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Walter Marocchi Mala Hierba
Alisachni
Working Bee (2013)
1. Apolide
2. Il mago del memè
3. Tango del pesce azzurro
4. Hobo
5. La cueva del gato
6. Nidi
7. Trebisonda
8. Yalistan
9. Esuli
10. Foradada
11. Bonus tracks
Walter Marocchi - Chitarra acustica ed elettrica, bouzouki Felice Clemente - sax tenore e soprano Fabrizio Moscata - pianoforte, tastiere, melodica Carlo Ferrara - basso Stefano Lazzari - batteria Antonio Neglia - chitarra acustica, percussioni, fischi, flauto, bandurria, ciaramella Ornella Vanoni - voce in (5) Coro Aquilani In - 5 Fabrizio Barbareschi - percussioni in (8) Altin Manaf - Giovanna Ferrara: voci in (8) Roberto Romano - clarinetto in (8)
Il termine contaminazione, piuttosto abusato in questa epoca,
sottintende l'idea di mescolare generi musicali diversi per dar luogo ad insalate
miste ancor più saporite degli ingredienti usati per prepararle. E' consuetudine,
in questi casi, rammentare come anche il jazz sia nato dall'incontro di culture
ed esperienze dissimili, come altre correnti artistiche più o meno contemporanee.
Walter Marocchi prende di petto la questione licenziando un album concept
dove la contaminazione viene inquadrata come risultato dell'incontro di gruppi etnici
venuti a contatto per movimenti migratori di popolazioni ricche di valori da trasmettere
(ma costrette a spostarsi spinte dall'urgenza di soddisfare le necessità primarie,
dal bisogno di sopravvivenza).
Il disco si configura come un viaggio a volo di uccello nelle
musiche di molti paesi, seguendo le inclinazioni, le preferenze del leader. E' un
itinerario che porta lontano e ci fa conoscere più da vicino, però, la visione estetica
del chitarrista milanese. Si passa da "Apolide" giocata su ritmi e figure
in stile progressive rock degli anni settanta a "Il mago del Memè" un valzer
musette articolato, orientato verso atmosfere blandamente rockeggianti. Nel "Tango
del pesce azzurro" una voce in secondo piano espone ricette per cucinare piatti
tipici della cucina povera su un ritmo di origine argentina abbastanza convenzionale.
"Hobo" è un blues rurale, semplice e greve, fortemente cadenzato, non particolarmente
significativo. "La cueva del gato", dedicata ai musicisti clandestini cubani,
si avvale dell'interpretazione convinta e convincente di Ornella Vanoni ed è uno
degli episodi migliori per la grazia e la severità del tema su un testo diretto
di denuncia, di indignazione sociale. "Nidi" è un motivo aperto, introdotto
dal suono dell'ocarina, marcato da un pianoforte martellante per un andamento melodico
che va in crescendo di tensione. "Trebisonda" deve molto alla lezione del
progressive degli anni Settanta, nella prima parte e poi si dirige verso una specie
di reggae arabeggiante. E' una trovata, ma l'esito non è memorabile. "Yalistan"
ha due anime, la greca e la turca, come i testi recitati dalle due voci ospiti,
Altin Manaf e Giovanna Ferrara e riesce a far coesistere mondi apparentemente in
contrasto in un cocktail di gusto sapidamente mediorientale. "Esuli" è basato
su una melodia dolce e dolente. Contiene un bel solo di
Felice Clemente
al tenore prima e al soprano successivamente. "Foradada" è un brano che echeggia
del sound partenopeo- mediterraneo moderno. E' volutamente ripetitiva, ma la frase
portante è tirata un po' troppo per le lunghe.
E' un disco dalle diverse sfaccettature sostenuto da un'idea
forte, da un impegno etico-civile decisamente riconoscibile. Musicalmente, però,
non tutto marcia per il verso giusto. Ci sono tracce consistenti, ben costruite
e pezzi in cui i risultati non sono pari alle premesse, alle intenzioni di partenza.
Gianni Montano per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 30/09/2013
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