La voglia di esplorare nuovi territori sonori andando alla ricerca della
trasversalità tra più generi, meglio se distanti tra loro, è una moda che soprattutto
negli ultimi anni ha trovato un ampio consenso e un fiorire di un gran numero di
progetti più o meno riusciti. Quello del Rumur Hang nasce nel marzo del
2005 dall'incontro di quattro musicisti le cui
esperienze musicali, assolutamente eterogenee tra loro, sono accomunate dall'esplorazione
di un unico linguaggio: il jazz e l'improvvisazione. Un ampio utilizzo di strumenti
e suoni legati più alla musica elettronica che al jazz tradizionale mette subito
in luce il carattere d'avanguardia dell'ensemble italo francese, composto da
Antonio Bonazzo al synth, Pierre-Marie Philippe alla chitarra, Alessandro
Cassani al basso e
Antonio Fusco
alle percussioni.
Gerardmer è la loro ultima fatica, uscita
nell'aprile di quest'anno per l'etichetta francese Edogm, registrata nella
località che dà il nome all'album, nei primi mesi del 2007.
Etichettare la musica dei quattro, che tra i diversi riferimenti musicali citano
Ornette
Coleman e Eric Dolphy ma anche Aphex Twin e Luciano
Berio, non è affatto semplice e appare anche riduttivo, anche se si fatica a
trovare accostamenti con i pionieri del free jazz se non per la concezione della
libera improvvisazione. Già Chaos, il primo
dei quattro lunghi brani che compongono l'album, non lascia spazio a fraintendimenti
e introduce bene quello che sarà il filo conduttore di tutto l'album: un tappeto
corposo di basso elettrico e batteria e grande spazio a sintetizzatori, chitarra
elettrica e suoni che richiamano alla fusion psichedelica anni
'70. La traccia seguente,
Gerardmer, sembra un omaggio al Miles Davis
di In A Silent Way mentre non colpiscono particolarmente i due brani che
concludono l'album, in cui il mescolarsi di suoni ed effetti non risultano essere
sempre efficaci.
Quel che rimane in definitiva è un lavoro sicuramente particolare e originale
dove i quattro riescono a ricreare atmosfere singolari e ricercate dimostrando coraggio
e inventiva. Talvolta però la confusione sembra prendere il sopravvento e i brani,
fin troppo allungati, non sempre riescono a convincere, risultando alla lunga monotoni.
Luca Labrini per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 03/02/2008
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