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Intervista a Luciano Cantone
di Alceste Ayroldi

Abbiamo incontrato Luciano Cantone, fondatore della Schema Records, produttore ma anche percussionista, batterista e dj...

A.A.: Ti senti più Producer, Dee Jay o Percussionista?
L.C.:
Mi sento di avere dato e ricevuto tanto dalla musica. Mi riferisco a tutte le esperienze fatte, dove spinto dalla passione era fondamentale stare in contatto nel mondo della musica. I miei primi anni da Dee Jay e una importantissima esperienza come commesso in un negozio di dischi a Catania, senza la quale non sarei arrivato a questo punto. Il mio trasferimento a Milano e l'esperienza diretta con l'industria discografica e le lezioni di batteria con Enrico Lucchini. Sto ancora imparando tante cose, non mi sento di portare ancora una "etichetta" ben precisa.

A.A.: The Invisible Session è un mosaico sonoro. come è nata l'idea?
L.C.:
L'idea nasce dalla volontà di proporre qualcosa di diverso con riferimenti precisi al passato, ma senza abbandonare il senso della musica moderna, creando un immaginario musicale che parta dalla musica stessa senza altri interventi.



A.A.: Hai scritto quasi tutti i testi (ad eccezione di Heroes of Sponge Cake) dell'album: è stata la tua prima esperienza in tal senso? Da cosa hai tratto ispirazione?
L.C.:
Si, è la mia prima esperienza. L'ispirazione primaria è sicuramente l'esperienza che ebbi nel Febbraio dell'84, una sorta di crisi mistica, che mi portò a scoprire quegli aspetti della mia personalità che non accettavo. Una vera battaglia con il mio ego, fino a scoprire la sensazione di essere rinato. Dunque un avvicinamento alle filosofie orientali e una facile comprensione di quel mondo distante a noi occidentali. The Teacher il brano dedicato a quello che scoprii essere il mio maestro spirituale, in preghiera recita; La Tua rivelazione è stato un nuovo inizio, l'apertura della mia mente in uno spazio infinito. Aspetterò sempre questo momento affinchè Tu ti riveli ancora. Il rapporto con il maestro è espresso anche in I Knew The Way; l'opportunità è la chiara visione del cammino spirituale, ma la meta non è ancora raggiunta, quindi dipenderà solo da me riscoprire la fragranza della vita e di Dio. Fu il periodo in cui riuscii a fare una chiara analisi di chi ero e dunque chi eravamo, ponendo me stesso rispetto agli altri abitanti del nostro pianeta. Una espansione di coscienza che mi portò a concentrarmi così profondamente su me stesso, da arrivare al punto di vedere me stesso rispecchiato negli altri. La crisi fu inevitabile, perché mi venne chiaro il raccolto della mia semina nel bene e nel male. 'Till The End risalta l'importanza dell'autodisciplina; La via verso l'armonia e unica, posso percorrerla senza sosta o posso fermarmi a riposare ad ogni sosta per riprendere le forze, ma quando arrivo al bivio la scelta è una sola e la strada va percorsa fino in fondo. Solo allora troverò quella pace interiore che sarà la comprensione e l'accettazione della mia esistenza.

A.A.: Come giudichi l'esperienza "The Invisible Session"?
L.C.:
Sotto il profilo discografico The Invisible Session rappresenta un percorso musicale non esplorato prima d'ora. Siamo stati attenti con sincera furbizia a mantenere nella produzione quel sound che ci rappresenta. Considerando che il Jazz è una matrice in costante evoluzione, in questo album si evidenzia una fusione di generi musicali che dando vita ad una unica forza basata sul "groove" e sul jazz contaminato. Sotto il profilo personale rappresenta lo scambio musicale e di esperienze condivise con i miei compagni di cammino, Paolo Fedreghini e Marco Bianchi (che hanno già all'attivo su Schema Records un album ed il suo derivato di remixes). C'è la passione per la musica; un ascolto attento agli autori e musicisti ricercatori come J. Coltrane, Y. Lateef, Paul Horn, tutti i musicisti della scena jazz di Chicago degli anni '70, il gospel, il blues, il funk e tutto il mio bagaglio conoscitivo.

