddick - piano, baritone sax
Mark Josefberg - vibraphone
Divid Hosfra - bass
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Philip Johnston è un musicista che si colloca in un ambito che potremmo definire
vicino a certe sperimentazioni della musica contemporanea d'avanguardia, nelle quali
il jazz e la musica improvvisata sono comunque presenti ed importanti.
In questo progetto, inciso nel 1998,
ma che vede la luce su disco dopo esser rimasto inedito per circa dieci anni, il
suo Transparent Quartet si propone di sonorizzare un film muto giapponese del 1927
– A Page of Madness – Kurutta Ippeiji - a firma del regista Teinosure
Kinugasa.
Il Transparent Quartet è in un certo senso "specializzato" in nuove partiture
per capolavori del cinema muto: un progetto analogo, realizzato sempre in collaborazione
con il Lincoln Center di New York, era stato pubblicato nel
1999 per la sonorizzazione di alcune pellicole
di George Méliès (The Merry Frolics of Satan – The George Méliès Project).
Questo disco, per esplicito suggerimento dell'autore, è pensato come opera
unica ed andrebbe ascoltato con continuità dall'inizio alla fine. Impresa che l'autore
stesso giudica temeraria, non tanto per la lunghezza in sé - 77 minuti - quanto
per i tempi ormai impossibili che la vita moderna concede al 90% dei comuni mortali,
impedendo alla maggior parte di noi di confrontarsi con la curiosità per il nuovo
e per l'arte in generale, al di fuori dell'imperante sistema culturale del "mordi
e fuggi".
Non si tratta certamente di un disco "facile", tutt'altro. Siamo di fronte
ad un lavoro concepito per un'esecuzione dal vivo contestuale allo scorrere delle
immagini sullo schermo, e non c'è dubbio che una situazione "live" faciliterebbe
non poco la fruizione da parte dell'ascoltatore.
I punti di riferimento, per l'ascoltatore "medio" di jazz sono davvero pochi:
le atmosfere notturne sottolineate dal vibrafono di Mark Josefberg possono ricordare
il timbro scampanante del Bobby Hutcherson più sperimentale, mentre le inflessioni
bluesy del sax di Johnston riecheggiano il lirismo "free" di Eric Dolphy
ed
Ornette Coleman. Ma si tratta spesso di frammenti parziali in un
discorso molto più complesso: paradossalmente i brani più vicini al free-jazz risultano
i più facilmente leggibili in un'estetica di musica colta d'avanguardia, laddove
l'asprezza stridente di alcuni passaggi può lasciare l'ascoltatore letteralmente
agghiacciato.
"Pagina di pazzia" : ma, per dirla con Sheakspeare, "c'è del metodo
in questa follia".
Consiglio personale: iniziate ad ascoltare il CD dal punto che più vi aggrada, cercando
un appiglio che possa coinvolgervi, poi, se ve la sentite, esplorate con cautela
il resto.
Sarà un ascolto che, nel bene o nel male, non può lasciare indifferenti; e questo,
in un'epoca di omologazione culturale e di dischi-fotocopia, è certamente un grande
merito.
Roberto Biasco per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 21/02/2010
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