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Tomas Fujiwara Triple Double
Area Sismica, Ravaldino in Monte (Forlì)
1 dicembre 2019
di Aldo Gianolio

Tomas Fujiwara Triple DoubleTomas Fujiwara Triple DoubleTomas Fujiwara Triple DoubleTomas Fujiwara Triple DoubleTomas Fujiwara Triple DoubleTomas Fujiwara Triple DoubleTomas Fujiwara Triple Double
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Come spesso accade, all'Area Sismica rifulgono i fuochi d'artificio. Domenica primo dicembre alle diciotto e trenta è stata la volta del Triple Double del batterista Tomas Fujiwara. Come da appellativo, il raddoppio di tre strumenti (tromba, chitarra e batteria) vanno a costituire un sestetto "a specchio": da una parte la cornetta di Taylor Ho Bynum, la chitarra acustica elettrificata di Mary Halvorson e la batteria del leader; dall'altra, la tromba di Dave Ballou (che ha preso il posto di Ralph Alessi, presente nella registrazione del disco omonimo del 2017), la chitarra elettrica di Rafiq Bhatia (subentrato a Brandon Seabrook) e la batteria di Gerald Cleaver.

Fra gli svariati significati che può assumere l'espressione "doppio" (in filosofia, scienza, religione, psicologia, arte), nel Triple Double sta per due "insiemi" simili accostati, uno il riflesso speculare dell'altro che diventa autonomo (come nel gemello o nel sosia); tradotto in musica sta come diversificazione dell'approccio al materiale musicale mantenendosi sulla medesima linea d'onda. "Tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l'altra", dice Italo Calvino nel suo "Visconte dimezzato"; così, raddoppiando il trio, Fujiwara cerca completamento e sicurezza; è la stessa cosa che accade, in "Il compagno segreto" di Joseph Conrad, al capitano e a Leggatt, il suo "doppio", che, estranei l'uno all'altro, finiscono, proprio grazie al loro essere sosia, di cooperare e perfezionarsi.



Anche nel Double Triple i due trii uguali nella formazione non si comportano allo stesso modo, così si integrano, si consolidano, si danno ragione e man forte trovando maggiore potenza e convincimento in quello che fanno. Soprattutto le due chitarre hanno una diversa funzione: Bhatia, con tanto di ampia pedaliera che consente i più disparati effetti, lavora più sui registri gravi, come a sostituire il basso mancante (acustico o elettrico che fosse), mentre la Halvorson opera più su armonie spesso stridenti e linee melodiche spesso dissonanti. Trombe e batterie invece procedono sulla falsariga di quanto detto sopra (in specie le due batterie agiscono spesso in parallelo creando un imponente volume di suono), attraverso efficaci dialoghi che si completano e rinvigoriscono a vicenda.

Nel suo complesso la musica, in parte scritta con dovizia di particolari, è varia nel presentare diverse situazioni e atmosfere, dalle più diradate e caliginose, alle più vigorose e cacofoniche, con tempi scattanti e spigolosi sostenuti da un potente dinamismo poliritmico e giocati su intersecazioni di complicate linee melodiche, su modulazioni improvvise, su estemporanei riempimenti con tratti guizzanti, fino ad arrivare, talvolta, a riempire lo spazio con secchiate d'inchiostro nero in una specie di action painting rovinosa e cupa; e da questo rimestamento vario (ci sono rimembranze di Henry Threadgill e Frank Zappa) partono e si svolgono articolati e bellissimi assolo dei protagonisti.







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Data pubblicazione: 12/01/2020

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