A.A.: Parliamo della Schema Records: quali sono i criteri con cui scegliete gli artisti? Che "requisiti" deve avere un musicista per entrare a far parte del roster della Schema?
L.C.:
Non esisteste un criterio ben preciso Istintivamente è quel lampo che arriva quando senti qualcosa di interessante che ti rappresenta

A.A.: A quanti e quali sacrifici deve andare Incontro un produttore oggi? Quale è il target clienti della Schema Records? il mercato discografico è veramente in crisi?
L.C.:
Il produttore, ahimè fa sempre i conti con il proprio portafoglio, l'economia del settore discografico non è certo felice. Un investimento sbagliato si rifletterebbe su tutta l'attività produttiva di una etichetta. Per mantenere un livello a "rischio basso" bisogna documentarsi, conoscere i numeri di mercato a cui si fa riferimento, comprare tanti dischi, essere presenti per mettere in atto le giuste strategie. A questo proposito un aiuto è sicuramente dato dalla nostra società di distribuzione Family Affair Distributions, che distribuisce in esclusiva per l'Italia alcune etichette di un certo panorama musicale. Da qui si attingono parecchie informazioni che ti permettono di capire in quale direzione si sposta il mercato discografico per poterlo anticipare, cosa rilevante dell'attività produttiva. Una strategia rivelatasi utile nel tempo per la Schema è avere gestito i nostri stessi soldi attraverso la Family Affair Distribution, eliminando i passaggi con società terze. Il nostro target va dai ventenni ai cinquanta/sessantenni, tra questi giovani Dee Jay, fascia 25 / 35 anni. Rispondendo alla tua domanda sul mercato, non si possono negare tutte le problematiche sostanziali legate alla crisi del settore discografico, ma non è il caso di elencarle. Va evidenziato però a mio avviso come alcune scelte sbagliate o "antimusicali", abbiano in parte contribuito alla crisi del settore. Purtroppo le nuove tecnologie non sono state di grande aiuto, in questo processo evolutivo, abbiamo avuto un mercato pieno di prodotti "home-laptop-made" che hanno letteralmente invaso scaffali di negozi depistato i loro buyers e dunque gli acquirenti finali. Manca la cultura di acquistare la musica, perché la consideriamo oggi secondaria, di contorno e talaltro una parte è anche gratis in internet. Ci siamo trovati di fronte un "gap" generazionale, dove è mancata l'evoluzione paritetica e proporzionale di chi fa musica, la esegue e ne conosce tutti gli aspetti, con chi fa andare le apparecchiature, i softwares e conosce a fondo le nuove tecnologie. Penso che realtà come la nostra, debbano più di ieri concentrarsi nella sostanza dei contenuti, producendo prodotti originali e sinceri.

A.A.: Quanto incide in positivo o in negativo) lavorare in Italia?
L.C.:
L'Italia è un bel paese e Milano ha una posizione geografica strategica, sei a qualche ora di macchina da Parigi, Zurigo, Monaco, Colonia etc.., questo facilità le esportazioni via Camion riducendo i costi di trasporto. Unico problema è che l'Italia escludendo il periodo dell' "Italo Dance" e gli artisti che rappresentano il nostro mercato domestico conosciuti all'estero, non è un paese credibile, non ha una storia quale esportatore di musica, come l'Inghilterra ad esempio, quindi si fa più fatica.

A.A.: Un musicista del passato che avresti voluto produrre...
L.C.:
Più di uno: Marvin Gaye, Curtis Mayfield, Terry Callier, Andy Bey, Sarah Vaughan, Mahalia Jackson e Shirley Bassey.

A.A.: Ed uno del presente…
L.C.:
Mario Biondi

A.A.: Secondo te perchè è nato il Nujazz? Bisogno di rinnovamento? Inevitabili contaminazioni sonore? Oppure è frutto di una sclerosi creativa del Jazz?
L.C.:
Il jazz è una matrice in costante evoluzione, lo è stato sin dai tempi in cui è nato. Il Rag-Time, il gospel, gli shouts, lo scat, sono state le prime forme di linguaggio. Le prime jazz band, Louis Armstrong che si esibiva nei bordelli di New Orleans (questo ad indicare che il jazz veniva ascoltato e ballato nei clubs e nelle ballroom sin dagli anni '20). Nel '40 la vera evoluzione si chiamò be-bop con Parker, per arrivare agli intellettualismi e alla ricerca di Monk e Coltrane. Poi il jazz-rock, la fusion e tutte le altre forme di jazz per arrivare a quella attuale. Ci sarà sempre un nu-nu-nu-Jazz, è un linguaggio in continua evoluzione che ha l'esigenza di mescolarsi con altre forme musicali, esattamente quelle che sono più compatibili ad essa. Se si pensa ad esempio alla musica brasiliana, bisogna fare riferimento agli schiavi che furono deportati in America Meridionale dalla zona più vicina dell'Africa che è l'Angola e il Mozambico. Lì si è evoluta la musica afro di quei luoghi con altre forme di musica occidentali. La stessa cosa è successa in Nord America. Questo è il momento in cui il jazz ritrova la voglia di rinnovarsi con altre forme anche quelle più distanti come l'elettronica, in un contesto globale "danceble/voodoo". Il fenomeno è sociale e di costume. Importanti in questo processo evolutivo sono stati gli esperimenti degli US3, Guru Jazzmatazz, Saint Germaine, e altri.

A.A.: Come ti sembra il rapporto tra i giovani e la musica?
L.C.:
Non vorrei ripetermi ma come ha anticipato prima la musica oggi è preconfezionata e non ha più quella valenza primaria che aveva ad esempio per quelli della mia generazione. Comunque, penso che la musica non morirà mai. Sono felice che i giovani oggi ascoltino tanta musica. E' cambiato il modo di fluire con essa, ma rimarrà sempre una forma "vera" e chi avrà l'esigenza di approfondire il proprio rapporto con la musica, ne avrà la possibilità.

A.A.: Quali sono le tue influenze musicali?
L.C.: Diverse! Da ragazzino spinto da un compagno, ha fatto una overdose d' ascolto con i Beatles, per poi passare ai Led Zeppelin, Pink Floyd, Genesis, etc…Avevo circa 16 anni quando per la prima volta ascoltai gli Earth, Wind & Fire, rimasi folgorato da quel sound e capii che quel mondo mi apparteneva. Da lì un approfondimento sul Rhythm & blues, il funk e altre forme di musica black. Agli inizi degli anni '80 in concomitanza con i miei studi di batteria iniziai ad ascoltare Elvin Jones e Philly Joe e dunque scoprII Coltrane e Davis. Oggi ascolto tanta musica e c'è tuttora l'esigenza di approfondire la mia conoscenza in territori musicali che prima non avevo mai esplorato, come la musica brasiliana il latin jazz, folk-blues americano e altri generi. Gli artisti che mi hanno più influenzato comunque sono: Gli Earth Wind & Fire, Marvin Gaye, Gil Scott Heron, Curtis Mayfield, Terry Callier, Donny Hataway, Gil Evans, John Coltrane, Sonny Rollins, Charles Mingus, Lee Morgan, Donald Byrd, Antonio Carlos Jobim, Joao Gilberto, Caetano Veloso, Tamba Trio, Joao Donato, Sergio Mendez, Henry Mancini, Ennio Morricone, Cal Tjader, Mongo Santamarioa, solo per citarne alcuni.

A.A.: Chi ha lasciato un segno nella tua vita professionale?
L.C.:
Mio padre ed il mio maestro.

A.A.: Di cosa puoi essere fiero e di cosa non lo sei?
L.C.:
Di tutto e di niente

A.A.: Chi vorresti ringraziare?
L.C.:
La mia famiglia

A.A.: Avrà un prosieguo The Invisible Session?
L.C.:
Spero di si!!! In questo momento sono molto impegnato, il successo di Mario Biondi ci porta via tanto tempo.

Grazie Luciano per la Tua cortese disponibilità. A presto.







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Data pubblicazione: 04/09/2007

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